In mezzo a vari distinguo e toppe temporanee, termina oggi il blocco dei licenziamenti come chiesto a gran voce da molti settori padronali. Queste misure cadono dall’alto con la complicità della grande burocrazia sindacale: c’è bisogno di un piano di lotta per contrastarle!


Lo sblocco dei licenziamenti, che aveva un termine definito al 30 giugno, è stato confermato dal governo e dalle parti chiamate in causa. La proposta del ministro del lavoro Orlando, che avrebbe voluto portare in avanti di due mesi il blocco dei licenziamenti prorogandolo al 28 agosto, è stata bocciata dal governo e ovviamente da Confindustria. Da parte di Maurizio Stirpe, vicepresidente con delega alle relazioni industriali di Confindustria, la strada da seguire era quella di non prolungare il blocco dei licenziamenti oltre il 30 giugno, ma fare soltanto alcune riforme sugli ammortizzatori sociali. Stirpe ha denunciato il fatto che le aziende, nel periodo in cui sono state chiuse ed hanno garantito ai propri dipendenti una cassa covid pagata interamente dallo Stato, si sono trovate comunque a dover sostenere un pagamento delle quote addizionali, in sostanza dei ticket variabili che partivano dal 2% fino arrivare al 15% per i trattamenti di integrazione salariale. La possibilità di prorogare il blocco dei licenziamenti fino al 28 agosto ha scatenato l’ira del presidente Confindustria Carlo Bonomi, il quale ha dichiarato  che il possibile prolungamento fosse un attacco alle imprese e non avrebbe favorito la ripartenza dell’Industria italiana: “la libertà di fare impresa va di pari passo alla libertà di poter licenziare”.

Fino al 30 giugno le aziende hanno potuto utilizzare ancora la CIG covid-19. La nuova proposta consiste in sintesi nel fatto che dal primo luglio le aziende non dovranno neanche più pagare di tasca propria le quote addizionali, nulla di più. Secondo le primissime stime, la nuova norma avrà un costo per le casse dello Stato dell’ordine di 165 milioni di euro, con una platea potenziale di circa 380 mila lavoratori. Alle aziende inoltre vengono garantiti esoneri contributivi, e pacchetti studiati appositamente per far risparmiare ulteriormente.

L’approvazione della linea dura sullo sblocco dei licenziamenti, soprattutto a fronte della continuazione dello “stato d’emergenza” che continua a garantire maggiori poteri al governo, porterà certamente ad un aumento importante della disoccupazione, con stime anche da parte padronale di diverse centinaia di migliaia di persone che perderanno il lavoro in breve tempo, favorendo le condizioni perché aumenti la tensione sociale nei prossimi mesi.

Proprio per poter dichiarare anche stavolta che “non passa la linea di Confindustria”, il governo ha convocato ieri CGIL, CISL, UIL, Confindustria, Alleanza delle Cooperative e Confapi per un ultimo confronto sulla misura, che si è evoluto in una contrattazione durata sette ore che farà da piattaforma per il consiglio dei ministri convocato per oggi alle 16. L’incontro di ieri, peraltro, si è tenuto proprio mentre i licenziati Fedex, sostenuti dai disoccupati napoletani del movimento 7 novembre, tenevano un presidio sotto il MiSE per ottenere un tavolo sulla loro vertenza, ottenendo udienza (non dai ministri) solo in serata.

Quali sono le principali novità dell’accordo che finirà nel decreto-ponte approvato oggi?

_I settori del tessile, della moda e del calzaturiero hanno una proroga del blocco dei licenziamenti fino al 31 ottobre;

_13 settimane garantite di cassa integrazione gratuita per le aziende c0n tavoli di crisi al MiSE e per le piccole vertenze locali, con obbligo di usare tutti gli ammortizzatori sociali e gli strumenti contrattuali (riduzioni dell’orario del lavoro, ecc.) prima di procedere ai licenziamenti.

