Dopo diverse ore di tensione, verso le 19:00 (ora locale) disabato 7 aprile, Lula si è arreso alla polizia brasiliana, accettando la decisione del giudice Sergio Moro. Il leader del PT a partire da giovedì sera si era “rifugiato” all’interno della sede del sindacato metallurgico di San Paolo. Il mandato di cattura è stato emesso lo stesso giorno dal giudice Moro, dopo l’approvazione del Tribunale Superiore di Giustizia del Brasile.

Prima della consegna, Lula ha tenuto un discorso dal forte profilo elettorale, nel quale ha annunciato i nomi dei candidati del PT verso le prossime elezioni. Il leader del PT nel suo discorso ha poi incluso una storia dei suoi inizi nel ABC Paulista, e ha sottolineato l’importanza del sindacato dei metalmeccanici nella lotta contro la dittatura.

Ha inoltre fatto riferimento al caso per il quale è stato condannato al carcere. Ha detto che i media e la giustizia hanno mentito affermando che il dipartimento di Guarujá, per il quale è accusato di corruzione, era di sua proprietà. Ha denunciato di essere stato accusato senza alcuna prova. Perciò si sente “calmo nella sua coscienza e che crede nella giustizia, nella giusta giustizia”.

Ha aggiunto che l’obiettivo delle accuse è quello di convincere la società che “il PT sia un’organizzazione criminale che vuole fare del male al Brasile e Lula, in quanto leader di questo partito, è il primo responsabile” e ha proseguito, “vogliono far credere che io abbia commesso un crimine contro questo Paese “.

Prima di continuare con la presentazione di più candidati, l’ex presidente ha detto che “quello che non capiscono è che più mi attaccano, più cresce la mia relazione con la gente”. Ha aggiunto che il fine squisitamente politico dell’accusa è impedirgli di candidarsi alla presidenza nelle prossime elezioni. Ecco perché ha assicurato che “il colpo di Stato non si è concluso con Dilma al di fuori della presidenza, ma che finirà quando sarò imprigionato e mi verrà impedito di essere un candidato”. Nella conclusione del suo discorso ha affermato, con toni epici, che “la morte di un combattente non fermerà la rivoluzione”. Al tempo stesso ha lasciato aperte tutte le ipotesi circa ciò che potrebbe avvenire nei prossimi mesi.

L’atto del giudice Moro e l’arresto dell’ex presidente, considerata la visibilità mediatica e la teatralità dell’intera vicenda, si stanno caratterizzando come il più importante evento elettorale, specie per il PT, in vista delle elezioni di ottobre.

 

Lula si consegna alla giustizia brasiliana.

Nonostante ciò, la sua detenzione arbitraria va condannata, perché è espressione della continuità del golpe istituzionale del 2016. Questa settimana la Corte Suprema (STF) ha dimostrato che si trattava di una parte fondamentale di questo colpo di Stato che ha visto nell’Operazione “Lava-Jato” il suo principale motore, con l’aiuto, ovviamente, di settori dell’imperialismo nordamericano. L’operazione Lava-Jato, mascherata da “lotta alla corruzione”, è in realtà portata avanti da settori reazionari della società, gli stessi responsabili del clima che ha portato al brutale omicidio di Marielle Franco a Rio de Janeiro (e che hanno minacciato di intervenire nel caso in cui l’ex presidente non si fosse consegnato). La Corte Suprema che condanna Lula è la stessa che regala l’impunità al colpo di Stato del presidente Temer, Aécio Neves (ex candidato presidenziale per il partito PSDB) o Renan Calheiros (presidente del Senato, partito di Temer). 

In tutti i momenti decisivi politici dagli anni ’80, il PT  ha adottato una strategia di conciliazione con la borghesia e la subordinazione della lotta della classe operaia agli interessi di quest’ultima. In questo senso ha aperto lo spazio per il colpo di stato odierno, con la sua politica di conciliazione, boicottando la lotta di classe e paralizzando il movimento di massa. In continuità con il suo passato, i sindacati legati al PT, come il CUT, hanno evitato di preparare qualsiasi piano di lotta sul posto di lavoro per affrontare l’avanzata reazionaria.

Lula e il PT, insomma, sono responsabili del loro stesso infausto destino. Tuttavia, la condanna di Lula in Brasile, lungi dall’essere una condanna giudiziaria, rimane una manovra politica che non coinvolge semplicemente Lula e il PT. Il suo arresto è in realtà un duro colpo per le classi popolari in Brasile perché la borghesia e l’imperialismo hanno ottenuto una vittoria molto importante nel loro obiettivo di rimodellare il regime politico brasiliano. Questa è una battaglia politica di classe, nonostante il PT e nonostante Lula.

Per il movimento dei lavoratori, i giovani precari, per le classi popolari e la popolazione nera oppressa nelle favelas, è fondamentale contrastare l’arresto di Lula non tanto per difenderlo, ma per tutelare i diritti democratici elementari che i golpisti stanno minacciando oggi. I datori di lavoro e gli imperialisti, attraverso la magistratura, vogliono imporre chi devono eleggere i lavoratori e le classi popolari il prossimo ottobre.

Articolo a cura di Matteo Iammarrone

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.