Riportiamo un approfondimento sulle elezioni e in particolare sulla lista “per una sinistra rivoluzionaria” di Lorenzo Mortara, operaio comunista già sostenitore di tale lista; un’analisi che entra in molti punti nel merito della criticità di tale partecipazione alle elezioni politiche, e in generale del marxismo in Italia, illustrando diversi problemi concreti emersi nei mesi di campagna elettorale. Non condividiamo necessariamente le conclusioni a cui giunge, in particolare quella non definita sulla “unità dei comunisti”, ma ci riserveremo di rispondere con un articolo della Redazione per alimentare il dibattito sul Che fare oggi in Italia e nella sinistra rivoluzionaria.
IL FALLIMENTO DI SINISTRA RIVOLUZIONARIA: UN’ANALISI MARXISTA
Sinistra Rivoluzionaria (SR), la coalizione nata dall’unione del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) e da Sinistra Classe Rivoluzione (SCR), due costole trotskiste di Rifondazione Comunista, ha racimolato a malapena lo 0,089% alla Camera e lo 0,108 al Senato, per un totale di 32˙527 voti: una miseria, che unita alla bancarotta senza appello di Potere al Popolo (PaP), costituisce l’intero disastro della sinistra radicale in questa tornata elettorale.
SR, è vero, non ha preso in giro nessuno, non ha parlato di masse, lotte e assemblee stracolme come invece ha fatto PaP, in questo senso la sua sconfitta non ha nulla di paragonabile a quella di Viola Carofalo e compagni. Lo scopo di PaP, nonostante le frasi fatte sulla operazione non meramente elettorale, era proprio raggiungere il 3% ed entrare in Parlamento. Non c’era e non c’è in effetti nessun altro vero scopo, almeno per l’ossatura che l’ha tenuto in piedi, vale a dire la burocrazia di Rifondazione; non solo, bisogna anche aggiungere che lo sbarramento è stato dato se non proprio per scontato, comunque facilmente raggiungibile, con punte di delirio, quando nei momenti più visionari della campagna elettorale, sui social era facile trovare, ogni due post, previsioni che andavano dal 5 al 7%. Il tutto in linea con la narrazione mistica delle masse e delle lotte che stavano dietro agli eroi dell’ex-opg, il centro sociale napoletano che ha dato il via a PaP in nome di chissà quale sfida perentoria, come se solo loro fossero in grado di mettere in campo una formazione politica. Nulla di tutto questo cretinismo elettorale in SR. SR non ha nemmeno coperto al suo interno vecchie cariatidi come il ceto burocratico di Rifondazione, vero e proprio pattume rosso che ha votato tutto quello che era possibile votare contro i lavoratori quando era al Governo con Prodi. SR aveva, quindi, tutto il diritto di ritenersi l’unica alternativa pulita al centro-sinistra, di contro a PaP che tanto pulita non era, e men che meno nuova. Non di meno il risultato di SR, in proporzione, ricalca e forse aggrava pure quello di PaP. Mi pare dunque quanto mai necessaria un’analisi un po’ più approfondita di quella striminzita che appare sui siti di PCL e SCR.
PCL e SCR non negano il risultato deludente. Per il PCL il risultato di SR è «molto negativo», e per SCR è «negativo», ma dopo questa presa d’atto di una realtà inequivocabile, nessuna delle due compagini dice molto di più. Il PCL adombra che la scelta del nome, col richiamo alla parola “sinistra” ormai screditata tra i lavoratori, abbia nuociuto alla operazione, ma alla fine, per entrambi i partiti, tutto è ridotto alla visione non elettoralistica della coalizione, (e indubbiamente SR non aveva come fine ultimo alcuna poltrona), all’accumulo di forze rivoluzionarie e al corredo completo di frasi fatte sulla necessità di portare nelle elezioni una chiara voce classista e anticapitalista. In breve, era importante far sentire la voce del marxismo, anche se a conti fatti, solo il marxismo l’ha sentita. SCR, forse frastornata dalla scoppola, arriva a dire che l’aver fatto centinaia di banchetti, migliaia di discussioni e preso contatti, rappresenti un gran successo, e in questo senso pensa si possa dire con soddisfazione di aver raggiunto l’obbiettivo (sic!) . Per capire cosa si intenda col prendere contatti, eccetera, riporto quel che scrive il compagno Paolo Grassi, responsabile sindacale di SCR: «600mila hanno seguito la nostra conferenza stampa su Rai 2 (dati