Nelle ultime ore si è riaccesa la polemica sul decreto “Sicurezza-Immigrazione”, il quale per via delle resistenze dei 5Stelle, ieri, non è riuscito a passare l’ostacolo del voto al senato. I motivi? Non certo una dura opposizione grillina  all’articolo 25 che penalizza i blocchi stradali (ad evidente discapito dei lavoratori in sciopero), o all’abolizione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari – anche se il can can mediatico si è concentrato sul flirt del presidente della camera Fico con i Radicali e la loro proprosta di mettere in discussione il reato di clandestinità.

No, i pentastellati chiedevano solo rassicurazioni sulla lealtà dei leghisti rispetto al loro ddl per la modifica delle norme sulla prescrizione, una misura manettara che pur essendo comprensibile nelle intenzioni, non potrà fare nulla per risolvere il problema della corruzione e della manipolazione dei processi da parte dei capitalisti e dei personaggi facoltosi (ricordate il processo Eternit? Dove padroni come De Benedetti, responsabili di centinaia di morti e tumori causati dall’amianto, non l’hanno spuntata grazie alla prescrizione, ma ad avvocati profumatamente remunerati e alla complicità dei giudici. Non dimentichiamo mai, peraltro, che i grillini hanno appena garantito l’immunità penale ai nuovi proprietari dell’ILVA in caso di reati ambientali, a proposito di “farla pagare ai ricchi e ai potenti”).

Non sembra tuttavia che i pentastellati siano riusciti ad ottenere garanzie dal “Carroccio”, mentre non è certo la prima volta che Di Maio e soci fanno la voce grossa sperando di grattare qualche punto nei sondaggi… Prima di accorgersi che rischiare di far cadere il governo non gli conviene. Grazie alla determinazione  su temi a “costo zero” come il razzismo, quindi a una maggiore simpatia nutrita da Confindustria e media nei suoi confronti, la Lega ha infatti da tempo superato gli alleati nelle intenzioni di voto. Non stupisce perciò se anche stavolta Salvini sia riuscito a vincere la prova di forza con il “Guappo di Pomigliano”, imponendo la fiducia sul maxiemendamento al decreto che verrà nuovamente sottoposto al senato oggi pomeriggio. Una mossa che suona come un vero e proprio tentativo di umiliare i grillini i quali dovranno votare un testo addirittura peggiorato rispetto alla versione iniziale, con il rischio di perdere ulteriori consensi in quelle fette di elettorato del Movimento non apertamente razziste e di aggravare le divisioni nello stesso gruppo parlamentare dei “gialli”.

Si tratterebbe solo di un teatrino ridicolo, se non fosse che a pagarne le spese saranno come da copione gli immigrati, i lavoratori e i poveri. Nel maxiemendamento, infatti, si inasprisce l’attacco al diritto d’asilo, con l’inserimento di una lista di paesi considerati sicuri, i cui cittadini non potranno avviare la procedura per ottenere lo status di rifugiato (sarebbe interessante sapere in che termini possa essere considerato sicuro un paese africano, dove non c’è la guerra, ma in cui le comunità contadine rischiano ogni giorno di vedersi negare l’accesso alle fonti d’acqua a causa del “landgrabbing” promosso dalle multinazionali – anche italiane). Al fine di zittire i piddini, e in generale quelle “opposizioni” capace di contrastare il “populismo dei pentaleghisti” solo facendo appello all’Europa del Capitale,  è comunque utile notare che la misura in questione venga approvata in coerenza con una recente direttiva targata UE!

Inoltre, nel solco della guerra ai poveri già intrapresa dall’ex Ministro dell’Interno Minniti (insieme a tanti sindaci “Dem” come Nardella e Merola) facendo leva sulle illusioni piccolo borghesi secondo cui la crisi degli esercizi commerciali sarebbe legata al “degrado dei centri storici” e non alla centralizzazione del capitale, viene introdotto il reato di elemosina, con pene fino a tre anni per chi simula “deformità e malattie, attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà”. Una formulazione sintomatica della  visione del mondo aberrante e classista del Ministro dell’Interno e dei suoi principali referenti, se non sociali – considerati gli stretti rapporti che la Lega ha con il grande capitale, soprattutto al nord – per lo meno elettorali.

