In occasione della manifestazione nazionale del 26 novembre indetta da Non Una Di Meno per la giornata mondiale contro la violenza di genere del 25 novembre, proponiamo una campagna su 10 punti centrali per sfidare il governo Meloni: temi che svilupperemo in una serie di articoli di approfondimento. 

Abbiamo bisogno di un piano e di un programma di lotta basato sui nostri bisogni contro il nuovo governo conservatore-reazionario!


In occasione del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza di genere, e della manifestazione nazionale collegata del 26 novembre, che da sei anni vede partecipare più di centomila persone in piazza al grido di “Non Una Di Meno!”, e di fronte l’ascesa al governo della destra rappresentata dalla prima premier donna della storia d’Italia, crediamo sia fondamentale non solo manifestare il nostro dissenso ma organizzarci con un piano di lotta per sfidare il governo e non permettere che si faccia un passo indietro sulle libertà che ci siamo conquistatə con la lotta. Siamo convinte che la destra sia l’espressione più becera di un sistema patriarcale che fonda le sue radici nella proprietà privata, a partire dal possesso delle donne, dalla violenza cattolica che criminalizza le diversità di genere e sessuali, e che chiama all’ordine attraverso la repressione al fine del mantenimento di uno stato di cose prese che si interseca perfettamente con il capitalismo e la dinamica di sfruttati e sfruttatori.

Su questi dieci punti vi invitiamo a contattarci (su facebook e instagram) per manifestare e organizzarti con noi, Il Pane e Le Rose, per questo 26 novembre e oltre!

Le nostre proposte per un programma di lotta contro il governo Meloni e l’alleanza tra patriarcato e capitalismo

1. Contro un governo di destra che non fa gli interessi delle donnə: il fatto che a capo del neoeletto governo Meloni ci sia una donna non dà alcuna sicurezza a noi donnə (cis, nonbinariə, agender…) e la comunità LGBTQIA+ & disability. La retorica del femminismo liberale è quella per cui l’emancipazione femminile significa raggiungere posizioni di potere e che le donne possano dare un volto più umano e gentile al capitalismo, in un’ottica che conserva tutto il retaggio patriarcale della donna-madre amorevole. Quando la realtà è che per terminare con l’oppressione di genere dobbiamo lottare contro il sistema che lo alimenta, contro le divisioni in classi e contro ogni tipo di separatismo, perché le donne, le persone LGBT+, sono parte fondante di quella classe che ogni giorno viene sfruttata da quei pochi che detengono tutta la ricchezza, che essi siano donne o uomini.

2. Contro la retorica di “sono una donna, sono una madre e sono cristiana”: la Meloni ha fondato la sua campagna elettorale, in Italia e anche all’estero, con un video diventato virale sul web per queste affermazioni, che sintetizzano il programma tradizionalista e conservatrice che ha intenzione di portar avanti nel suo governo. Questo però, se può attrarre una fascia di elettori, è uno slogan che per molti significherà violenza, paura e repressione. Non è un caso che quando la Meloni ha parlato nel suo programma di educazione sessuale nelle scuole, della legittimazione delle persone trans con i loro nomi nelle varie istituzioni, o quando ha parlato di adozioni omogenitoriali, ma anche di obesità e difficoltà psicologiche nei giovani ha definito tutto questo “devianze”. Questa sua linea espone ad un’enorme pressione sociale tutte le persone che non rientrano nell’eteronormatività, nonostante dopo anni di piccole conquiste si sia almeno riusciti a portare nella dimensione pubblica ciò che, per i conservatori come la Meloni, è sempre dovuto essere privato. Oggi la Meloni vuole ritornare indietro a quando per le istituzioni parlare di identità di genere e orientamento sessuale era considerato un vezzo di una sinistra libertina, posizione che ha generato quell’ipocrita silenzio che tacitamente ha sempre legittimando atti di bullismo, violenze sia individuali che sociali. Ricordiamo che la Meloni è tra quei deputati che all’affossamento del DDL Zan si è alzata in piedi esultando con grida da stadio.

Noi rivendichiamo che non c’è nessuna “devianza” a non essere conforme a questo sistema che distrugge la vita – quella delle singole persone così come su scala planetaria – anzi, che non sentirsi assimilabili ad un sistema che affama, opprime e sfrutta può essere il primo passo per sentirsi responsabili di un futuro migliore per tutta l’umanità.

