Ultimamente è salita all’onore delle cronache la vicenda che vede implicata la famiglia dell’ex sindacalista e ora deputato, eletto con la lista Sinistra Italiana-Verdi, Aboubakar Soumahoro: è oggetto di indagini preliminari la gestione della cooperativa dell’accoglienza “Karibu” sita nella provincia di Latina, di proprietà della suocera di Soumahoro. I giornali di destra non chiedevano di meglio per attaccare la sinistra riformista e, cosa ben più grave, qualsiasi logica a favore dell’accoglienza universale e umana dei profughi. Ma quali sono i problemi della condotta della Karibu dal nostro punto di vista?

Ne parliamo con Alberto Violante, organizzatore sindacale venuto a contatto con la cooperativa qualche anno fa durante la sua attività col sindacato SI Cobas di Roma.


 

Come sei venuto a contatto con questa realtà del territorio pontino e in che anni?

Era l’estate del 2018 e fummo chiamati da degli operatori sociali che avevano deciso di raggrupparsi in un comitato di iscritti di alcune decine di persone durante il periodo della prima crisi di Karibu. La cooperativa già allora era diventata la prima cooperativa sul territorio pontino in termini di servizi per l’accoglienza dei migranti. Tra la fine degli anni 2000 e l’inizio degli anni 2010 aveva conosciuto una crescita esponenziale, non solo in termini di gestione dei centri di assistenza, ma anche di offerta di altri servizi e di consolidamento come soggetto imprenditoriale, diciamo, a tutto tondo, avendo fatto investimenti in altri settori (si parlava di reinvestimenti nella cooperazione internazionale) di cui non ho una vera cognizione, e soffrendo, come tutte le cooperative, dei ritardi dei pagamenti dalle istituzioni preposte [un aspetto che è importante sottolineare visto che la linea difensiva di Liliane Murakatete e la madre Therese consiste nel chiamare in causa i crediti nei confronti dello stato come giustificazione per la non erogazione dei salari ndr].

 

Quali erano le questioni che spinsero i lavoratori e le lavoratrici a contattare il sindacato?

Una questione fondamentale che innescò la sindacalizzazione fu che la cooperativa in quel periodo iniziò a pagare con estremo ritardo gli operatori e inoltre questi operatori erano quasi tutti a tempo determinato, sforando di gran lunga il limite legale della percentuale di forza lavoro a tempo determinato che si può avere rispetto al totale della forza lavoro impegnata. Questa cosa provocò la successiva minaccia di sciopero e successivamente aprì la possibilità di un tavolo in prefettura. Il prefetto aprì una mediazione e si arrivò sia alle proroghe di alcuni contratti sia al pagamento di alcune mensilità di salario arretrate. Nel frattempo i tagli all’assistenza emessi dal decreto Salvini aprirono una nuova fase della crisi che derivava appunto dall’ingrossamento sregolato di questa cooperativa e dagli investimenti che avevano evidentemente squilibrato il bilancio. Fondamentalmente non c’erano sufficienti fondi per garantire tutti i servizi necessari. Questo comportò il fatto che la società chiuse una serie di centri assistenza a iniziò a licenziare in massa.

In quel periodo il comitato degli iscritti era composto da italiani molto giovani che non avevano intenzione di restare in quella situazione per molto tempo e preferirono non impugnare la situazione fino in fondo, cosa che provocò il graduale spegnimento della vertenza. Prima che si spegnesse la questione, facemmo un’altro tavolo in prefettura e una manifestazione contro i decreti Salvini e per la continuità occupazionale dei dipendenti a cui la prefettura di Latina rispose facendosi trovare con la Digos al tavolo di trattativa. A quella manifestazione parteciparono anche degli ospiti Karibu che poi peraltro vennero anche minacciati, una volta tornati dentro le strutture, di essere spostati dal centro di residenza, per il fatto di aver partecipato a una manifestazione insieme a lavoratori e lavoratrici. Loro parteciparono perché non gli veniva consegnato il giornaliero né gli venivano garantite alcune prestazioni. Una cosa importante da dire è che, una volta esaurita questa ondata di crisi, Karibu è rimasta comunque sul mercato dell’accoglienza nel circuito SIPROIMI (ex SPRAR), ovvero il circuito di accoglienza destinato ai richiedenti asilo ma, dopo i tagli dovuti in particolare al decreto Salvini ci rimase in condizioni ancora più a ribasso, assumendo anche ex ospiti come lavoratori, quindi ancora più ricattabili.