Stiamo parlando dei settori della piccola borghesia più abbruttiti, per i quali “l’accattonaggio” sarebbe dettato dalla pigrizia – a cui si aggiungono perfidia e malafede – di “chi non ha voglia di lavorare”, e non dalla logica stessa del capitalismo. E’ infatti inevitabile nel capitalismo la persistenza di ampie fasce di emarginazione (in gergo marxista di “sotto-proletariato”) 1)  a causa dell’interna tendenza del sistema economico alla crisi e all’espulsione di forza lavoro dai cicli produttivi, 2) per via della ghettizzazione statalizzata di interi gruppi etnici (come gli zingari), 3) per mezzo della diffusione delle droghe pesanti, con tanto di stigma sociale e giuridico ai danni di coloro i quali ne fanno uso (in realtà nient’altro che vittime di un mondo basato sul profitto e rapporti umani alienanti), 4) non da ultimo, a causa della criminalizzazione degli immigrati (da cui le difficoltà per i “clandestini” ad entrare nel mercato del lavoro formale) aggravata dallo stesso decreto Salvini.

Qui sotto riportiamo la nostra analisi prodotta del decreto Sicurezza-Immigrazione e della prospettiva politica con il quale è necessario contrastarlo. Prospettiva che porteremo in piazza a Roma il 10 novembre, data della manifestazione nazionale contro il razzismo organizzata da settori dell’associazionismo democratico-riformista e dei centri sociali, ma alla quale positivamente hanno garantito la propria partecipazione anche forze e tendenze sindacali classiste come il S.i.-Cobas e Il Sindacato è Un’altra Cosa (opposizione in Cgil), insieme ad altre sigle del sindacalismo di base e sezioni di categoria dell’USB.

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Decreto Sicurezza-Immigrazione: colpire gli immigrati per coprire i padroni! (La Voce delle Lotte – 26\09\18)

Questo lunedì i due decreti fortemente voluti dal Ministro dell’Interno Salvini (sicurezza e immigrazione) sono confluiti in un unico testo che è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri. Leggendo i 42 articoli del documento, che aspetta solo la firma di Mattarella per entrare in vigore, ciò che balza subito all’occhio è la volontà palese dell’esecutivo di minare alle fondamenta il diritto di asilo ai richiedenti e di rendere ancora più difficile la vita agli immigrati.

Da vent’anni a questa parte i vari governi hanno solo cambiato il nome delle strutture detentive in cui gli “extracomunitari” sprovvisti di regolare titolo di soggiorno vengono reclusi: in principio erano i CPT (Centri di Permanenza Temporanea) istituiti dalla Legge Turco Napolitano sull’immigrazione, poi denominati CIE (Centri di identificazione ed espulsione) dalla legge 189 del 2002 la famigerata Bossi Fini, rinominati infine CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dal decreto Minniti Orlando della passata legislatura. Nel territorio sono presenti soltanto sei Centri per il rimpatrio, ciò è dovuto al fatto che molte regioni hanno rifiutato di averne uno nella propria, eppure il decreto raddoppia il limite di permanenza consentito da 90 a 180 giorni; se non saranno sufficienti gli hot spot e i CPR ai fini dell’espulsione possono essere utilizzate anche “strutture idonee nella disponibilità della pubblica sicurezza”… Ergo le carceri.

Confermata l’eliminazione, già avvenuta con Minniti e Orlando, del secondo grado di giudizio negli iter per ottenere lo Status di rifugiato, mentre si procede anche al taglio dell’assistenza legale gratuita per gli “aspiranti” rifugiati. La normativa, poi, limita il sistema di accoglienza Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) agli immigrati nei cui paesi d’origine ci siano calamità naturali e ai minori non accompagnati, i quali comunque non avranno il diritto di iscriversi all’anagrafe del comune. Viene abolita, in altre parole, la possibilità di erogare permessi di soggiorno eccezionali per gli immigrati ai quali non sia concesso lo status di rifugiato; strumento – quello dei “permessi umanitari” – che fungeva da argine alle odiose leggi sulla clandestinità e la cui eliminazione costringerà sempre più persone a vivere sotto il ricatto dell’illegalità, quindi ad ingrossare le fila della manodopera iper-sfruttata e della criminalità. Questo, ovviamente, a tutto vantaggio dei settori più reazionari della borghesia – in primis i padroni della filiera agroalimentare con la quale la lega ha forti legami – e dei mafiosi; alla faccia della retorica del governo secondo cui il decreto dovrebbe servire ad aumentare la “sicurezza”. Forse, però l’obiettivo del ministro degli interni è proprio quello di rafforzare il legame “stranieri”-delinquenza così da continuare a giustificare un aumento della repressione, nonché a creare un diversivo per nascondere l’incapacità del governo – che non può ne vuole rompere con l’UE capitalista e la classe dominante – di mantenere le promesse elettorali, o più in generale di risolvere l’immane “questione sociale” aperta dalla crisi del capitalismo.