Rivendichiamo che una donna non deve essere per forza madre, che essere italiani non significa essere ‘bianchi’ e cattolici, che l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono personali e non ruoli precostituiti dettati dalle norme sociali. Proprio per legare il personale al sociale rigettiamo la repressione statale e rivendichiamo un’adeguata educazione nelle scuole, che passa da quella sessuale, a quella del rispetto delle differenze di genere, etniche, religiose.

3. Non Unə Di Meno! Contro la violenza machista e le politiche che non sostengono le donnə e le persone LGBT+ nei processi di emancipazione: il governo Meloni non è certo il primo a continuare a disinteressarsi della condizione delle donne e delle persone LGBT+ che sono quotidianamente vittime di violenza a causa di mariti abusanti o di famiglie. C’è una lunga tradizione che ha toccato tutti i partiti, da destra a sinistra, che ha visto votare tagli ai piani antiviolenza, ai centri che si occupano della gestione delle donne in emergenza; che è passata per il mancato finanziamento dei percorsi di supporto nei pronto soccorso, nei centri di accoglienza per le nostre sorelle migranti, nonostante ad oggi si registri un femminicidio ogni tre giorni in Italia. Le statistiche della violenza di genere in Italia sono falsate  dalla paura e dall’invisibilizzazione delle denunce che le donnə, le persone LGBT+, fanno, in quanto spesso completamente inutili all’atto pratico, come nel caso di Alessandra Matteuzzi, uccisa a martellate dall’ex più volte denunciato alla polizia.

Chiediamo maggiori finanziamenti a sostegno di tutte le associazioni, che permettano sia di pagare tutte le spese necessarie per prestare soccorso alle donne nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, ma anche di assumere maggiore personale così da garantire una tutela maggiore e una migliore gestione per le vittime, oltre alla regolarizzazione sotto contratto a tempo indeterminato, con un salario adeguato al costo della vita, per tutte le volontarie che ad oggi dedicano gratuitamente la propria vita ad aiutare lə altrə. Chiediamo un piano di ristrutturazione degli edifici in disuso da utilizzare come residenza, perché il diritto all’abitare è fondamentale nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Inoltre, è indispensabile pensare ad un piano di sussidi che permettano il sostentamento della famiglia, oltre che corsi di formazione per l’inserimento nel mondo del lavoro e la disponibilità di asilo nido, doposcuola gratuiti per non costringere le madri ai salassi delle baby-sitter e a lavori part-time ultra-precarizzati. Perché è indispensabile che il lavoro di cura sia affidato nelle mani della collettività, attraverso la redistribuzione dei carichi domestici, con il coinvolgimento dello Stato. Far gravare il lavoro di cura solo sulle spalle delle donnə significa perpetuare una doppia oppressione, quella dal patriarcato e quella dello sfruttamento capitalista, in quanto, ormai le donne e la comunità LGBT compongono più della metà della forza lavoro mondiale. Chiediamo che nelle scuole vengano messi in piedi progetti che sensibilizzano sul tema e psicologi pronti all’ascolto per giovanə vittime di violenza machista.

La Meloni, nonostante si faccia promotrice dei valori della famiglia, sembra continuare a nascondere la violenza sotto il tappeto, incitando le donne a fare figli senza preoccuparsi delle condizioni in cui questi crescano. Così, non solo incita a sottoporre ancora i figli alla violenza di una famiglia ultra-tradizionale, alimentando i casi di violenza domestica e di abbandono o cacciata prematura dal nido familiare – comportamenti che vanno rafforzandosi socialmente, al di là delle ‘belle parole’. Inoltre, la retorica della famiglia tradizionale e numerosa colpirà frontalmente le donnə, in quanto saranno le prime ad essere sottoposte ad un doppio ricatto che renderà loro quasi impossibile uscire da situazioni di violenza domestica senza essere additate come “deviate”.

