Mercoledì 20 Marzo la Scuola Normale Superiore sciopererà per la Palestina e per chiedere l’impegno a boicottare il bando MAECI che prevede progetti scientifici per tecnologie dual use con Israele, nonché l’interruzione delle partnership con le università israeliane che hanno appoggiato il genocido a Gaza (praticamente tutte). Nell’articolo discutiamo i limiti e le potenzialità della mobilitazione. Sebbene la piattaforma dello sciopero possa suscitare alcune riserve, la protesta porta avanti istanze radicali. Inoltre, avviene in un bastione dell’ideologia del merito e – costruita da un’assemblea democratica degli studenti – fornisce alcune indicazioni su come massificare la lotta per il complesso del movimento pro-Palestina nelle università.


Lo scorso lunedì 11 Marzo una partecipata assemblea generale degli studenti e dei dottorandi della Scuola Normale Superiore della sede centrale di Pisa e del distaccamento di Firenze (dipartimento di Scienze Politiche e Sociali), ha votato a larga maggioranza uno sciopero dell’università contro il genocidio di Israele ai danni dei palestinesi, e per mettere in discussione le partnership con le istituzioni accademiche israeliane. In particolare, gli studenti e i dottorandi chiedono alla Scuola di impegnarsi a prendere le distanze dal recente bando pubblicato dal ministero degli esteri e della cultura italiana (MAECI) volto a instaurare collaborazioni su progetti scientifici, tra i quali sono state identificate tecnologie dual use, soprattutto in ambito ottico, che possono avere ricadute sull’occupazione sionista e il massacro a Gaza.

Si chiede inoltre al rettore di rendere palesi e interrompere le partnership con “le università israeliane che hanno appoggiato lo sforzo bellico”, nei fatti tutte, a giudicare dalla lettera firmata in novembre dai rettori dell’entità sionista volta a chiedere il sostegno della comunità accademica occidentale al genocidio in atto in medioriente. Per ora, a quanto risulta dal sito della Scuola Normale Superiore, l’istituto pisano ha un accordo non ben precisato con lo Weizmann institute, il centro di ricerca che ha la ‘paternità’ della bomba atomica israeliana, e più volte oggetto di denuncia da parte del movimento BDS per la sua partecipazione alle politiche di apartheid.

Tra le rivendicazioni vi è anche l’interruzione della pratica di scrivere comunicati congiunti con la Scuola Sant’Anna, l’altra università cosiddetta “d’eccellenza” pisana, implicata in progetti volti a sviluppare tecnologia militare con Leonardo. Viene inoltre denunciata la presa di posizione ambigua da parte del rettore in seguito alle manganellate agli studenti di due settimane fa; una presa di posizione che, pur criticando la repressione, lo faceva in nome di un’astratta libertà di espressione e riaffermando una pelosa equidistanza nei confronti del genocidio in corso a Gaza. La mobilitazione si inserisce nel clima di fermento che ha coinvolto la città di Pisa proprio in seguito a quegli episodi, avvenuti all’imbocco di Piazza dei Cavalieri, la spianata dove è collocata la sede centrale della Scuola Normale Superiore. In questo quadro, la settimana scorsa ha avuto luogo una manifestazione di oltre 10.000 persone, in particolare studenti dell’Università di Pisa, ove il 14 Marzo un partecipato presidio ha contestato in chiave pro-Palestina l’inaugurazione dell’anno accademico.

 

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Limiti e potenziale della mobilitazione in Normale

L’assemblea studentesca che ha portato allo sciopero è stata animata da un’accesa discussione sulla piattaforma e sui metodi della protesta (chi scrive vi ha partecipato direttamente). Le rivendicazioni risentono in parte di un dibattito in cui un settore non largamente maggoritario, ma consistente, degli studenti non era pienamente convinto della parola d’ordine del boicottaggio completo delle università israeliane, ragion per cui, nelle delibere finali è stata votata una formula di compromesso.