Come mostra l’ultimo report dell’Associazione Antigone, infatti, non esiste nessun automatismo tra immigrazione e aumento della delinquenza; anzi, negli ultimi dieci anni la percentuale di cittadini stranieri detenuti s’è ridotta: nel 2008 erano 21.562 mentre oggi sono calati a 19.868 nonostante la popolazione straniera in Italia sia raddoppiata. Peraltro i numeri di quella che i leghisti definiscono invasione risultano piuttosto modesti se confrontati alla popolazione complessiva del Paese. L’Organizzazione internazionale delle migrazioni, un’agenzia collegata alle Nazioni Unite, rileva che l’Italia ha registrato il punto più basso di ingressi negli ultimi cinque anni (19.761), appena sopra gli standard della Grecia (18.529) e al di sotto della Spagna (27.994), dove gli sbarchi procedono con ritmi di crescita pari a quattro volte quelli dell’Italia.

Il decreto Salvini colpisce insomma i migranti per coprire gli interessi dei padroni e colpire i lavoratori e i poveri: nel testo, infatti, non mancano gli attacchi alle occupazioni abitative sotto forma di pene fino a 4 anni e multe da 206 a 2.064 euro per gli inquilini. In continuità con le misure attuate dall’ex ministro Minniti, il Daspo urbano è stato rafforzato; ricordiamo che quella norma permetteva già ai sindaci di impedire l’accesso al territorio cittadino a chiunque avesse ricevuto una condanna per reati che colpiscono “la persona o il patrimonio”, o avesse commesso infrazioni di vario genere. Parliamo insomma di furti, aggressioni, spaccio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, o fenomeni di abusivismo (vedi: vendita di merce contraffatta), ma anche di scritte sui muri, o occupazioni non autorizzate di spazi pubblici come ad esempio bivacchi e accattonaggio. Ebbene, il nuovo DASPO ha un raggio d’azione più ampio del precedente, coinvolgendo anche presidi sanitari, zone di particolare interesse turistico e aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati pubblici e spettacoli.

Mentre non si riesce a trovare la quadra per gli ammortizzatori sociali (nelle prossime settimane scadrà la cassa integrazione straordinaria per oltre 140.000 lavoratori, a causa delle prescrizioni del Job Act), Salvini conta poi di reinvestire 1 miliardo di euro l’anno nelle forze dell’ordine; i Comuni con oltre 100mila abitanti potranno poi dotare 2 poliziotti municipali di Taser, la pistola elettrica paralizzante già introdotta in via sperimentale sempre dal piddino Minniti. Presentato come strumento non letale in realtà il Taser ha già provocato numerose morti dal 2001 ad oggi: negli Stati Uniti la Reuters ha documentato 1.042 casi di persone uccise dalla pistola elettrica impugnata da un poliziotto. Un quarto delle vittime soffriva di crisi psicotiche o disturbi neurologici, in nove casi su dieci la vittima era disarmata. La sostanziale impunità degli assassini di Cucchi, Aldrovandi, Bianzino etc., risultato della copertura scientifica operata dagli apparati statali a vantaggio dei poliziotti,  ci suggerisce che il Taser non farà altro che dare agli sbirri la possibilità di perpetrare ulteriori abusi senza conseguenze.

Restando sempre in tema di repressione, last but not least, l’articolo 25 del decreto prevede che il “blocco stradale” torni ad essere reato penale e non una violazione amministrativa, tradotto in soldoni: i delegati sindacali che guidano i lavoratori a occupare le strade, anziché rischiare di subire una semplice sanzione pecuniaria , potranno dover avere a che fare col carcere.