 

È molto interessante l’ostilità delle istituzioni che descrivi: sono le stesse istituzioni che oggi si svegliano e indagano su un possibile caso grave di malaffare. Tu cosa pensi di questo cambio di politica?

Questi problemi erano molto noti a Latina ancor prima di quel periodo, mi sembra chiaro che questa operazione giudiziaria arriva, sì dopo un esposto in procura, ma solo dopo che Abu è diventato “famoso”. Non arrivò anni fa in cui di denunce pubbliche (magari non in procura) e trattative ce ne erano già state e ovviamente questo è per colpire la figura del deputato eletto con Sinistra Italiana-Verdi. D’altro canto quando noi facemmo il primo primo tavolo e firmammo i primi accordi, la cooperativa provò ad utilizzare l’organizzazione sindacale in cui militava Soumahoro, a quei tempi l’USB, anche per contrastare il SI Cobas tra gli iscritti. Da questo punto di vista non penso che S. possa dire che non sapesse che c’erano dei problemi, dato che al suo sindacato venne chiesto di controbilanciare la presenza del SI Cobas e della CGIL, il primo ed il secondo sindacato in termini numerici. Comunque la manovra non andò in porto e l’USB non entrò mai davvero nella cooperativa, anche se un suo funzionario partecipò ad un tavolo.

 

Quanta responsabilità, secondo te, ha la sinistra che non coglie le contraddizioni di alcuni personaggi poi utilizzati politicamente da forze istituzionali e governative per provare a ricostruirsi agli occhi dei settori popolari?

Penso che nessuno riesca a immaginarsi la politica in una maniera diversa dai comitati di rappresentanza elettorale che ha ridotto la sinistra politica nelle condizioni in cui la vediamo ora. Anche fra settori sinceramente socialdemocratici, magari ostili all'”entrismo” nel PD (o in coalizione con esso), quasi nessuno pensa sia possibile radicare la politica dentro i settori subalterni, quindi quando si offre l’occasione di trasformare un personaggio pubblico/televisivo, come era divenuto effettivamente Soumahoro, in un politico a tutto tondo, accoppiandolo ad un marchio politico nazionale, questa occasione viene colta, perché tutti pensano che la politica sia fatta da comitati di rappresentanza elettorale efficaci sul piano mediatico, e non da delegati e rappresentanti delle comunità e dei settori che lottano. Che poi la storia finisca in recriminazioni sulla correttezza vera o presunta di questi personaggi è più o meno scontato. 

Una parte della prevedibilità di questa campagna politica è data proprio dallo scollamento di queste figure pubbliche dalla base sociale che dovrebbero rappresentare. In un vero organismo antagonista la questione della “trasparenza” dovrebbe essere sostituita da una questione di democrazia interna, che è la garanzia della radicalità di quell’organismo politico. Io non devo rendere conto come una figura istituzionale qualsiasi ai “cittadini”, ma ai miei “compagni” sì, e questo è anche un vincolo di aderenza ai principi politici e di correttezza nella misura in cui gli stessi rappresentanti fanno quello che gli permette la base, non quello che è più congeniale alle loro ambizioni, anche coperte di buona fede. Non so quanto questo processo sia successo nel momento in cui Soumahoro ha provato a dare seguito a una sua struttura organizzata (La Lega dei Braccianti, ndr). Non si tratta di fare gli influencer o di utilizzare la gogna pubblica contro questa o quella figura pubblica, ma di ragionare politicamente su come evitare che, in risposta a questo tipo di scandali, poi anche il movimento e la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici subiscano il rinculo a livello anche di morale e convinzione.

 

 

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