La lotta contro la riforma delle pensioni e il governo Macron ha visto un’altra data importante di sciopero generale giovedì scorso (con quasi un milione di persone in piazza a Parigi e proteste spontanee in tutto il Paese).

Il quadro che ci tratteggia Juan Chingo ,della redazione di Révolution Permanente, è quello di una tendenza crescente del movimento giovanile e dei lavoratori a scavalcare le direzioni burocratiche, alzando il livello anche ‘fisico’ dello scontro con le autorità.

È necessario in questo solco favorire forme di autorganizzazione e coordinamento tra i settori in lotta per alzare la posta in gioco.


La giornata del 23 marzo conferma che siamo entrati in un momento pre-rivoluzionario. Dopo l’approvazione della controriforma delle pensioni con il 49.3 [il dispositivo costituzionale autoritario con cui Macron ha fatto passare la riforma in parlamento], la determinazione della parte più attiva del mondo del lavoro, quella in lotta e che ha in mano il futuro del Paese, ha fatto un balzo in avanti. La mobilitazione del 23 marzo, potente e massiccia, conferma l’ipotesi che stiamo vivendo un momento pre-rivoluzionario aperto dopo il colpo di stato democratico scelto dal governo Macron-Borne.

L’intersindacale non è ancora superata, ma si trova di fronte a un tipo di movimento diverso da quello che abbiamo visto durante i primi otto giorni di azione. Un movimento di massa che ha difficoltà a controllare e incanalare. Possiamo caratterizzare questa lotta di massa con tre elementi caratteristici:

1) La combinazione di radicalismo, partecipazione di massa e sviluppo della spontaneità

In tutti i cortei si nota una nuova determinazione, un “clima da gilet giallo”, come si dice a Matignon [il palazzo del primo ministro francese ndt], fatto di lavoratori arrabbiati che iniziano a separarsi nell’azione dalle manifestazioni calme e pacifiche organizzate dall’Intersindacale. Arthur Nicola, da Le Havre, ha sottolineato questo cambiamento di spirito tra i manifestanti: “Mentre si accendevano fuochi di spazzatura prima dell’inizio della manifestazione, questa si è rapidamente divisa in due, con il corteo intersindacale locale da una parte e un corteo di manifestanti dall’altra, composto in particolare da scioperanti della sezione locale della CGT (Confederation Generale du Travail) di Harfleur e di altri settori della città. Per Frédéric Bichot, co-segretario della sezione, “oggi, vediamo che seguire un percorso ben ordinato, ben formattato per non disturbare nessuno, non corrisponde più alla realtà della lotta; oggi entriamo in una lotta più dura”. Come ha detto un altro manifestante di Le Havre, “è bello manifestare per davvero”.

2) L’ingresso dei giovani sulla scena

I giovani delle università e delle scuole superiori non erano ancora entrati pienamente nella lotta. Dopo il 49.3, hanno iniziato a scendere in campo in modo più massiccio, indignati per la brutalità antidemocratica del presidente. Lo si è visto durante le manifestazioni notturne a Parigi, ma anche a Strasburgo, Rennes o Nantes, solo per citare alcune città. Lo si è visto anche nei giorni precedenti nelle massicce assemblee generali che si sono tenute in diverse università come Mirail, Tolosa, Parigi 1 o Bordeaux Montaigne. Giovedì 23 marzo, secondo le organizzazioni studentesche e universitarie, mezzo milione di giovani ha manifestato, di cui 150.000 nella capitale. La protesta ha coinvolto anche luoghi di studio non abituati a mobilitarsi, come l’Università di Assas a Parigi, diverse scuole di ingegneria come Agro Paris Tech e INSA Toulouse e nuovi licei.

Diversi fattori concorrono a spiegare questo salto. Gli studenti hanno avuto una pessima esperienza dell’isolamento e del lungo periodo di chiusura delle università decretato dal governo. A questa prima lamentela si aggiungono le promesse non mantenute relative alla riforma dell’assegnazione delle borse di studio, di cui non beneficia gran parte degli studenti in difficoltà, o il rifiuto della maggioranza presidenziale di mantenere i pasti universitari a un euro, nonostante la precarietà e la povertà siano una realtà eclatante per molti studenti. Per i più giovani, c’è anche la possibile riforma del Servizio Nazionale Universale (SNU) [versione local del servizio civile ndt] a causare preoccupazione, soprattutto tra gli studenti delle scuole superiori, molto presenti durante le manifestazioni. In questo contesto, la decisione di Macron di reprimere con la forza le manifestazioni di massa è apparsa come uno schiaffo in faccia, un vero e proprio segno di disprezzo. Come ha detto uno studente intervistato da Le Monde, “se il governo usa la forza e non rispetta l’espressione democratica del popolo francese in strada, quale futuro politico abbiamo in serbo per i giovani?”.

