La scorsa settimana il parlamento tunisino stava valutando un disegno di legge sull’impunità della polizia. Si sono tenute delle dimostrazioni a Tunisi e Sfax. La polizia ha effettuato alcuni arresti ed ha fatto uso di manganelli. Il 12 ottobre la votazione sul disegno di legge è stata rinviata su richiesta del governo.


La legge “repressione contro gli attacchi alle forze armate” porta bene il proprio nome… Il disegno di legge presentato al Parlamento nel 2015 sulla scia delle offensive securitarie del governo contro le classi popolari, un contrattacco al periodo rivoluzionario successivo alla rivolta popolare del 2011. È il frutto di una collaborazione che risale al 2013 tra il Ministero dell’Interno e i sindacati di polizia, che hanno concordato la loro volontà di consolidare l’immunità della polizia. Il suo impatto deleterio è tale da suscitare l’opposizione unanime dei gruppi a tutela dei diritti umani. Il testo, che è stato rivisto da una commissione legislativa tenutasi tra marzo e luglio 2020, contiene numerosi articoli che mirano a ridurre la libertà. Per come si presenta, criminalizza l’”oltraggio” alle forze dell’ordine: per un “ACAB”, il cittadino rischia due anni di carcere e una multa di 10.000 dinari. Minacciare o insultare il figlio di un agente di polizia comporta il rischio di una pena detentiva fino a cinque anni di reclusione e una multa di 25.000 dinari.

Questo disegno di legge calpesta allegramente anche una delle principali conquiste della rivoluzione tunisina del 2011, la libertà di stampa. Fotografare o filmare una “operazione di sicurezza” equivale a due anni di carcere. Il giudice, sotto la pressione dei sindacati di polizia, è libero di equiparare il controllo dell’ordine durante le manifestazioni a una “operazione di sicurezza”. Infine, “l’ufficiale delle forze armate non si assume alcuna responsabilità penale” se causa lesioni o morte in difesa delle sue proprietà (veicolo, domicilio) o del suo luogo di lavoro.

L’ascesa del Partito Destourien Libre (molto conservatore e pro-vecchio regime) nei sondaggi d’opinione potrebbe rappresentare una configurazione politica che favorirebbe l’approvazione di questa legge. A parte il Courant Démocrate (partito social-democratico) e i partiti di sinistra, i principali partiti politici non hanno preso una posizione ufficiale su questo testo. Il movimento islamista Ennahdha (che ha il maggior numero di eletti in parlamento) sta adottando una posizione ambigua al riguardo: mentre i suoi membri chiedevano che il disegno di legge venisse esaminato lo scorso settembre, questa settimana una deputata ha annunciato che il suo blocco parlamentare si sarebbe opposto. È stata creata una grande coalizione contro la legge, che riunisce ONG internazionali, l’ordine degli avvocati, il sindacato dei giornalisti, ecc.

Un braccio di ferro tra i sindacati di polizia e gli oppositori alla riforma di legge

Organizzazioni create nel contesto di una libertà di parola e del momentaneo indebolimento dell’apparato di sicurezza nel 2011, i sindacati di polizia si sono trasformati in potenti gruppi di interesse in grado di mobilitare risorse materiali e umane per imporre i loro interessi. A difesa dei loro colleghi, usano la forza e l’intimidazione. Nel febbraio 2018, ad esempio, hanno manifestato davanti al tribunale della periferia sud di Tunisi, armati, a sostegno di cinque colleghi accusati di aver torturato un detenuto. Lo scorso venerdì, lo stesso modus operandi è avvenuto dopo la denuncia di aggressione presentata da un avvocato (video di supporto) aggredito da alcuni agenti di una stazione di polizia.

I rappresentanti dei sindacati di polizia sembrano comportarsi come se questa legge fosse già in vigore, come se le critiche ai poliziotti fossero già criminali. Campagne di molestie ai danni di manifestanti sui social network, aggressioni sessuali durante le manifestazioni, minacce, sorveglianza… Fanno a gara nella repressione del movimento, nella più totale illegalità. A Sfax, la sezione locale di un sindacato di polizia ha presentato denuncia contro una militante per “insulto a terzi” sui social network; la compagna è in attesa del processo previsto per dicembre. Il sindacato dei funzionari di pubblica sicurezza ha annunciato che punirà i manifestanti per gli insulti alla polizia.

Foto di Arroi Baraket

Verso una mobilitazione globale contro le violenze della polizia?

Le mobilitazioni sono state sostenute da una nuova generazione di giovani attivisti, organizzati nel collettivo Hasebhom (dall’arabo: “citarli in giudizio”). Una fusione di lotte tra associazioni femministe, vari movimenti e partiti di sinistra, ultras, sindacati studenteschi, associazioni per la difesa dei diritti LGBTQI+ ha avuto luogo, soprattutto durante la manifestazione di giovedì scorso, quando centinaia di manifestanti si sono riuniti davanti al Parlamento per poi raggiungere l’arteria principale del centro di Tunisi, Bourguiba Avenue.

Degna di nota è l’importante mobilitazione degli attivisti della causa LGBTQI+, gruppi sociali che si collocano tra le prime vittime dell’arbitrarietà della polizia. La loro partecipazione ha creato anche un’ondata di attacchi omofobici e transfobici da parte delle forze dell’ordine.

Alcuni guardano già oltre il ritiro della legge e chiedono la fine dei sindacati di polizia. In un contesto globale dove regimi politici sempre più contrastati si nascondono dietro apparati di sicurezza sempre più tutelati, i collettivi come Hasebhom ci riportano l’urgenza di costruire un’organizzazione rivoluzionaria che risponda agli interessi dei lavoratori e delle classi popolari, e di adottare un programma d’azione che colleghi la lotta sociale e la difesa dei diritti democratici contro il regime e l’imperialismo.

 

Traduzione da Révolution Permanente

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