La misura fin qui analizzata dovrà ora passare al vaglio del Quirinale, e dall’opposizione quota PD e Liberi Uguali si levano già gli appelli a un intervento del Presidente. Eppure Mattarella – così zelante ad esercitare pressioni sulla nomina di Savona all’economia per rassicurare i “mercati” (vedi le grandi imprese e le banche) – non ci risulta abbia mosso un dito per redarguire Salvini quando, senza rispettare la procedura amministrativa e la catena di comando istituzionale, bloccava la nave Diciotti al porto di Catania. Se alla fine gli immigrati sono riusciti a scendere dalla nave – e a dileguarsi impunemente – è stato infatti solo grazie all’importante reazione di solidarietà delle realtà di movimento siciliane e di migliaia di normali cittadini.

Per contrastare il decreto immigrazione-sicurezza la strada da percorrere rimane perciò quella della costruzione della mobilitazione, un terreno, anche questo, che va però chiarificato. Come abbiamo accennato, la ratio della legge è quella di appoggiarsi sulle percezioni distorte rispetto all’immigrazione e alla “sicurezza” dei settori più arretrati della società, cosi da coprire la natura anti proletaria ed anti-popolare di questo governo sulle questioni sociali. Palese, in questo solco e come si evince in particolare dall’art. 25 sui blocchi stradali, la volontà di aumentare la stretta repressiva in vista della perdita di consensi che comincerà a manifestarsi quando saranno evidenti gli effetti dell’ennesima finanziaria – schiacciata dai vincoli dell’UE capitalista – sui settori popolari e i lavoratori (nel frattempo è chiaro l’obiettivo immediato dell’art. 25: colpire gli strati operai più combattivi e in particolare quelli della logistica per cui il blocco degli ingressi dei magazzini e degli interporti è un’arma di lotta fondamentale).

Non basta pertanto lottare contro “il razzismo e la repressione”, bensì è necessario collegare questi temi all’opposizione alle politiche reazionarie che l’esecutivo Lega-5Stelle porterà avanti sul piano economico. Pena rafforzare la presa di Salvini & co. lasciando l’ “antirazzismo” in mano a quelle forze  come il PD che per prime hanno la responsabilità di quasi un decennio di austerità (e le quali – lo attesta il Decreto Minniti Orlando, oltre alla Turco-Napolitano che introdusse i CIE – non hanno nulla a che spartire con la difesa dei diritti degli immigrati).

È necessario, in altre parole, spiegare a quelle fasce di lavoratori preda della propaganda leghista a causa di decenni di passività delle burocrazie sindacali e di errori della sinistra di classe, che il razzismo di Stato approfondito dall’ultimo decreto non è altro che un modo per dividerli dai loro fratelli immigrati e proseguire indisturbati l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro di tutti.  E’ necessario spiegargli che per affrontare la devastazione economica e sociale determinata dalla crisi del capitalismo l’unica soluzione è lottare uniti, a prescindere dalle differenze etniche e di religione, contro i padroni e il governo, in base a una programma di rottura con le compatibilità di un sistema economico e politico che non ha più nulla da offrire. Nulla più da offrire ne agli italiani ne agli stranieri, i quali fuggono dall’Africa, dal Medio-Oriente etc. a causa delle stesse dinamiche – quelle innescate dal dominio economico e politico sul pianeta di un pugno di banchieri e industriali – che qui generano la distruzione del welfare, povertà e iper-sfruttamento e là – oltre a tagli a sanità e istruzione, compressione del costo del lavoro etc. – determinano immani processi di espropriazione delle masse contadine e, last but not the least, guerre (qui chiamiamo tutto ciò “Austerità”, là “Imperialismo”).

Alla luce di una prospettiva del genere – che è quella che animerà lo sciopero del sindacalismo combattivo del 26-7 Ottobre – allora, opporsi all’ultimo decreto sicurezza-immigrazione significa rivendicare l’abolizione anche di tutte le misure repressive e razziste precedenti che, istituzionalizzando la clandestinità e criminalizzando gli immigrati, aumentano la ricattabilità di un settore sempre più importante della classe lavoratrice (minandone la compattezza), oltre a creare un capro espiatorio – quello dello “straniero irregolare” – molto utile ai governi borghesi di ogni schieramenti per occultare gli effetti e le responsabilità delle politiche di massacro sociale.

 

Roger Savadogo

Django Renato

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.

Ricercatore indipendente, con un passato da attivista sindacale. Collabora con la Voce delle Lotte e milita nella FIR a Firenze.