3) Scioperi simultanei in diversi settori strategici

Dal 7 marzo si sono svolti scioperi rinnovabili in diversi settori strategici. È il caso dei lavoratori dell’energia, dei raffinatori, dei portuali, in misura minore dei ferrovieri e, soprattutto, dei netturbini. A causa della spazzatura che si accumula nelle strade di Parigi – facilitando gli incendi di rifiuti che hanno punteggiato l’ultima mobilitazione – i netturbini e i lavoratori delle fognature della capitale sono diventati veri e propri eroi di questo conflitto sociale. Ma dovremmo aggiungere anche i netturbini di molte altre città che sono, o sono state, in lotta, come a Nantes, Saint-Brieuc o anche Antibes e Poitiers.

Questi scioperi sono aumentati dopo il 49.3, a causa della paralisi completa della raffineria Total in Normandia, la più grande di Francia, e dello sciopero selvaggio del centro tecnico SNCF di Chatillon, che ha un impatto considerevole sul traffico TGV su tutta la rete occidentale, dalla stazione di Montparnasse. Sebbene diversi di questi settori strategici siano i soliti settori d’avanguardia di altri grandi movimenti di protesta, questa è la prima volta che scioperano quasi contemporaneamente, il che amplifica l’effetto del movimento, a differenza del 2019, quando questi scioperi non erano coordinati, o del 2016 o del 2010. All’epoca, solo uno o due di questi settori erano realmente mobilitati.

Insieme alla crisi politica che si è aperta dopo il 49.3 e che abbiamo già descritto la scorsa settimana, la presenza di questi tre elementi saldati insieme nella strada contro Macron spiega l’attuale forza e dinamica del movimento. Anche se il livello di violenza non raggiunge quello dei Gilet Gialli, forse mai dal 1968 un movimento sociale si è spinto così in là nel suo livello di confronto con il potere.

Per vincere, abbiamo bisogno di una maggiore organizzazione dei settori in lotta

L’attuale potente dinamica dà morale e forza all’avanguardia del movimento, che è convinta sia possibile che Macron ritiri la sua riforma, come accadde a Jacques Chirac nel 2006, dopo che il CPE fu votato ma anche promulgato dall’allora presidente. Rispetto al 2006, però, la situazione è totalmente diversa. La forte mobilitazione guidata dai giovani di allora, sebbene molto radicale nei suoi metodi di lotta, era più anti-neoliberista che anti-capitalista. Il regime della Quinta Repubblica, sebbene avesse appena subito i primi scossoni della crisi organica, con l’arrivo di Jean-Marie Le Pen al secondo turno nel 2002 e soprattutto la vittoria del No al referendum sul Trattato costituzionale europeo nel 2005, o la rivolta nelle periferie dello stesso anno, era più forte di oggi. Il bipartitismo destra-sinistra funzionava ancora, per cui una vittoria sociale poteva ancora essere assorbita in questo quadro istituzionale, come avvenne quando Chirac sciolse l’Assemblea Nazionale, e la sinistra plurale, egemonizzata dal PS, vinse le elezioni legislative.

Oggi Macron non può arrendersi. Se ritirasse la sua riforma, come richiesto sia dalle forze sindacali che da La France Insoumise, la debolezza della sua presidenza e la forte crisi del regime della Quinta Repubblica, sempre più polarizzato a sinistra e a destra, porterebbero all’apertura di una situazione pre-rivoluzionaria. I grandi capi, all’epoca dei Gilets Jaunes, colti di sorpresa da una mobilitazione spontanea ed esplosiva ma che non metteva in discussione il rapporto salariale, spaventati dal livello di violenza nei loro quartieri signorili e nei luoghi del potere, avevano fatto pressione su Macron affinché cedesse parzialmente. Al tempo, potevano ritenere che questo arretramento del potere non sarebbe stato immediatamente sfruttato dal movimento operaio, vista la politica ostile dei vertici sindacali nei confronti del movimento.

