Riportiamo e traduciamo un articolo comparso ieri su Leftvoice relativo alla mobilitazione in Brasile contro Jair Bolsonaro, candidato presidente di destra misogino e pro-dittatura.  

Centinaia di migliaia di persone in tutto il Paese si sono riversate  nelle strade del Brasile per opporsi al candidato di estrema destra appena una settimana prima delle elezioni presidenziali. Si sono organizzati attraverso il web: il movimento “Donne Contro Bolsonaro” è infatti emerso su internet appena un paio di settimane fa.

Bolsonaro è il candidato dell’estrema destra populista attualmente in testa nei sondaggi delle elezioni Brasiliane che si terranno il 7 Ottobre prossimo. Più di un milione di donne si sono unite al gruppo Facebook e hanno creato l’hashtag #EleNao (non lui)(che è presto diventato virale). Cortei si sono tenuti in oltre sessanta città del Paese, più alcune città all’estero, inclusa New York, Barcellona e Città del Messico. In questi ultimi giorni l’impressione è che le donne saranno una forza decisiva per l’esito delle Presidenziali.

I sondaggi mostrano che almeno il 49% delle donne, che rappresenta più della metà dell’elettorato, si schiera contro Bolsonaro. L’ultrareazionario membro del congresso trae gran parte dei suoi consensi dal supporto maschile: il 32% degli uomini intendono votare per lui (contro il 17% delle donne). Nonostante ciò, egli si piazza primo nei sondaggi (27% dei consensi), con Fernando Haddad (del partito dei Lavoratori, PT, lo stesso partito dell’ex presidente Lula) che viene al secondo posto (21%).

Bolsonaro è stato soprannominato “il Trump dei Tropici”, “il più misogino, odioso rappresentante eletto nel mondo democratico” nonché “il più repulsivo politico sulla Terra”   , tutte descrizioni che gli si addicono perfettamente).

Bolsonaro è stato membro del Congresso Brasiliano sin dal 1990. Durante la dittatura militare sostenuta dalla CIA e nota per le torture ai dissidenti, egli ha servito nel corpo militare. Tutt’oggi continua a spendere parole in favore di quella dittatura militare che terrorizzò il Brasile per più di due decenni, così come in difesa di Pinochet, che in Cile uccise e torturò più di 40.000 persone. Bolsonaro è ben conosciuto anche per la sua comprovata ed esplicita misoginia: una volta disse alla Ministra dei Diritti Umani che non “meritava” di essere stuprata, intendendo che non era sufficientemente attraente per “meritare” di essere oggetto di stupro. Egli ha inoltre affermato che non c’è omofobia in Brasile (un Paese con uno dei più alti tassi di discriminazione e crimini contro le persone LGBT), dichiarando che la maggior parte degli “omosessuali” muoiono in “contesti di droga, prostituzione oppure uccisi dai loro partner”. Ha inoltre volgarmente definito il partito “socialismo e libertà” un partito di “finocchi”.

Ciò avviene nel contesto del colpo di stato istituzionale del 2016 che spodestò l’allora presidente Dilma Rousseff. Un colpo di mano portato avanti dai tribunali, dai media destra e dai diversi settori della destra di governo. Da allora il governo insediatosi (guidato da Michel Temer) ha implementato le politiche di austerità e gli attacchi contro la classe lavoratrice brasiliana, ad esempio congelando gli investimenti per istruzione e sanità per i prossimi 20 anni. Ad Aprile Lula è stato arbitrariamente imprigionato, mettendo fine ad ogni illusione di un suo ritorno al palazzo presidenziale quest’anno. Questa serie di avvenimenti hanno rafforzato la candidatura di estrema destra di Jair Bolsonaro che paventa, populisticamente, misure di contrasto al crimine e promette di eliminare la corruzione.

Tuttavia, è stato il PT stesso, governando con la destra, ad aprire lo spazio per il golpe istituzionale, per l’autoritarismo dei giudici e l’ascesa dell’estrema destra. Non a caso, l’attuale presidente Michel Temer, che ha contribuito ad orchestrare il colpo di Stato, era nella squadra di governo di Dilma, in qualità di vicepresidente! Decenni di alleanze e compromessi con la destra hanno portato il Brasile a questo momento.