auditel), 300mila le persone che secondo il dipartimento organizzazione sono passate ai nostri banchetti e alle nostre iniziative, 32.609 ci hanno votato al Senato (29.346 alla Camera) nonostante fossimo solo nella metà dei collegi, 20mila hanno firmato la nostra candidatura, 8.566 hanno visitato la nostra pagina web il giorno delle elezioni, 2.500 hanno comprato Rivoluzione, 400 i contatti presi per SCR, 130 quelli con cui la discussione è già cominciata, 25 nuove reclute già in campagna elettorale. Saranno numeri piccoli come dice qualcuno ma per noi sono molto importanti. Il nostro lavoro non è finito, sta cominciando soltanto adesso. Raccogliere in termini di costruzione e di militanza i frutti della nostra splendida campagna elettorale. Questo è il compito principale che abbiamo davanti. Per questo domani e dopodomani è convocato il comitato centrale dove, invece di piangerci addosso come fanno tanti a sinistra, lanceremo un piano di iniziative tese alla costruzione del nostro movimento e con esso di una sinistra rivoluzionaria sempre più ampia e radicata». Peccato che il punto, è proprio che dopo questa tornata elettorale, Sinistra Rivoluzionaria, è sempre meno ampia e sempre meno radicata. I 25 militanti in più rientrano tutto sommato nel normale tran-tran di entrate e uscite che, unite alle scissioni varie, tendono nella migliore delle ipotesi a lasciare questi gruppi così come sono: eternamente nani.
Davanti a queste cifre, alcune anche ridicole, come il numero di passanti, spiace dirlo, ma se questo era l’obbiettivo, significa che SR non aveva alcun obbiettivo, che è come dire che si è soddisfatti per aver raggiunto l’obbiettivo sbagliato. Inoltre, colpisce l’uso di due pesi e due misure: mentre la sconfitta di tutto l’arco della sinistra viene descritta magistralmente e senza pietà, quella di SR viene di fatto unicamente registrata, come qualcosa di passeggero che non incide più di tanto nel percorso della costruzione del partito rivoluzionario, quando invece è proprio qui il punto: se il dimezzamento dei voti della Rivoluzione Civile di Ingroia, non sarà senza conseguenze per PaP, anche la riduzione di tre quarti dei voti che il PCL aveva preso da solo nel 2013, non potrà che lasciare segni indelebili sulla pelle dei militanti di SR, indipendentemente dallo scopo elettoralistico o meno della lista. Invece, sembra che registrata la sconfitta, anche per SR tutto debba procedere come prima, senza neanche un dubbio che qualcosa forse vada cambiato.
Lotta di classe e lotta elettorale sono la stessa cosa, due momenti diversi, dialetticamente interdipendenti, della stessa battaglia che ha il suo fulcro nella mobilitazione. Ne segue che la separazione tra accumulo di forze rivoluzionarie e il numero di voti presi, non ha nulla di marxista, perché è evidente che la crescita del partito rivoluzionario, passa anche dalla crescita elettorale. Non è una cosa direttamente proporzionale e nemmeno lineare, ma è un po’ difficile pensare che si possa accumulare qualcosa di “ampio e radicato” restando per 30-40 anni a percentuali da prefisso telefonico. Quando una situazione del genere va avanti da molti anni, l’unica cosa che si è accumulato è il tempo, e più passa più dovrebbe aumentare il dubbio che il tempo in questione sia solo quello perso.
Inoltre, l’eventuale accumulo di forze rivoluzionarie, non può essere preso a sé stante, come se non fosse in relazione stretta con l’andamento degli altri partiti. Durante le campagne elettorali, tutti aumentano la loro visibilità, tutti fanno centinaia di banchetti, tutti ingaggiano centinaia di discussioni, tutti raccolgono innumerevoli contatti. La domanda che ci si deve porre è se tutto questo lavoro sia andato ben oltre il potenziale, e soprattutto se rispetto agli altri partiti sia andato meglio. Ed è evidente che SR non ha accumulato altro che distanza rispetto a tutti gli altri partiti, sia in termini di voti che in termini di accumulo di forze militanti.
Tenuto conto della visibilità mediatica, degli apparati in campo (due contro più di una dozzina), si può dire, con molta prudenza e senso della relatività delle cose, che peggio di SR, ha fatto solo PaP. Tuttavia, la domanda è: perché si andati così male? Era possibile fare meglio?
