Tratto dalla pièce teatrale dello stesso Bergman “Pittura su legno, “Il settimo sigillo”, uscito nel 1957, fu come un incendio i cui fuochi continuano a bruciare ancora oggi. Considerato uno dei film cardini della cinematografia europea (o meglio mondiale), vinse il Premio Speciale della giuria alla decima edizione del Cannes Film Festival (Ex aequo con “I dannati di Varsavia” di Andrzej Wajda).

Antonius Block è un cavaliere appena tornato in Scandinavia dopo aver combattuto le crociate. Su una spiaggia di una Scandinavia dilaniata dalla peste e dagli omicidi della stessa chiesa, Block incontra la Morte. Non ancora pronto ad accoglierla, deciderà di sfidarla a scacchi. La sfida durerà parecchi giorni. Antonius, scortato dal suo scudiero Jons, attraversa la Scandinavia. Durante il viaggio, incontrano vari personaggi, tutti accomunati dalla paura di morire. Gli unici personaggi “puri” della pellicola, sono gli artisti di strada, i saltimbanchi, che sembrano ignorare la tragedia della Morte, perchè impegnati ad amarsi con innocenza quasi infantile.

Nella storia del cinema, il tema della morte è stato oggetto di discussioni sin dall’era del Muto; basti pensare al film “Il carretto fantasma” (Victor Sjöström, Svezia – 1921). Tuttavia, una visione della Morte come protagonista assoluta, risulta alquanto nuova e moderna. Per quanto i protagonisti della pellicola possano inizialmente sembrare i 7 esseri umani ognuno di loro rappresenta un sigillo), ben presto, si nota come ogni personaggio sia dipendente da un solo e vero protagonista: la Morte. La Morte come pedina del fato. Ogni sigillo, si approccia all’idea di morte in modo differente, come ogni approccio all’idea del Divino, di Dio, muta in base al passato e all’educazione dei sigilli. Antonius Block rappresenta l’uomo colto e tormentato, completamente disilluso dal totale silenzio di Dio e che, di conseguenza, vede nella sfida a scacchi con la Morte, l’occasione di vedere Dio. Occasione presto infranta, dato che, durante l’emblematica scena della confessione, in cui Block pensa di parlare con un monaco (in realtà si tratta della Morte stessa) dice: “Perché non mi parla? Perchè non posso uccidere Dio dentro di me?” La risposta della Morte sarà “Il suo silenzio non ti parla?” In conclusione: Dio è muto, anzi, Dio è morto da tempo. Jons, invece, rappresenta la ragione tomistica, più materialista e dall’approccio concreto, ma, in conclusione, anche lui terribilmente angosciato dall’avvenire. L’ubriacone e sua moglie rappresentano quella parte di umanità ignorante, rimasta quasi allo stato brado dell’esistenza. I saltimbanchi Jof, Mia e Micael, allegoricamente, dovrebbero rappresentare la Sacra Famiglia. Bergman ripone nella figura dell’artista l’idea di “salvezza”. L’innocenza infantile che caratterizza questi artisti di strada sarà la caratteristica che spingerà Antonius Block a salvarli dalla Morte. Antonius Block vede finalmente Dio, vede il Divino nel corpo di tre “straccioni ignoranti”. Ultima figura chiave della pellicola è la donna muta. Una donna bellissima, dai tratti estremamente scandinavi. Una donna che non pronuncia una singola sillaba per l’intero viaggio. Le sue parole, tuttavia, saranno le ultime e le decisive: “l’ora è venuta”. Il tempo di danzare la famigerata Danza Macabra,è giunto. Antonius Block inizierà a pregare: pregherà un Dio che, fino ad un momento prima, aveva rinnegato. Jons rimprovera l’atteggiamento ipocrita del cavaliere. Tuttavia, nemmeno la razionalità gli sarà d’aiuto. Non resta che accettare il destino ed accogliere la Morte, vincitrice della partita. Bergman non dà nessuna risposta alla domanda: Dio esiste? L’opera di Bergman è nota per il suo non dare risposte, ma nel porre sempre nuove domande. E’ compito dello spettatore dare risposte. Bergman si limita a mostrare un umanità corrotta già da tempo: Antonius Block è un crociato, ha combattuto una delle più sanguinose guerre della Storia per un Dio nel quale nemmeno crede. Un Dio che maledice e che finirà col pregare in punto di Morte. L’ipocrisia: ‘ipocrisia dell’uomo moderno.

 

Sabrina Monno

 

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.