Pubblichiamo la seconda di tre parti di un dossier specifico a cura di Révolution Permanente sull’Arabia Saudita a partire dalla morte, per mano di agenti del governo saudita, del giornalista Jamal Kashoggi, sequestrato nel consolato saudita a Instanbul. Al di là dei dettagli dell’efferato omicidio perpetrato da un regime ultrareazionario, la morte di Khashoggi potrebbe avere conseguenze geopolitiche importanti per la Turchia, per l’Arabia Saudita e per il suo principale alleato, gli Stati Uniti. [Qui la prima parte]


L’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi rappresenta per gli Stati Uniti il banco di prova della solidità dell’alleanza economica e geopolitica con l’Arabia Saudita. Tra i due paesi esistono infatti numerosi legami.

Dal punto di vista economico, l’Arabia Saudita rappresenta per gli USA il primo mercato per l’esportazione di armi (18% del totale). Benché gli USA non siano più dipendenti dall’Arabia Saudita dal punto di vista energetico, il regno saudita rimane uno dei principali produttori di petrolio al mondo. Con le nuove sanzioni contro l’Iran che scatteranno a novembre, gli Stati Uniti contano sul fatto che Riad aumenti la propria produzione di petrolio in modo da scongiurare un aumento del prezzo del greggio. Sono gli USA a dettare le regole. Ricorda infatti il quotidiano The Economist [1] che “il regno saudita ha disperato bisogno di investimenti stranieri e di capitali per gestire il proprio fondo sovrano. I settori economici non legati al petrolio versano in uno stato di letargia ed il tasso di disoccupazione dei cittadini sauditi continua ad aumentare”.

Sul piano strategico, i due paesi sono strettamente legati dalla lotta contro l’ascesa del comune nemico giurato, l’Iran. Il Segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin ha affermato: “Intratteniamo con l’Arabia Saudita importanti relazioni economiche; con loro ci concentriamo sulla lotta contro il finanziamento al terrorismo, così come sui nostri comuni interessi nel porre fine alla diffusione del terrorismo e di altri problemi in Iran”.

La questione che veramente interessa è capire fino a che punto gli Stati Uniti faranno leva su questi interessi strategici ed economici e sulla propria influenza, per far piegare il principe saudita al proprio volere.

Negli ambienti politici americani alcune voci bipartisan, repubblicane e democratiche, si alzano per richiamare all’ordine il principe ereditario bin Salman, che ha intrapreso una sanguinosa guerra contro lo Yemen. Alcuni senatori evocano anche una possibile restrizione alla vendita di armi, cosa poco probabile vista l’importanza che l’Arabia Saudita riveste per le esportazioni americane. Scrive a questo proposito The Economist: “L’Arabia Saudita ha vissuto questo episodio [l’omicidio Kashoggi] senza grossi scossoni, ma questo episodio ha recato un danno incalcolabile alla sua reputazione internazionale. Democratici e Repubblicani al Congresso sono furiosi. Lindsey Graham, senatore repubblicano vicino a Trump, da tempo mantiene legami stretti con il regno saudita. Ma, nel corso del programma “Fox and Friends” (il programma preferito da Mr. Trump), si è scagliato con parole dure nei confronti del principe bin Salman chiedendo che si faccia da parte e aggiungendo di essere pronto a votare sanzioni contro l’Arabia Saudita [2].

Inoltre, l’affare Kashoggi potrebbe essere usato dagli USA come fattore di pressione sull’Arabia Saudita per costringerla ad aumentare la propria produzione di petrolio, in vista delle sanzioni che da novembre scatteranno contro l’Iran. Scrive ancora The Economist che “Trump potrebbe decidere di ignorare l’omicidio di un giornalista. Il costo elevato della benzina è un problema ben più pressante”.

Le esportazioni di petrolio iraniane sono scese infatti da maggio a 700.000 barili al giorno, secondo le stime di S&P Global Platts; molti analisti temono che il prezzo del petrolio possa salire vertiginosamente fino alla soglia dei 100 dollari al barile, uno scenario da evitare a tutti i costi perché danneggerebbe la crescita americana.

In questo contesto, la mossa più plausibile è che gli Stati Uniti stringano con l’Arabia Saudita un patto: sostegno contro l’Iran in cambio di un aumento della produzione di petrolio per tenere basso il prezzo del greggio.

Da parte sua, il regime saudita ha poche alternative. Il supporto militare e strategico degli Stati Uniti è essenziale nella lotta contro l’Iran e nella guerra contro lo Yemen, e né Cina né Russia sono mercati in grado di esportare abbastanza armi. E soprattutto, nessuno dei due paesi sarebbe pronto per il momento ad iniziare una guerra contro l’Iran al fianco dell’Arabia Saudita. Temendo di subire sanzioni internazionali, l’Arabia Saudita ha scelto di scaricare le responsabilità dell’omicidio Kashoggi su alcuni alti funzionari e, su ordine dello stesso principe ereditario, ha fatto arrestare 18 cittadini sauditi. L’obiettivo è quello di scagionare il regime ultrareazionario e soprattutto lo stesso principe ereditario da qualsiasi responsabilità.

Per il momento, quindi, sono gli Stati Uniti a dettare le regole. Ma tutto lascia pensare che gli USA cercheranno di contenere la portata dell’episodio e disinnescare la possibile crisi diplomatica con l’alleato saudita. Sembra andare in questa direzione a dichiarazione di Donald Trump che ritiene credibile, pur con alcune zone d’ombra, la versione di Riad sulla “rapina finita in omicidio”. Nonostante le pressioni del Congresso per sanzionare il regime saudita, è improbabile che sanzioni economiche vengano effettivamente votate, proprio in considerazione dei legami economici e militari tra i due paesi. Resta da vedere fino a che punto gli Stati Uniti useranno questo caso per piegare il principe saudita ai propri interessi e stemperare i suoi propositi bellicosi, richiamando all’ordine il proprio principale alleato in Medio Oriente.

Note

Max Demian

Traduzione di Vera Pavlovna da Révolution Permanente

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