A sentire molti quadri di SR, era utopico, addirittura folle pensare di andare oltre il risultato preventivato. Per essere dei rivoluzionari, sono ben strani questi quadri! Non dovrebbero essere i primi a porsi compiti audaci? Invece a sentir certi rivoluzionari, confermare le previsioni dei sondaggi è il massimo che un militante possa pretendere da una campagna elettorale. Trotsky, una volta, analizzando la miopia e il braccio corto dei primi piani quinquennali della burocrazia sovietica, disse che lo storico del futuro si sarebbe stupito a constatare con quanta poca ambizione fossero stati programmati. Alla stessa maniera ci pare ridicolo che dei rivoluzionari considerino i sondaggi che li danno allo 0,2% come le Colonne d’Ercole, oltre le quali, solo dei folli possono pensare di poter andare. In realtà se già si parte convinti che oltre i sondaggi non si possa andare, è meglio starsene a casa a guardarsi le maratone elettorali di Mentana o Vespa. Si parte, invece, proprio per andare più in là del previsto. È incredibile che, mentre i sondaggi vengono sistematicamente smentiti, in meglio (Lega o M5S) o in peggio (PD, LeU), i rivoluzionari diano per scontato che loro possano smentirli solo in senso negativo, perché oltre, in positivo, non possono proprio andare. Davvero è utopico pensare di passare dallo 0,2% di partenza all’1% di arrivo? Perché se altri incrementano anche di più, noi non possiamo mai arrotondare una miseria alla miseria successiva? Si dirà che per noi è diverso, per noi è più complicato perché tutto congiura contro i rivoluzionari. Non lo neghiamo, ma nessuno venga a dirci che passare dallo 0,2 all’1% sia chissà quale impresa, tanto più che è riuscita all’estrema destra di Casa Pound e Forza Nuova. E tanto più che 5 anni prima, il solo PCL aveva preso quasi 4 volte di più, cioè lo 0,7% circa (per la precisione 89˙000 alla camera e 113˙000 al senato nel 2013, e addirittura 208˙000 nel 2008). Pur con scissioni e ricomposizioni varie, il PCL è più o meno quello del 2013, e se nel 2013 ha preso quei voti, oggi con l’aggiunta di SCR, potenzialmente, poteva anche andare oltre, nonostante la semplice sommatoria non sia mai un buon calcolo elettorale. Se non l’ha fatto è perché già allora, il risultato certificava la sua inesistenza. E chi vota oggi un fantasma, difficilmente lo farà anche domani. Infatti, voti che per anni non hanno mai la possibilità di incidere, sono destinati ad evaporare. SCR giustifica il crollo, dicendo che la campagna non è stata fatta pensando di partire da «una semplice rendita di posizione (seppure ridotta) che partisse dai voti presi dal Partito comunista dei Lavoratori (nel 2013, nda)». Oltre ad essere infelice chiamare rendita di posizione l’inesistenza politica di un partito, per quanto sia giusto non dare per scontato la replica di un risultato elettorale, non bisogna nemmeno finire nell’opposto, cioè considerare come se niente fosse o poco più la riduzione a un quarto dei voti. Oggi la rendita di posizione poteva essere raddoppiata anziché ridotta alla metà della metà. Escluderlo a priori, questo sì che è una cosa da pazzi. SCR si consola pensando che il risultato è tutto sommato in linea con l’andamento generale negativo di tutta la sinistra. Di tutte le argomentazioni questa è la più assurda. Infatti, SR non si è sempre contrapposta in maniera frontale a tutta la sinistra, compresa quella radicale, visto che è l’unica che non si è macchiata di compromessi con i padroni? La domanda che bisogna porsi allora è un’altra: perché dal crollo della sinistra compromessa coi padroni, la sinistra rivoluzionaria e incorruttibile non ha racimolato nemmeno un atomo di consenso? La dinamica elettorale, è vero, spingeva tutta verso M5S e Lega, ma il crollo della sinistra e il fallimento di PaP favoriva almeno una piccola crescita di SR. Invece nulla, anche in una condizione relativamente favorevole, SR è riuscita a perdere praticamente tutti i voti che il PCL prendeva da solo.