4. Per un piano di emergenza a sostegno delle persone razzializzate e per le pluralità religiose discriminate. Contro la xenofobia che questo governo vuole alimentare: bisogna schierarsi contro qualsiasi azione e retorica portata avanti da un governo che vede le migrazioni come un pericolo, provando a separare nettamente quelle “umanitarie” (a sua scelta) dalle altre. Non solo perché in prospettiva noi saremo i prossimi (e gli italiani sono a lungo stati tra gli emigrati ‘inferiori’), ma perché è una strumentalizzazione della lotta tra poveri che perpetua l’avvantaggiarsi dei pochi sui molti. Siamo stanchə di vedere ghettizzare le donnə migranti o portate alla prostituzione forzata dai mercenari delle tratte o ai lavori di cura sottopagati e spesso senza tutele contrattuali come badanti o come servizi delle pulizie. Vogliamo che le nostre sorelle abbiano la loro voce e ci sia la libertà di studiare, lavorare e avere diritto a uno stipendio degno come tuttə lə altrə. Per ottenere ciò chiediamo che venga semplificato e agevolato l’ottenimento dei documenti e che la cittadinanza sia fornita a tutti i residenti sul suolo italiano.

La Meloni, dopo Salvini e dopo altri ancora continuano a far leva sulla retorica dei migranti violenti anche per quanto riguarda la violenza machista, additandoli come provenienti da culture sottosviluppate e innalzandosi a esportatori di civiltà, atteggiamento “tradizionale” che ereditano dai colonizzatori bianchi che stupravano bambine e seviziavano le donne. Per questo denunciamo che la narrativa scolastica, politica e giornalistica, è pregna di una prospettiva imperialista e coloniale che capovolge la storia e disistruisce lə studentə.

5. Contro uno “Stato di difesa” che risponde con i manganelli alle contestazioni: denunciamo tutti i decreti sicurezza, antimovida, antirave come arma per colpire le contestazioni di operaə, studentə contro il sistema che li affama. Non abbiamo bisogno di ordine, ma di libertà, di spazi di socializzazione e di formazione sani; abbiamo bisogno di supporto psicologico gratuito, di scuole e università gratuite e che rivedano il modello d’insegnamento da meritocratico e competitivo ad orizzontale. Siamo stanche come donne di essere utilizzate come pretesto per militarizzare le strade di sera. Rivendichiamo un’educazione diffusa affinché tuttə sappiano organizzare spazi sicuri.

6. Riduzione dell’orario di lavoro, salari a livello dell’inflazione e dell’aumento costo della vita: abbiamo bisogno di un piano reale contro la povertà, che non vede misure ridicole come il sostegno alla famiglia per chi ha più di quattro figli o il reddito di cittadinanza. Vogliamo una lotta alla precarietà lavorativa, soprattutto quella femminile che costringe le donnə a contratti part-time, che non offrono alcuna tutela, a causa del peso del lavoro domestico. Vogliamo che il gender gap si riduca a zero, che si ritorni alla maternità a 9 mesi e che ci sia un congedo parentale sostanzioso disponibile anche per i padri, che gli stipendi siano innalzati al costo della vita e che l’orario lavorativo sia ridotto per tuttə: lavorare meno, lavorare tuttə è una rivendicazione che impatta frontalmente sul tema del doppio carico di lavoro femminile. Inoltre, vogliamo un ammortizzazione dei costi di luce, gas, ed energia, la riduzione degli affitti che rendono proibitiva la sopravvivenza e l’emancipazione di tantə.

7. Diritto alla salute contro diritto al profitto, per una sanità universale, realmente al servizio di tuttə: con la pandemia abbiamo visto la necessità reale di un investimento importante nella sanità pubblica, per non degenerare ulteriormente in un modello ‘statunitense’ dove chi ha i soldi sopravvive e chi non li ha è condannato alla morte. Per questo vogliamo una sanità pubblica che permetta di fare prevenzione in modo gratuito, che permetta a tutte le persone trans o agender di intraprendere tutti i percorsi necessari in modo totalmente gratuito, chiediamo che la PrEP e tutte le cure e prevenzioni per le infezioni sessualmente trasmissibili siano note e somministrate in modo totalmente gratuito dal sistema nazionale. Vogliamo che le “malattie invisibili” vengano riconosciute e che si finanzino ricerche al fine di agevolarne la cura. Vogliamo psicologi di base al servizio del paziente, e non del sistema, per tuttə!

Perché in un momento di crisi politica, economica, sociale come questa la salute è un diritto fondamentale, ma anche il primo a cui si smette di far fronte a causa degli elevati costi, invece noi vogliamo che sia realmente universale! 

Che alla Meloni piaccia o no, tuttə abbiamo diritto alla vita, e non abbiamo intenzione di vedere altrə morire, suicidarsi o essere ammazzatə perché non hanno avuto le possibilità che hanno i più ricchi.

