Nel mondo ogni anno sessantaseimila donne e bambine vengono uccise, una cifra enorme che rappresenta circa un quinto di tutti gli omicidi (396mila).
In Italia, nello scorso anno ci sono stante 120 donne ammazzate, in media una ogni tre giorni. Quest’anno l’andamento non sembra calare.
L’oppressione di genere affonda le sue radici nel patriarcato, che è strettamente correlato allo sviluppo e il mantenimento del sistema capitalista. Le sue espressioni sono varie e si sono modificate nel tempo, ma rimane costante la sua parte più becera, la violenza; che va dal mobbing sul lavoro al femminicidio.
A conferma che la questione femminile non può essere scissa da quella di classe, è interessante vedere come in Italia ci sia stato un incremento significativo dei femminicidi tra il decennio antecedente alla crisi e quello successivo.
Prima del 2008, i dati EURES ci dicono che la media dei punti percentuali del decennio 1996-2006 era di :15,3% su tutti gli omicidi (numero abbastanza costante tra i due decenni); contro il 23,8% del biennio 2007-2008, fino ad arrivare ad un picco nel 2013 con il 35,7% per poi scendere al 31,7% nel biennio 2014-15, con una media del 28,55% per il decennio 2006-2016; quasi il doppio del decennio precedente!
Dai dati ISTAT del 2016 ci accorgiamo di uno scenario terrificante sulla violenza di genere. Atti sessuali degradanti e umilianti, rapporti non desiderati e subiti come violenza, abusi o molestie fisiche sessuali gravi come stupri o tentati stupri arrivano al: 21% delle donne, oltre 4,5 milioni, li ha subiti nel corso della propria vita, un milione e 157 mila nelle sue forme piu’ gravi; in particolare lo stupro (653mila) e tentato stupro (746mila). Il 20,2% delle donne tra i 16 e i 70 anni, 4,3 milioni, è stata vittima di violenza fisica, minacce, schiaffi, pugni, calci.
Un crescendo che in una minoranza dei casi, l’1,5%, ha portato a danni seri e permanenti, per strangolamento, ustione o soffocamento.
E il 40,4% delle donne, oltre 8,3 milioni di donne, è stata vittima di violenza psicologica. Quindi, non solo affermazione della forza fisica, ma anche svalutazione e sottomissione.
Se il 31,5% delle donne ha subito nella propria vita una forma di violenza fisica o sessuale,il 40,4% delle donne, oltre 8,3 milioni di donne, è stata vittima di violenza psicologica.
La ‘violenza economica’ all’interno della coppia tocca il 4,6% delle donne.
Nonostante questi drammatici dati però si legge di un “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” varato dal governo nel maggio 2015, che depotenzia il ruolo dei centri antiviolenza in tutte le sue azioni, considerandoli alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di “meri esecutori di un servizio”. I finanziamenti sono insufficienti e mal gestiti. Infatti, dei 10 milioni annui stanziati per i centri solo 2 milioni erano destinati al rafforzamento di quelli già esistenti, rendendo così difficile la loro sopravvivenza se non grazie ad operatori volontari. Dopo la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne a Roma, “Non una di meno” ha redatto un “Piano antiviolenza alternativo”, formando tavoli di elaborazione con una partecipazione che ha fatto incontrare circa 1.400 donne il 27 novembre, subito dopo la piazza, che oggi si stanno confrontando con il ministero delle pari opportunità.
Dinanzi questo scenario il movimento delle donne sta finalmente rispondendo.
Da quasi un anno, in tutto il mondo, si sta sviluppando sempre di più un movimento combattivo delle donne. L’Italia non è da meno con una grossa partecipazione alla manifestazione del 26 Novembre a Roma e quella del 8 Marzo nelle varie città. La direzione di questo movimento è di “Non una di meno”, che nonostante le sue profonde contraddizioni, basate su una visione interclassista della questione di genere, sta riuscendo a mantenere in vita la spinta propulsiva di questa battaglia. Pur rivendicando la necessità di un piano d’azione immediato teso al miglioramento delle condizioni di vita delle donne, anche attraverso il rafforzamento dei centri antiviolenza e attraverso azioni che sollevino la donna dal ruolo di cura della prole a favore di un suo inserimento nel mondo del lavoro, non riteniamo possibile una risoluzione del problema di genere solo su questo campo.
È necessario che tutte le donne e la base del movimento “Non una di meno” prendano coscienza che le contraddizioni di genere sono indissolubilmente legate a quelle di classe e che violenza di genere è, in realtà, violenza di classe.
Per questo riteniamo si debba iniziare una battaglia che sradichi dalle fondamenta il patriarcato e che non dia solo momentaneo sollievo alla drammatica condizione femminile, partendo dalla consapevolezza che solo con l’abbattimento del capitalismo ci potrà essere l’abbattimento del patriarcato.
Scilla Di Pietro
Nata a Napoli il 1997, già militante del movimento studentesco napoletano con il CSNE-CSR. Vive lavora a Roma. È tra le fondatrici della corrente femminisa rivoluzionaria "Il Pane e Le Rose. Milita nella Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) ed è redattrice della Voce delle Lotte.