La montagna ha partorito il topolino, eppure i capi dei sindacati confederali cantano vittoria, ottenuta tramite “la mobilitazione dei lavoratori” secondo Landini: sicuramente, quella poca che c’è, non proprio promossa dalla segreteria nazionale della CGIL, che di fronte ai licenziamenti di massa come in Alitalia e Fedex, di fronte alle morti sul lavoro che sotto la pandemia sono aumentate, di fronte a episodi di repressione delle lotte gravissimi, culminati nell’uccisione di Adil Belakhdim, non ha promosso nessuna mobilitazione nazionale vagamente al livello dello scontro in atto. Che testate di sinistra parlino di come i sindacati abbiano “piegato” Confindustria, è semplicemente ridicolo: a fronte di un contentino sul quale i padroni non scuciono un soldo, è vero il contrario.

In tutto questo turbine di soldi erogati ai padroni, alla classe operaia rimane poco e nulla, e in più è coi soldi delle nostre tasse, perlopiù, che si paga questa nuova casssa integrazione. Non possiamo accontentarci delle briciole, dei sussidi momentanei, e vedere ancora la classe padronale ingrossare sempre più i propri profitti, senza che le sia imposto alcun limite. I milioni di disoccupati e licenziati che vediamo in Italia come in altre parti del mondo sono andati ad ingrossare le fila di un proletariato sempre più povero, con il divario tra ricchi e poveri sempre più ampio. Dallo scoppio della pandemia si è però anche vista una nuova ondata di lotte sociali che hanno animato (a volte sconvolto) la scena nazionale e internazionale, che hanno rifiutato le imposizioni classiste dei governi come se fossero leggi di natura e che hanno risposto con forza alla repressione armata: le manifestazioni di massa contro il golpe in Myanmar, ormai sull’orlo della guerra civile; l’enorme rivolta cilena contro 30 anni di “democrazia” post-Pinochet e i continui rincari, così come la ribellione colombiana contro l’ennesima controriforma fiscale; gli scioperi di massa, specie nella logistica e tra i metalmeccanici, che un anno fa in Italia hanno detto no al “liberismo pandemico” che negava la sicurezza nelle fabbriche e nei magazzini.

Ecco, queste e altre lotte portate avanti con posizioni radicali e politicamente coscienti, o anche soltanto da chi vede un ingiustizia non più tollerabile, ci porta a pensare che non solo questa è la strada giusta per cui dobbiamo ancora lottare e sacrificarci, ma che è una strada percorribile, che ci può portare alla vittoria. Abbiamo visto quante persone non sono e non vogliono rimanere inerti di fronte alle dinamiche infami che promuove il capitalismo, partecipando e lottando contro le sue brutalità. Non lasciamo ai padroni le decisioni che andranno a condizionare le nostre vite ai padroni. Noi lavoratori, lavoratrici, disoccupati, tutti coloro che vogliono vivere dignitosamente nel rispetto degli altri e della natura abbiamo un obiettivo da raggiungere e non possiamo quindi girarci dall’altra parte e rimandare la lotta a chissà quando. Adesso è il momento di agire, di lottare, di organizzarci.

A partire da una campagna perché sia convocato uno sciopero generale contro i licenziamenti e contro la repressione dei lavoratori e delle lotte sindacali, per far sì che non rimangano impuniti i responsabili dei morti sul lavoro, della morte di Adil Belakhdim. 

Perché sia convocato dal più largo fronte sindacale possibile, contestando la passività della grande burocrazia sindacale, e unendo nella mobilitazione e nelle rivendicazioni le forze della gioventù e dei movimenti d’opposizione sociale.

Per ripartire il lavoro fra tutti garantendo a ognuno un salario dignitoso per vivere, contro l’allungamento dei turni e il lavoro sottopagato e spesso in nero che invocano interi settori di padroni insieme a Salvini e ai agli altri politici a loro asserviti!

Per una settimana lavorativa di 30 ore!

In questa direzione si è mossa una prima riunione tra diversi sindacati di base e l’area d’opposizione Riconquistiamo tutto! della CGIL, convocata ieri a Roma dal Si Cobas, che si è aggiornata verso un’assemblea pubblica il prossimo 11 luglio a Bologna, dove si discuterà la possibilità di uno sciopero generale, che possa intercettare settori di lavoratori in molte categorie e sigle sindacali, da lanciare il prossimo autunno.

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