Nella situazione attuale, più esplosiva sia per la crisi di chi sta in alto, sia per la forza e il carattere oggettivamente anticapitalista della mobilitazione di chi sta in basso (e sempre più soggettivamente, specie per quanto concerne l’ampia avanguardia), anche un parziale ritiro di Macron non potrebbe che favorire lo sviluppo della mobilitazione rivoluzionaria del movimento di massa. Allo stesso tempo, anche un compromesso parziale come quello cercato dall’intersindacale, che ieri ha chiesto attraverso Laurent Berger una pausa, abbandonando di fatto la richiesta di ritiro della riforma, è inammissibile, a causa dell’intransigenza neoliberista rafforzata dopo il 2008 [1].

Questa intransigenza dei padroni è rafforzata dalla prospettiva di nuove crisi finanziarie – come dimostra il crollo della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti – e dall’aumento del costo del debito sovrano a causa dell’aumento dei tassi di interesse. La borghesia francese cercherà di scaricare il peso di queste crisi sulle spalle del proletariato, come dimostra l’attuale riforma e come chiedono i settori più bonapartisti del regime. In queste condizioni nazionali e internazionali, accettare un parziale arretramento costituirebbe un precedente preoccupante per il regime.

Tutti questi elementi sottolineano quanto sia vero che ottenere il ritiro della riforma implichi la sconfitta di Macron. Questa lotta contro il Presidente, figura centrale della Quinta Repubblica, che concentra tutti gli elementi più reazionari del regime, necessita di un livello di lotta molto più alto di quello attuale, con un salto nella generalizzazione dello sciopero a tutti i lavoratori. In altre parole, deve avvenire una concretizzazione dello sciopero generale politico. Il merito della rivolta dei Gilet Gialli è di aver sollevato questa questione dietro lo slogan “Macron dimettiti” e dirigendo le sue manifestazioni contro l’Eliseo. Ma a causa dell’assenza dei settori centrali del movimento operaio, non è stata in grado di risolverla. Le ampie forze e la profondità del movimento attuale, non solo nei diversi strati del proletariato ma ora anche nella gioventù, creano le condizioni per una risoluzione della questione, a condizione che ci sia un salto nell’organizzazione delle masse in lotta. Questa debolezza rimane il tallone d’Achille dell’attuale movimento.

Un problema urgente da risolvere: l’organizzazione dei settori in lotta

I comitati d’azione per lo sciopero generale sono un potente strumento di organizzazione delle masse in lotta. Il loro compito è quello di unificare la lotta difensiva delle masse lavoratrici, dando loro la consapevolezza della propria forza per passare all’offensiva contro Macron e lo Stato capitalista. Nell’immediato, ciò significa organizzare i seguenti compiti del movimento:

a) Mantenere e difendere i picchetti

Il fatto che lo sciopero non sia ancora generalizzato rende il mantenimento dei progressi del movimento verso lo sciopero generale un compito di primo piano. Questo non solo è importante per i rapporti di forza attuali e per la possibilità di bloccare l’economia, ma anche al fine di rafforzare il morale del movimento nel suo complesso. Come ha detto un insegnante-attivista di Montpellier: “Il fatto che ci siano sempre più settori in sciopero ci motiva, ci crediamo”. È proprio per queste ragioni che il governo ha accelerato la requisizione delle raffinerie. Con una mossa decisiva, il giorno successivo alla giornata di azione del 23 marzo, è riuscito a sgomberare il TIRU di Ivry, il più grande inceneritore di rifiuti d’Europa e la roccaforte centrale dello sciopero dei lavoratori dei rifiuti.

Attraverso appelli sui social network o relazioni intersindacali e militanti nei bastioni della lotta come Le Havre, Fos-sur-Mer o Saint Nazaire, centinaia di lavoratori, sindacalisti, studenti e attivisti si stanno già opponendo alle forze dell’ordine, con risultati diseguali. Tuttavia, non mancano le forze per porre fine a queste provocazioni: invece di centinaia, dovremmo essere in migliaia a respingere le forze dell’ordine.

