Dopo la sentenza 178/2015 della Corte Costituzionale che dichiarava illegittima la sospensione della contrattazione collettiva per i dipendenti pubblici, a distanza di più di due anni da una decisione che avrebbe dovuto produrre effetti immediati e dal blocco dei contratti pubblici risalente al lontano 2008, viene firmato un contratto truffa che stanzia mediamente per i dipendenti pubblici 85 € lorde (da un minimo di 63 euro a un massimo di 117)che al netto delle tasse rappresentano circa 50 € divise in tre anni. La prima tranche di aumento dovrà essere ridotta di circa 12 € a causa della perdita dell’”indennità di vacanza contrattuale”. L’effetto di questa riduzione fa sì che i lavoratori potrebbero trovarsi in busta paga un aumento di soli 5 € o poco più, buoni per comprarsi qualche chilo di frutta al mese.

Nel contempo la borghesia ed i governi che man mano si sono succeduti in questi ultimi anni hanno tagliato il salario accessorio dei lavoratori (progetti speciali, incentivi, turni, straordinario, gravoso orario, ecc.), per una media di circa 500 € netti ed ottenuto un ulteriore risparmio di cassa per il mancato ripristino del “turn over” e per il blocco delle progressioni di carriera.

Un supplementare risparmio è stato realizzato con lo svolgimento di mansioni superiori di gran parte dei dipendenti che garantiva un lavoro qualitativamente superiore rispetto all’inquadramento ed alla retribuzione percepita.

Lo Stato ha tolto dalle tasche dei dipendenti pubblici centinaia di euro e ha rimesso con questo contratto pochi spiccioli. Basta dare uno sguardo al CUD del lontano 2009 e confrontarlo con il reddito attualmente percepito per rendersi conto della frode che si è consumata e che dà il senso dell’impoverimento del ceto medio.

Mentre la classe operaia si impoveriva rapidissimamente dopo la crisi del 2008 ed il ceto medio la seguiva a ruota, ad arricchirsi era solo la grande borghesia nonostante il disastro economico in cui versava il paese.

Il pensionamento di migliaia di dipendenti pubblici ha prodotto inoltre un aggravio dei carichi di lavoro sulla restante parte del personale che si è visto costretto ad eseguire, in aggiunta al lavoro svolto fino a quel momento, il lavoro di chi era stato posto in pensione e con un quadro normativo di responsabilità, sia in termini civili che penali, che andava sempre più peggiorando.

Questo contratto lascia intatte la divisione in aree dei lavoratori (Area A, B, C, D) e li mette gli uni contro gli altri con la beffa di ritrovare, in alcuni Enti, dei lavoratori che sono posti giuridicamente in un’area inferiore ma che svolgono mansioni anche superiori a chi è posto nell’area immediatamente superiore. Disparità economiche che si rifletteranno successivamente in un trattamento pensionistico inferiore.

L’attuale normativa prevede che i lavoratori restino fermi nella “gabbia” dell’area di appartenenza in attesa di un eventuale, e per il momento improbabile, concorso pubblico aperto agli esterni.

Ma oltre alle differenze salariali dovute alla divisione all’interno delle aree stesse, ci sarà un ulteriore differenziazione salariale dovuta al “merito”: un “bonus eccellenza” del 30% sulla “performance” individuale oltre quelle già previste dall’attuale normativa.

I lavoratori poveri resteranno ancora più poveri mentre quelli delle fasce alte riusciranno a vedere un pur leggero miglioramento economico rispetto agli ultimi anni, ma anch’essi un peggioramento rispetto al 2009, l’anno successivo alla crisi.

Nelle aree C e D, quelle in qualche modo più garantite e nelle fasce medio-alte, ritroviamo spesso molti sindacalisti di mestiere e dipendenti che hanno avuto nel loro iter lavorativo delle corsie preferenziali che gli garantivano sviluppo economico e carriera a prescindere dalle loro reali capacità.

Un risultato storico, ha commentato soddisfatta e senza alcun pudore, la segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino e dello stesso tono sono state le dichiarazioni degli altri sindacati confederali Cisl e Uil.

Un contratto che non cancella il precariato dalla Pubblica Amministrazione ma che addirittura lo istituzionalizza in quanto, non provvede alla sua cancellazione, ma ne stabilisce un tetto massimo del 20%.

I contratti a tempo determinato non potranno superare i 36 mesi, prorogabili di altri 12, così afferma la nuova disposizione, ma superata tale soglia di tempo non è prevista l’assunzione del lavoratore bensì il licenziamento e l’eventuale reclutamento solo per concorso.

Un nuovo pugno duro è previsto contro coloro che si assentano in giorni contigui a quelli festivi con la possibilità di poter essere licenziati. Le sanzioni contro gli assenteisti saranno non soltanto individuali ma anche collettive e colpiranno anche chi in Ufficio è stato sempre presente al lavoro. Sono le punizioni collettive che ricordano il ventennio fascista e somigliano molto alle vendette che i nazisti compivano contro la popolazione innocente quando qualche loro militare veniva colpito.

Inoltre a farne le spese saranno anche i lavoratori che usufruiscono della legge 104. I permessi previsti dalla legge 104 sulla disabilità dovranno essere programmati mensilmente e saranno concessi solo in caso di “documentata necessità” e con un preavviso di 24 ore.

Con questo contratto si fa sempre più strada, a fronte della distruzione del “welfare” pubblico, un “welfare” privato sotto forma di nuove assicurazioni e polizze sanitarie.

Sono concesse dal governo altre elemosine (dieci o quindici euro al massimo) affidate alla contrattazione tra gli Enti più ricchi e quei sindacati che da anni collaborano con la borghesia.

Dopo la firma dei sindacati padronali sotto questo ennesimo contratto bidone attendiamo ora la firma “tecnica” di chi come sindacato di base ha espresso il suo giudizio negativo, ma che saprà partecipare ai giochi politici con le varie amministrazioni su trasferimenti, distacchi e gestione del personale. Per la prossima elemosina potrete aspettare altri dieci anni se riuscirete a sopravvivere nella miseria.

di Salvatore Cappuccio