Il corteo a Rio de Janeiro 

La maggior parte dei partiti politici brasiliani cerca di capitalizzare il rifiuto diffuso di Bolsonaro. Geraldo Alckmin, ad esempio, il candidato del neoliberale PSDB (Partito socialdemocratico brasiliano) si è recentemente unito al movimento #EleNão contro Bolsonaro. Eppure, come governatore di San Paolo, Alckmin è ben noto per le sue tattiche brutali contro lavoratori e studenti. Pochi anni fa, ha diretto la polizia per reprimere e arrestare gli studenti delle scuole superiori che protestavano contro la chiusura delle scuole. Stessa cosa per Katia Abreu, che ha strenuamente difeso la classe terriera brasiliana contro le popolazioni indigene e i lavoratori. Persino la giornalista di destra Rachel Sheherazade si è unita al movimento, sebbene abbia difeso Bolsonaro quando ha insinuato che una donna fosse troppo poco attraente per essere violentata!

Questi settori vogliono usare l’odio per le donne brasiliane che l’estrema destra cova per supportare i loro programmi e le loro politiche contro i lavoratori. Ma è il PT, che viene dato secondo nei sondaggi, la forza politica che più sta tentando di racimolare consensi da questa battaglia . Molti all’interno del partito, infatti, non solo sostengono lo slogan #EleNao, ma propongono quello di #HaddadSim (Sì ad Haddad). Questa marcia serve a mascherare l’atteggiamento conciliante del PT con la classe capitalista e le parti che hanno sostenuto il colpo di stato. E, sebbene il PT controlli ancora gran parte dei sindacati del Paese e abbia un immenso potere di mobilitazione, non ha organizzato alcuna vera lotta contro le misure antidemocratiche e di destra che hanno tenuto Lula in prigione. Si è invece adoperato per mettere in atto una strategia di trattative, negoziazioni e compromessi.

Oggi il PT sta cercando coalizioni con il governo del colpo di Stato per affrontare “l’estrema destra” e ha chiarito che il partito sosterrà una riforma delle pensioni e non si opporrà alla vendita della società aerospaziale statale, Embraer. Fernando Haddad sta tentando di apparire come candidato credibile agli occhi della classe capitalista, disposto a collaborare con le figure del governo golpista e a continuare il suo programma di austerità, dove le donne, come sempre, sentiranno gli attacchi più duramente.

Questa conciliazione non servirà a migliorare le condizioni dei 28 milioni di disoccupati del Paese (la maggior parte dei quali donne). E anche se oggi il PT tenta di dipingersi come dalla parte delle donne, per i 13 anni in cui ha governato non è preso alcun provvedimento per legalizzare l’aborto.

“Perché mai le donne indigene e le povere donne contadine dovrebbero ascoltare Katia Abreu, la campionessa dell’agro-economia, fingendo che difenderà i loro interessi? Perché le donne dovrebbero ascoltare Marina Silva, che è sostenuta dalla grande banca Itau, fingendo che parlerà in nome della classe lavoratrice e oppressa? Come può il PT, che ha promosso una politica di conciliazione e moderazione con la destra durante questi anni di attacchi, permettersi di parlare a favore delle donne e chiederci di votare il loro candidato, Haddad?”. Questa la dichiarazione di Diana Assunção, membro del Movimento di lavoratori rivoluzionari (MRT) e candidata al consiglio comunale.

Assunção aggiunge: “Il nostro odio per Jair Bolsonaro deve essere odio di classe. Se è odio di classe significa che i nostri alleati sono lavoratori, giovani, donne e neri: gli sfruttati e gli oppressi. I nostri alleati non sono il governo del colpo di stato e i capitalisti che ci opprimono, ci sfruttano e ci attaccano. Nel capitalismo non esiste un male minore per le donne, motivo per cui lottiamo per un’Assemblea costituente. Dobbiamo imporre la volontà della maggioranza sfruttata e oppressa contro i parassiti capitalisti che governano contro i nostri interessi. Combattiamo per questo con l’obiettivo di un governo di lavoratori che espropri i capitalisti e socializzi i mezzi di produzione al servizio della grande maggioranza di sfruttati e oppressi “.

 

Maria Aurelio

Traduzione a cura di Matteo Iammarrone da Left Voice

 

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.