Prendiamo il caso di Le Havre. Il 23 marzo, 50.000 persone si sono mobilitate nelle sue strade, in una manifestazione molto militante. Se la CGT della raffineria, del porto o i sindacati locali chiedessero l’elezione di rappresentanti in un comitato d’azione cittadino per lo sciopero generale in ogni fabbrica, ufficio, posto di lavoro e studio, sarebbe possibile iniziare a raccogliere migliaia di combattenti per sostenere i picchetti di 24 ore, per formare distaccamenti di combattimento di lavoratori e studenti disciplinati e organizzati, per evitare che gli scioperi vengano interrotti dallo Stato.

b) Generalizzare lo sciopero a tutta la classe

Abbiamo menzionato le roccaforti e le posizioni strategiche che esistono attualmente nello sciopero rinnovabile. Ma se queste sono più importanti che in qualsiasi altro movimento sociale degli ultimi decenni, è necessario che altri settori strategici, per ora lasciati ai margini, ma anche milioni di lavoratori precari o sottopagati, entrino nella battaglia per generalizzare lo sciopero e vincere. Molti di questi settori stanno manifestando nelle giornate di azione indette dall’intersindacale, oppure appoggiano il movimento e ne chiedono l’inasprimento, come dimostrano i sondaggi dal 7 marzo.

Ma di fronte all’assenza di uno sciopero rinnovabile in questi settori, la politica dell’intersindacale è quella di limitare il repertorio di azioni a manifestazioni sempre più impotenti di fronte alla violenza della borghesia e del suo Stato in crisi, spiegando che questi lavoratori non possono fare troppe giornate di sciopero e sacrificare i loro bassi salari. Niente di più sbagliato! I lavoratori sono pronti a fare enormi sacrifici purché vedano un programma e delle prospettive che permettano loro di cambiare qualitativamente le loro miserevoli condizioni di vita e di lavoro. È quanto dimostra uno degli eroi di questo movimento sociale, un netturbino di Ivry, che all’ottavo giorno di sciopero dichiara: “Guadagno 2.000 euro netti lavorando di notte, e già non ce la faccio più. Piangerò alla fine del mese e nei mesi successivi. Non abbiamo fatto un fondo per lo sciopero per non pesare sul movimento. Scioperiamo per convinzione”.

È questa convinzione e questa ferrea determinazione che l’intersindacale non riesce a instillare nella maggioranza della popolazione attiva che rifiuta in massa la riforma. Rifiutando di politicizzare la lotta e di allargare l’elenco delle rivendicazioni a tutte le richieste più sincere dei settori più sfruttati della nostra classe, come l’aumento dei salari e la loro indicizzazione all’inflazione, il miglioramento delle condizioni di lavoro e una moltitudine di richieste che oggi vengono discusse nel Paese, l’intersindacale sta consapevolmente boicottando l’ingresso nella lotta dei settori più esplosivi della nostra classe. Questo perché una tale svolta aprirebbe la strada a una dinamica rivoluzionaria, che l’intersindacale vuole evitare con ogni mezzo per paura di essere superata dalle masse in lotta. Ma questi settori del proletariato non entreranno nella lotta a testa alta se nessuno darà loro una prospettiva di vittoria, se non li chiamerà con un programma offensivo e una ferrea determinazione a realizzarlo. I comitati d’azione, in collegamento con i sindacati, i sindacati combattivi locali o gli Interpros, quando hanno una realtà, anche se oggi il loro sviluppo è molto più debole rispetto al 2010, avrebbero l’autorità di lanciare questo appello unificando i principali settori in lotta.

c) Prendere in mano la nostra lotta

Durante la prima fase di questo movimento, l’intersindacale ha espropriato i lavoratori dei luoghi del loro potere decisionale: le assemblee generali nei luoghi di lavoro. Fissando un’unica richiesta limitata e un calendario di azioni decise dall’alto, l’intersindacale ha confiscato l’iniziativa del movimento di massa. Dopo il 49.3, la spontaneità delle masse in lotta si è risvegliata. È tempo che la lotta sia guidata dai suoi veri protagonisti. I comitati d’azione sono l’unico modo per strappare il controllo del movimento alla burocrazia, per rompere il suo rifiuto di politicizzare la lotta in corso, che disarma le masse nella loro lotta contro lo Stato capitalista e il regime reazionario della Quinta Repubblica, e per rafforzare il morale di coloro che lottano, estirpando dalla loro coscienza gli elementi di docilità e passività inculcati dai leader sindacali, a partire dal più timido di loro, Laurent Berger [segretario della CDFT – Confederation Democratique Francaise du .Travail, la CISL locale].