Al di là del fatto che la percentuale nei soli collegi dove era presente sale a 0,179 alla Camera e a 0,166 al Senato, raddoppiando il nulla, il voto reale di SR è quello nazionale, perché in un’elezione nazionale, l’assenza nei collegi è parte integrante della propria insufficienza: non è l’assenza che distorce i risultati, ma la presenza che li gonfia. Se così non fosse, alle prossime elezioni si potrebbe concentrare tutto il potenziale in Lombardia e raggiungere magari anche l’1,5%. Non cambierebbe il fatto che il dato reale, sarebbe quello medio, nazionale dello 0,1% circa. Non solo, per una forza non elettoralistica, il dato reale da cui partire non è nemmeno quello medio nazionale, ma quello proporzionale rispetto all’intero corpo elettorale degli aventi diritto di voto, non al netto di astensionismo, schede bianche e nulle. E il risultato di SR al netto di astensionismo eccetera, è dello 0,06%, quindi ancora peggiore. Sono dati, questi, che come rileva Michele Nobile, bravissimo in questo tipo di scomposizioni, sono «così irrilevanti che la motivazione dell’uso delle elezioni al fine della propaganda rivoluzionaria appare francamente ancor più ridicola di quanto non lo sia stata in passato».
Al dato quantitativo, poi, deve aggiungersi l’analisi sul dato qualitativo. SR era presente nel 60% circa dei collegi, ma invece di affrettarsi a dare i dati dove effettiva era la sua presenza, meglio sarebbe stato soffermarsi un po’ di più su dove non si è stati presenti. Perché non può passare inosservata l’assenza in una regione così fondamentale come il Piemonte. Mancare in Piemonte, cioè alla Fiat, per una forza che dovrebbe puntare tutto sugli operai, basta e avanza per parlare di fallimento prima ancora del 4 Marzo. Il Piemonte, escluso Torino, è stato praticamente abbandonato a me, che non sono neanche militante ufficiale di SCR, e a un altro compagno del PCL. Possibile che con i vari funzionari che i due partiti hanno, nemmeno uno abbia avuto due settimane da spendere per il Piemonte? Il Piemonte doveva essere una priorità per SR, invece è stato trattato come una regione qualsiasi. Davvero è assurdo dover dire queste cose a dei rivoluzionari provati come i compagni di SR.
Il metro finale per la misurazione di Sinistra Rivoluzionaria, resta comunque, in ultima analisi, Potere al Popolo. Il fatto che un parallelo con l’altra forza a sinistra non venga manco fatto, anzi il confronto venga sostanzialmente escluso per insufficienza di forze quando le stesse forze cinque anni prima lo reggevano, è indice ulteriore dell’autoreferenzialità della lista. Di fronte al disastro di PaP, e ai tanti compagni che hanno accettato di annacquare le loro posizioni, convinti di stare in un cartello che avesse possibilità di successo, SCR chiede: «in nome di cosa? A che pro rinunciare alle proprie posizioni, diseducare la propria base con questo trasformismo?». È una domanda sacrosanta, ma è evidente che, per porsela davvero, i militanti di PaP, avrebbero dovuto perlomeno avere al fianco un risultato di tutto rispetto e in controtendenza di SR. Se due compagini pressoché sconosciute, prendono la stessa percentuale di una dozzina di apparati anche di una certa notorietà come Rifondazione, forse qualcuno qualche domanda comincia anche a farsela. Probabilmente anche con lo 0,5%, risultato certo più alla portata di un 1% già enorme, qualche dubbio nella testa dei compagni di PaP l’avremmo messo. Il fallimento di SR, sta nel fatto che il suo risultato non apre alcuna contraddizione a sinistra. Anzi, se PaP si disgregherà come è probabile, sarà per fughe come già sono visibili verso destra o verso il centro. Perché in rapporto a SR, i compagni di PaP è probabile che continuino a considerarci nulli. Come è cominciata infatti PaP rispetto a SR? Da un lato c’erano le lotte e le masse, dall’altra i puristi e i settari. Ora le elezioni hanno fatto piazza pulita delle inesistenti lotte e delle masse dietro a PaP, ma con lo 0,06% non è che noi possiamo convincere qualcuno di loro che in SR c’era qualche ragione valida in più da spendere, tanto più che pure Rizzo col suo Partito Comunista ci ha sopravanzato con lo 0,3%. Nella migliore delle ipotesi, quindi, un militante di PaP, ne concluderà che tutta la discussione era più o meno inutile, condannata com’era, in un caso come nell’altro, all’irrilevanza. Il fallimento di SR è tutto qui. Ed è alla luce di tutte queste cose che il bilancio di SR dovrebbe rispondere alla domanda delle domande: la costruzione del partito rivoluzionario ha fatto un passo avanti? Perché alla fine della fiera, a sentire la felicità con cui si snocciolano le cifre dei giornali venduti, dei contatti presi o della visite sul sito, sembrerebbe proprio che il partito delle rivoluzione abbia fatto un passo avanti, anziché due o tre indietro. Non si tratta di piangersi addosso, nessuno di noi lo vuol fare, si tratta però di prendere atto della realtà, e la realtà è che il partito rivoluzionario ha conosciuto l’ennesima battuta d’arresto.
