Il 29 giugno di fronte al ministero del lavoro e dello sviluppo economico si è svolto un presidio partecipato da quasi trecento tra lavoratori, disoccupati e studenti a sostegno della vertenza FedEx contro la chiusura del sito di Piacenza e per la stabilizzazione dei lavoratori della manutenzione stradale delle province campane. La risposta delle istituzioni è stata imbarazzante, ma anche assolutamente chiarificatrice.


Nonostante fosse previsto un incontro con le istituzioni questo è arrivato effettivamente solo dopo 8 ore di presidio e l’occupazione di un cantiere adiacente al MISE. Già dalle 13:00 lavoratori e solidali da Piacenza, Napoli, Roma, Milano e Bologna si sono assiepati a ridosso dell’edificio sbarrato. Sì, sbarrato. Evidentemente le stesse istituzioni che avevano dato disponibilità per un incontro non erano presenti e, con il passare delle ore, i manifestanti hanno cominciato a mostrare segni di comprensibile malcontento facendo salire la tensione con le forze dell’ordine schierate con una mezza dozzina di blindati e decine di agenti in assetto antisommossa ed in borghese.

Verso le 15:00, mentre arrivava la notizia che i ministri Orlando e Giorgetti non sarebbero potuti venire per impegni al consiglio dei ministri, i lavoratori, esausti si sono diretti in corteo verso l’adiacente piazza Barberini, intenzionati a raggiungere Palazzo Chigi, se necessario. La polizia si è così schierata bloccando il passaggio dei manifestanti e comprimendo la manifestazione su Via Molise mentre un gruppo di lavoratori campani occupava un cantiere adiacente allo stesso Ministero.

Servono altre interminabili ore perché una delegazione, verso le 21:00, sia ricevuta e si fissino nuove date per entrambe le vertenze. La reticenza dei ministri, l’aggressività delle forze dell’ordine e, dall’altro lato, la determinazione dei lavoratori e delle lavoratrici, a poche ore dalla giornata che sancirà definitivamente lo sblocco dei licenziamenti, rappresentano però con chiarezza feroce quanto il governo ed i padroni vogliano contrattare con la classe operaia su questioni di livello nazionale e locale.

La vergognosa ipocrisia di chiamare un incontro per poi ignorare centinaia di lavoratori mostra il vero volto della borghesia, a prescindere dalla insopportabili parole di cordoglio e preoccupazione per i pestaggi fuori dalle fabbriche, per le tragicamente numerose morti sul lavoro e, infine, per l’uccisione di un sindacalista fuori da un magazzino, durante uno sciopero.
Non è evidentemente attraverso il dialogo con una controparte simile che i lavoratori, oggi di FedEx o della manutenzione stradale di Napoli, domani tutti gli altri, riusciranno a strappare risultati concreti contro l’impoverimento, la disoccupazione e i diritti sociali e sindacali. No, sarà solo attraverso la maggiore unità ed organizzazione costruita attorno a queste vertenze più avanzate e trasversale alle sigle sindacali che potrà aprirsi un piccolo varco nel muro antioperaio eretto da confindustria e dal governo.
E dei passaggi sono già stati fatti in questa direzione, dopo la convergenza di diverse sigle del sindacalismo di base sulla risposta all’uccisione di Adil, nella stessa giornata della manifestazione di Roma delegazioni di Si Cobas, USB, ADL Cobas, CUB e altre sigle minori si incontravano proprio a Roma per costruire una data di sciopero nazionale a Ottobre. Questo passaggio, anche se non sufficiente, è necessario e deve puntare ad allargare il più possibile ai lavoratori e le lavoratrici iscritte alle sigle più combattive e meno compromesse ma anche diventare un perno di attrazione verso tutti gli altri e le altre, un agglomerato che riesca a denunciare le complicità delle burocrazie sindacali e degli interessi politici borghesi.
Oggi più che mai concedere sponde alle forze politiche che rappresentano i padroni sarebbe un errore enorme, bisogna invece lottare perché cresca e si organizzi, nelle pieghe del disastro sociale che i padroni stanno preparando, l’unica forza che quel disastro sociale può contrastarlo: quello della classe operaia organizzata.

CM