L’insieme di questi tre elementi rende i comitati d’azione per lo sciopero generale uno strumento indispensabile per vincere. Per dirla in altro modo, la condizione per la vittoria del proletariato è il superamento della sua attuale leadership. Sia all’inizio del movimento che oggi, fare dell’unità sindacale la chiave della vittoria, come credono anche alcuni sindacalisti di base, è una follia, un crimine di fronte all’impasse sempre più esplicita della strategia delle direzioni delle federazioni. A questa strada verso la sconfitta, dobbiamo opporre la generalizzazione dei comitati d’azione per lo sciopero generale!

Nel suo ultimo incontro nazionale, che ha riunito molti settori, la Rete per lo sciopero generale ha lanciato un appello a organizzarsi ai settori in lotta, ai sindacati combattivi e ai coordinamenti interprofessionali attualmente esistenti:

“Ma per passare all’offensiva e vincere, le manifestazioni spontanee ed i blocchi non saranno sufficienti. Solo l’estensione dello sciopero rinnovabile a un massimo di settori, con l’aiuto di azioni di solidarietà esterne, che porti a una grande paralisi dell’economia, può far indietreggiare il governo”. Tuttavia, l’intersindacale è impelagato in una strategia di giornate di azione isolate che ha già mostrato i suoi limiti e la sua inefficacia.

Per questo è arrivato il momento di prendere in mano la situazione. Dobbiamo coordinare i nostri scioperi e convincere tutti coloro che non sono ancora in sciopero con una vera politica per lo sciopero di massa; dobbiamo costituire una vasta rete di solidarietà in grado di affrontare la repressione che si sta abbattendo sui nostri picchetti e sui militanti del movimento. Per questo, e poiché dall’altra parte sono molto ben organizzati, dobbiamo organizzarci anche noi. Ciò deve avvenire in assemblee generali nei nostri luoghi di lavoro e nei centri di studio, ma anche in contesti interprofessionali, con l’obiettivo dichiarato di spingere la generalizzazione dello sciopero ovunque. Questo rimane il punto più debole del movimento ed è urgente porvi rimedio.

Per questo proponiamo a tutti i settori in sciopero, ai sindacati e alle federazioni che lottano, alle assemblee generali interprofessionali dove esistono, ai giovani mobilitati, così come a tutti coloro che vogliono contribuire a questa prospettiva, di lanciare ovunque e d’ora in poi comitati d’azione unificati per lo sciopero generale che si coordinino tra loro a livello dell’intero Paese. Questo è l’unico modo per evitare che la rabbia e la forza attuali si disperdano in una moltitudine di lotte isolate sotto i colpi della repressione, e per trasformare la rabbia che attualmente ribolle in una vittoria di cui tutti abbiamo bisogno.

Per dimostrare che non si tratta solo di un discorso o di una dichiarazione di buone intenzioni, una grande delegazione della rete si è mobilitata dalla regione di Parigi per dare sostegno concreto alle raffinerie di Le Havre minacciate di requisizione, incontrando sul posto molti membri locali della rete. Come disse Trotsky, di fronte a un movimento più avanzato di quello che stiamo vivendo attualmente, lo sciopero con occupazione delle fabbriche del 1936: “L’organizzazione che non trova sostegno nell’attuale movimento di sciopero, che non sa legarsi strettamente agli operai in lotta, non è degna del nome di organizzazione rivoluzionaria”. Questa frase rimane valida per il momento attuale della lotta di classe. Questa è la bussola che orienta l’intervento di Révolution Permanente, e siamo orgogliosi di poter essere utili all’organizzazione e all’avanzamento della coscienza di una parte dei lavoratori in lotta.

 

Juan Chingo

Traduzione da Révolution Permanente

Membro della redazione di Révolution Permanente, giornale online francese. Autore di numerosi articoli e saggi sui problemi dell'economia internazionale, della geopolitica e delle lotte sociali dal punto di vista della teoria marxista. È coautore con Emmanuel Barot del saggio "La classe ouvrière en France: Mythes & réalités. Pour une cartographie objective et subjective des forces prolétariennes contemporaines" (2014) ed autore del saggio sui Gilet Gialli "Gilets jaunes. Le soulèvement" (2019).