Sappiamo che per fare tutto ciò i soldi ci sono: che si prendano dagli istituti d’istruzione e dagli enti, ospedali privati o gestiti dalla Chiesa che continua a metterci al rogo, solo in forme diverse.

8. I corpi sono nostri e decidiamo noi: molto di più della 194: siamo stanchə di sentir parlare dei nostri corpi come se non ci appartenessero, siamo stanchə che si metta in discussione una legge che abbiamo conquistato con la lotta ed il sangue. Nonostante la Meloni continua a rincuorarci dicendo che la 194 non verrà toccata, siamo convintə che promuovere la famiglia tradizionale, finanziare i convegni e associazioni prolife, non ostacolare l’intromissione politica ed economica della Chiesa nello Stato significa delegittimare, svuotare i diritti come quello all’aborto. Ad oggi in Italia si tocca il 65% degli obiettori di coscienza sul territorio nazionale, arrivando in Molise al 93%, ciò significa che necessitiamo di un intervento profondo, strutturale per garantire a tutte le persone gestanti la possibilità di abortire; compito che il governo Meloni ignora, per non dire che remerà probabilmente in direzione contraria.

9. Fuori la Chiesa dalle nostre vite, per un’istruzione transfemminista nelle scuole: conosciamo bene i legami che intercorrono tra diversi esponenti di questo governo e la Chiesa, come il presidente della camera Fontana. Non solo riteniamo che questo sia di per sé un attacco brutale alla vita delle persone LGBT+ e delle donnə: sia per la cultura conservatrice che la Chiesa porta su tanti diritti riconosciuti o ancora da riconoscere a livello legislativo in Italia alla comunità LGBT+, ma anche perché lo strapotere ecclesiastico si fonda su un solido trono in oro sgargiante che riesce a mettere le mani  a tutti i livelli nelle istituzioni dello Stato, fino all’università (com’è successo con i finanziamenti alla Sapienza di Roma) e crediamo che questo porterà ad uno sbilanciamento degli investimenti che siano sulla ricerca, sulle strutture, alla formazioni di nuovi operatori a discapito delle donne e delle persone LGBT+. Vogliamo la Chiesa fuori dalle nostre vite perché crediamo che sia fondamentale ripensare la nostra cultura ed educare le nuove generazioni alla bellezza della diversità a partire dalle scuole. Perché non esiste nessuna teoria gender, come dice la Meloni, ma solo la rivendicazione ad una collettività più sana e rispettosa, che muove i primi passi verso la coesistenza delle differenze. Nella consapevolezza che sono processi che non si esauriranno mai finché i rapporti umani saranno regolati dal profitto, quindi finché sussisterà il capitalismo.

10. Senza donnə non c’è rivoluzione, né lotta di classe per la costruzione di un’opposizione transfemminista: lottiamo contro ogni separatismo di genere, sessuale, etnico, religioso. Crediamo che le vittime del sistema capitalista e patriarcale nelle loro differenze hanno un fine comune quello della liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento. Siamo convintə che lə lavoratorə sostengano tuttə allo stesso modo sulle proprie spalle il mondo e che siano schiacciatə quotidianamente da quei pochi che detengono la maggioranza delle ricchezze. Per questo la ‘convergenza’ a cui hanno chiamato gli operai GKN non deve rimanere una parola, ma una pratica concreta di confluenza, unità e radicalità della classe lavoratrice. 

Perché il movimento transfemminista, che al suo interno vede donnə, madri, lavoratricə, può costruire un rapporto di forza sufficiente a battere sia il patriarcato sia il capitalismo solo praticando l’unità di tutta la classe lavoratrice, tra madri e lavoratricə, persone eteronormate e non, contro ogni divisione, a partire da quella di genere.

Per questo vi invitiamo a organizzarci insieme attorno un programma che non punti solo a rendere il sistema meno brutale, ma che lo abbatta definitivamente. Perché di fronte la crisi climatica, sociale, politica che sta sconvolgendo il mondo e le nostre vite ci restano solo due alternative: socialismo o barbarie!

 

Il Pane e le Rose – Pan y Rosas Italia

"Il pane e le rose" nasce nel 2019 e riunisce militanti della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) e indipendenti che aderiscono alla corrente femminista socialista internazionale "Pan y Rosas", presente in molti paesi in Europa e nelle Americhe