E’ molto probabile ma l’impatto non è meno forte: Donald Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano e ha reintrodotto le sanzioni economiche contro Teheran. Un’offensiva imperialista che apre la prospettiva di nuovi conflitti nel Medio Oriente e che segna il più grande fallimento della politica internazionale di Macron.

Gli Stati Uniti avevano tempo fino al 12 Maggio per denunciare l’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015. L’accordo prevedeva la rimozione delle sanzioni economiche contro L’Iran, consentendo, tra le altre cose, l’investimento di società straniere nel paese in cambio dell’abbandono del programma nucleare iraniano che potrebbe portare alla produzione di armi atomiche da parte di Teheran. Il presidente nordamericano Donald Trump aveva deciso di votare martedì 8 Maggio dalla Casa Bianca per il ritiro dell’accordo nucleare iraniano firmato dall’amministrazione Obama nell’estate del 2016. Ha quindi rimosso il suo paese dall’accordo e reintrodotto severe sanzioni economiche contro Teheran, rendendolo di fatto morto.

Gli sforzi dei governi europei, in particolare della Francia, Germania e Gran Bretagna, le cui multinazionali stavano facendo il massimo profitto, non riuscirono a convincere il governo di Washington. Questo è un probabile fallimento.

 

Un fallimento per la politica internazionale di Macron

Un fallimento in particolare per il presidente francese Emmanuel Macron che aveva voluto diventare l’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti in Europa e che fin dall’inizio del suo mandato ha cercato di fare “gesti amichevoli” nei confronti di Trump. Si è spinto al punto tale di parlare di “ottime relazioni personali” con il controverso presidente degli Stati Uniti.

Macron si è già schierato dietro Washington per l’assalto al regime di Assad in Siria in risposta all’uso di armi chimiche a Damasco. Il suo obiettivo era quello di “dimostrare” che la Francia potrebbe anche essere ferma contro l’Iran, di cui la Siria è un alleato centrale. In fine, Macron il mese scorso si è recato negli Stati Uniti, dove è stato l’attore di diverse scene ridicole al fianco di Trump, mostrando pubblicamente la “complicità” con il presidente , non riuscendo a far muovere di una linea l’aggressiva politica internazionale dell’amministrazione nordamericana.

Il viaggio di Macron negli Stati Uniti in termini di risultati politici è stato un fallimento, il presidente francese si è persino ritirato e capitolato nelle posizioni di Trump. Con il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, si tratta di una nuova sconfessione per la diplomazia macroniana che conferma la debolezza della posizione francese sulla scena internazionale.

Anche se il ritiro dell’accordo nucleare è un grosso passo indietro per la Germania, va notato che Berlino non ha cercato di “giocare all’amico” con Trump e ha mantenuto fin dall’inizio una posizione di relativa fermezza. Al contrario, le contraddizioni tra le due potenze imperialiste stanno crescendo, in particolare in termini di commercio internazionale. Macron si è ridicolizzato di fronte a colui che improvvisamente sta mettendo fine a diversi grossi contratti di multinazionali francesi in Iran.

In effetti, l’immediato ripristino delle sanzioni economiche contro l’Iran, colpisce diversi importanti gruppi internazionali, in particolare europei (Renault, Airbus, Total, Volkswagen, PSA, Carrefour) e in misura minore, alcune multinazionali nordamericane come la “General Electric e Boeing”.

 

Grandi tensioni tra l’Iran e il fronte Stati Uniti-Israele

 Sul piano geopolitico, il ritiro degli Stati Uniti è un’enorme vittoria per i settori più aggressivi degli stabilimenti nordamericani e dello Stato sionosta e allo stesso tempo rafforza i settori più duri e conservatori del regime iraniano. Dietro la decisione di Trump c’è la volontà di fermare il progresso iraniano nella regione dopo la vittoria militare ottenuta da Teheran e dai suoi alleati in Siria. Gli Stati Uniti e in particolare Israele non vogliono e non possono accettare questo nuovo equilibrio di potere sul campo e cercano con ogni mezzo (militare, politico ed economico) di limitare l’influenza dell’Iran.

L’economia è uno dei punti deboli del regime iraniano. I nordamericani e i loro alleati regionali lo sanno benissimo. La fine dell’accordo nucleare e la reintroduzione delle sanzioni economiche sono un modo per fare pressione su Teheran, creando e/o approfondendo l’attrito politico e sociale interno in Iran, dove il malcontento dei settori conservatori è già molto forte nei confronti del presidente Rohani. C’è anche la rabbia delle classi popolari, che sopportano condizioni di vita sempre più difficili, che sono state al centro della protesta e della mobilitazione che ha avuto luogo alla fine del 2017.

Negli ultimi mesi ci sono state diverse provocazioni militari da parte di Israele nei confronti dell’Iran, con l’obiettivo di giustificare la fine dell’accordo nucleare. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è arrivato addirittura al punto di presentare le cosiddette prove sulle “bugie” dell’Iran riguardo al suo programma nucleare. Delle “prove” invalidate da istituzioni come l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica che assicurava che Teheran rispettasse l’accordo. Teheran ha evitato di rispondere direttamente a tutte queste provocazioni, compresa quella militare.

Ora che l’accordo nucleare è morto, molti analisti temono che l’Iran stia cercando di rispondere militarmente alle ultime offensive israeliane contro l’esercito iraniano in Siria. Tuttavia, bisogna valutare le conseguenze politiche e militari , molto pesanti per l’Iran in caso di coinvolgimento in un conflitto diretto con il grande potere regionale, mentre Teheran resta ancora molto isolato a livello internazionale. Ma con la decisione di Washington aumentano i rischi di conflitto.

In questo senso, è possibile che l’Iran risponda ad Israele attraverso le milizie e organizzazioni che lo Stati sciita finanzia come Hezbollah in Libano. Il rafforzamento dell’organizzazione sciita e la sua recente vittoria elettorale nelle elezioni legislative rendono plausibile quest’ipotesi, anche se i leader di Hezbollah potrebbero tentare di ritardare il più possibile questo confronto che ora sembra quasi inevitabile.

 

Philippe Alcoy

Traduzione da Révolution Permanente

Redattore di Révolution Permanente e della Rete Internazionale La Izquierda Diario. Vive a Parigi e milita nella Courante Communiste Revolutionnaire (CCR) del NPA.