Se è vero che, come segnalato, spingere per interrompere le “partnership con le università che hanno sostenuto lo sforzo bellico” equivale di fatto a colpire tutte le istituzioni accademiche israeliane, tale formulazione segnala una scarsa comprensione del ruolo strutturale dell’università nei meccanismi del colonialismo sionista. Uscire con una posizione più decisa su questo punto avrebbe quindi permesso di connettersi meglio con le frange più radicali del movimento pro-Palestina, che hanno animato lo sciopero del 23 febbraio e la grande manifestazione del 24 a Milano.

Si sono opposti a questa prospettiva i pregiudizi positivi nei confronti dell’università come istituzione condivisi da molti studenti e dottorandi della Normale, realtà d’ “elite” dove una retorica corporativa, nonché il discorso “meritocratico”, sono particolarmente pervasivi. L’emergere di un atteggiamento conflittuale verso i vertici della Scuola tra una fetta importante di studenti a partire dall’appoggio alla Palestina rappresenta però di per sé un’incrinatura nell’egemonia di questo impianto, ed è un buon motivo per appoggiare la protesta, a prescindere dalle riserve che si possono avere rispetto alle rivendicazioni: pensate quale potrebbe essere l’impatto di uno scardinamento dell’ideologia del merito, ove essa si esprime al massimo grado come l’università d’eccellenza pisana!


L’importanza di massificare la lotta

I metodi attraverso cui è stata costruita la mobilitazione possono inoltre rappresentare un esempio positivo: solo il raggiungimento dimensioni di massa – e la connessione con settori di lavoratori – può permettere al movimento per la Palestina nelle università di vincere. In questo solco, la capacità di coinvolgere il maggior numero possibile di studenti nella discussione e nella definizione del piano di lotta è cruciale. La stessa capacità che è mancata alle avanguardie studentesche che hanno promosso le occupazioni delle università contro le partnership con le imprese belliche e le istituzioni accademiche israeliane negli scorsi mesi.

Certo, lo abbiamo visto, l’affidamento della mobilitazione a un’assemblea generale ha favorito un parziale arretramento delle posizioni inizialmente portate dal collettivo di studenti della Normale più decisi a promuovere un’azione per la Palestina. Inoltre, l’idea di non indire l’assemblea come un’iniziativa di movimento, ma tramite i canali istituzionali della Scuola ha favorito l’azione di disturbo di elementi interessati solo ad evitare che emergesse una posizione ‘tecnicamente’ ufficiale della comunità studentesca, favorendo lo spostamento a destra dell’asse del dibattito. Questo, fino all’inserimento nella delibera finale di una postilla (passata a dire il vero per una manciata di voti) in cui si condanna astrattamente l’attacco del 7 ottobre, prescindendo da una contestualizzazione di quegli eventi, in contraddizione con una protesta la cui direzione vorrebbe essere – e nei fatti si pone – in aperto appoggio alla Palestina, contro gli appelli all’equidistanza delle gerarchie dell’università (per la nostra posizione, come vdl.it, in sostegno alla resistenza palestinese – ma critica nei confronti della strategia complessiva di Hamas – leggi qui).

Al netto di tutto ciò, grazie a questa assemblea, la mobilitazione ha davvero la possibilità di estendersi, insieme alla stessa possibilità di discutere e far avanzare le parole d’ordine più adeguate a lottare contro il sionismo, il militarismo e l’imperialismo. In ogni caso, rivendicazioni forti e che risuonano con una prospettiva più radicale sono state approvate; in primis l’opposizione al bando MAECI, mentre la votazione a larga maggioranza dell’arma dello sciopero può permettere di parlare anche al movimento dei lavoratori. Proprio in questi giorni, infatti, i lavoratori delle biblioteche della Scuola Normale stanno protestando.

Alla luce di quanto detto, non va nascosto come la Normale sia una piccola università, con non più di 600 studenti. Tuttavia, ammetterlo significa solo che in università più grandi serva ancora maggior impegno, organizzazione e perseveranza per massificare la lotta; una lotta a cui l’eco dello sciopero della Normale – l’università d’ “elite” che sciopera per la Palestina – può certamente giovare.

Lorenzo Lodi

Nato a Brescia nel 1991, ha studiato Relazioni Internazionali a Milano e Bologna. Studioso di filosofia, economia politica e processi sociali in Africa e Medio Oriente.