Come partecipanti all’assemblea nazionale di NUDM – Italia del 7-8 ottobre proponiamo una riflessione a partire dalle domande che alimenteranno la prima parte del dibattito. Quali stimoli e quali freni alla partecipazione al movimento?
Ribadiamo l’importanza di svincolarsi dal femminismo istituzionale della sinistra parlamentare e ancor più da quello dell’attuale governo a guida Meloni. La loro strategia punitivista non è stata altro che inefficace e spesso controproducente.
In questo quadro, per contrastare la violenza di genere è necessario adottare una prospettiva di classe, capace di evitare (non-) soluzioni individuali e creare un’alleanza tra i settori più sfruttati e oppressi della società. Questi tempi ce lo hanno dimostrato: dobbiamo ancora difendere i nostri diritti con la lotta e costruire rapporti di forza che ci permettano di abbattere capitalismo e patriarcato.


Negli ultimi anni temi come il lavoro di riproduzione nelle case, la femminilizzazione della povertà, o l’intersezione tra patriarcato, razzismo e capitalismo sono stati centrali nel dibattito; così come la libertà di accesso alla sanità per le persone trans, o quella di autodeterminare il proprio orientamento sessuale o al propria identità di genere. Durante la pandemia, abbiamo visto come le donne siano state loro le prime ad essere licenziate o comunque a subirne un’ulteriore precarizzazione del loro lavoro, anche qualora ricoprissero ruoli ritenuti “essenziali” in quella fase. Dati ISTAT del 2020 testimoniano una  caduta del tasso di occupazione pari al’1,3% fra le donne contro lo  0,7% di quello maschile.(Fonte: ISTAT, Il mercato del lavoro 2020 – una lettura integrata).
Il movimento delle donne, quello ecologista e la dissidenza sessuale esprimono oggi una profonda spaccatura nel modo di pensare e le contraddizioni che emergono incessantemente in seno alla cosiddetta
famiglia naturale. Contemporaneamente però riemergono correnti patriarcali reazionarie, anti-diritti e transfobiche, che spesso ci hanno dimostrato come i diritti non si debbano dare per scontati, ma vadano difesi con la lotta ogni giorno.
Nonostante ciò, complice il periodo, abbiamo assistito alla passivizzazione di questi movimenti in diversi paesi, tra cui anche il nostro. E così emerge il femminismo istituzionale, Le cui misure si sono concentrate sull’adozione dell’agenda del punitivismo, attraverso la classificazione criminale o l’attuazione di alcune misure cosmetiche. E mentre condannano alcuni uomini per la loro responsabilità in atti di violenza contro le donne, lo Stato si assolve da ogni responsabilità. Rispettiamo e sosteniamo il diritto delle donne di esigere, in ogni caso, che i tribunali rendano giustizia a ogni denuncia. Ma l’ipocrisia di questo sistema ci disgusta.
Le misure di prevenzione contro la violenza di genere sono state molto parziali e i femminicidi continuano ad aumentare. La strategia punitivista  è inefficace nell’impedire che accada ciò che sanziona. “Lo Stato capitalista-patriarcale, nonostante riconosca le donne come vittime e nonostante aumenti le norme punitive – non solo le rivittimizza nelle stazioni di polizia, nelle procure e nei tribunali, ma inoltre, è incapace di prevenire o almeno ridurre il tasso di femminicidi”.
In una società capitalista, competitiva, sessista e razzista, la maggior parte delle giovani donne, dei lavoratori e dei poveri sa, per esperienza personale, che la magistratura e la polizia non sono istituzioni che agiscono in loro difesa e protezione contro le pratiche sessiste.
La proprietà privata vale più delle nostre vite.

La violenza contro le donne, compresa la violenza sessuale, si rivela non come un’alterazione dell’ordine sociale, ma come un meccanismo che lo costituisce. Per le femministe socialiste, gli uomini non sono nostri nemici. Il nostro nemico è il capitalismo patriarcale e i suoi agenti: lo Stato della classe imprenditoriale, il regime politico e i governi che garantiscono e perpetuano lo sfruttamento delle grandi maggioranze da cui traggono i loro profitti milionari.
Né riteniamo che sia possibile “riformare” questo regime politico e sociale attraverso l’educazione “con una cosiddetta visione di genere” alle Forze Armate, alla Polizia, al sistema giudiziario, al regime penitenziario, ecc. Ciò che è necessario è affrontare questo sistema capitalista-patriarcale, rovesciarlo e gettare le basi per una società veramente egualitaria.

La logica punitiva non è il nostro orizzonte, abbiamo un altro programma per contrastare la violenza di genere -e l’attenzione non può che concentrarsi sull’attacco alle condizioni che portano alla riproduzione di questa violenza.
Ci battiamo per Misure che insieme implicano la messa in discussione del regime di sfruttamento, precarietà, razzismo e machismo che condiziona la vita di milioni di donne in tutto il pianeta. Ciò implica anche il confronto con le burocrazie sindacali e con quelle dei movimenti stessi che mantengono queste le lotte come territori separati.
Ribadiamo la necessità di un femminismo non utilizzi i metodi degli oppressori per risolvere le conseguenze deleterie di tale oppressione.
Vorremmo Una società in cui il genere, il sesso, l’età, la provenienza o qualsiasi altro motivo che oggi viene utilizzato come base per la discriminazione, finiscono per essere dati così irrilevanti per le relazioni tra le persone, che anche le parole che oggi nominano quelle differenze vengono insegnate al futuro generazioni come arcaismi del linguaggio obsoleto della preistoria umana.
Assumiamo la lotta contro la violenza di genere come parte della lotta contro le molteplici forme di violenza generate da questo sistema di sfruttamento e oppressione. Ecco perché il nostro è un femminismo fatto di lotta di classe, antipunitivista, anticapitalista.
Un femminismo socialista e rivoluzionario.

 

Il pane e le rose – Pan y Rosas Italia

"Il pane e le rose" nasce nel 2019 e riunisce militanti della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) e indipendenti che aderiscono alla corrente femminista socialista internazionale "Pan y Rosas", presente in molti paesi in Europa e nelle Americhe