Come risalire la china? Nessuno ha la soluzione, tanto meno chi scrive. Qua è giusto però rimarcare una serie di errori che appaiono evidenti a chiunque abbia osservato e seguito da vicino la coalizione elettorale di SR. Correggerli non è detto che porti a qualche risultato significativo, anzi, può darsi che non cambino di una virgola il risultato, daranno però più consapevolezza di aver fatto davvero il possibile.
SR, come PaP, è nata tardi anch’essa, a ridosso delle elezioni, ed è strano che con 5 anni di tempo, due partiti impalpabili si siano posti solo all’ultimo minuto il problema di coalizzarsi. La coalizione ha comunque funzionato solo in parte e non per la mancanza di Sinistra Anticapitalista, ruzzolata all’ultimo momento tra le fila di Pap. È strano infatti, tanto per fare un esempio, che non ci sia un bilancio condiviso dopo le elezioni, ma ognuno PCL e SCR si scriva il suo. Questo è un’ulteriore spia che la colazione non andrà più avanti del 4 Marzo, quando invece il fallimento delle elezioni avrebbe dovuto mettere all’ordine del giorno proprio la fusione, visto che se c’è una cosa che confermano le elezioni, è che PCL e SCR non solo sono troppo piccoli per considerarsi due partiti, ma sono anche troppo piccoli per correre ognuno per i fatti suoi. Non c’è nessuna ragione perché due partiti che hanno nel DNA lo stesso ceppo, corrano ognuno per conto proprio. Non si vuole ignorare le divergenze, anzi, ma non sono tali da rendere necessaria una frattura. Inoltre una coalizione sana non ha necessariamente bisogno di nascondere le divergenze, può tranquillamente illustrarle sulle pagine di una stampa comune, con gran beneficio dei militanti, a cui una discussione più ampia e articolata non può fare che del bene.
SR è nata, inoltre, come accordo tra i vertici, senza nessuna vera e propria discussione alla base tra i militanti, tanto è vero che mentre il 18 persino PaP si ritrova a Roma per discutere il da farsi dopo le elezioni, nulla di simile è ancora stato fatto per SR e forse mai si farà. Questa discussione va fatta e allargata a tutti gli altri gruppuscoli della sinistra radicale, compreso il PC di Rizzo. Non perché si abbia chissà quale fiducia in Rizzo, anzi, non se ne ha nessuna, ma non si può negare che all’interno del partito di Rizzo ci stiano tanti militanti degni di tal nome che non hanno cadaveri nell’armadio. E a un confronto serrato con loro non ci si può sottrarre. Abbiamo una legislatura di tempo per discutere con tutta la miriade di gruppuscoli validi presenti in Italia e provare ad allargare la coalizione, a cominciare da quel che resterà di PaP dopo che Rifondazione se ne sarà andata in cerca di un’altra occasione per la poltrona. Fino ad allora non ha senso ripresentarsi a delle elezioni, ad esempio quelle europee.
Infine, almeno SCR, potrebbe azzerare il gruppo dirigente. Non che una soluzione del genere, possa servire a qualcosa, ma non sfugge che quando all’interno dell’opposizione Cgil, la corrente interna della Cgil chiamata Sindacato è un’altra cosa, scoppiò il caso Bellavita, SCR chiese l’azzeramento dei vertici di fronte al fallimento della linea di Bellavita, come se avesse la soluzione per far diventare l’opposizione interna alla Cgil, una opposizione di massa. E se il discorso vale per un’opposizione sindacale che pesa ufficialmente il 3% e realmente il 6% all’interno della Cgil, non si capisce perché chi raggiunge lo 0,1% alle politiche debba considerare intoccabili i suoi dirigenti. Tanto più che dirigono da almeno 25 anni. E sono comunque troppi.
Lorenzo Mortara
Stazione dei Celti
Domenica 11 Marzo 2018
NOTA
Per la documentazione relativa al bilancio di SR si vedano i seguenti articoli:
Un terremoto politico (bilancio delle elezioni di SCR).
Sinistra Rivoluzionaria, quale prospettiva? (sempre a cura di SCR).
Un pessimo risultato per i lavoratori (bilancio delle elezioni del PCL).
La Voce delle Lotte ospita i contributi politici, le cronache, le corrispondenze di centinaia compagni e compagne dall'Italia e dall'estero, così come una selezione di materiali della Rete Internazionale di giornali online La Izquierda Diario, di cui facciamo parte.