Foodora smetterà di operare in Italia e verrà assorbita da Glovo, sua concorrente. La fusione delle due multinazionali, giganti della consegna a domicilio di cibo ordinato tramite app, sarà un disastro per i lavoratori di tutto il settore. Glovo infatti erediterà i clienti di Foodora, ma non le condizioni di lavoro né i “rider”, dipendenti a tutti gli effetti ma che né l’azienda né la legge riconosce come tali. E così 2 mila fattorini si troveranno licenziati.

Niente paura per i circa 50 dipendenti, che saranno tutelati dalla legge. Ma i 2 mila rider, assunti con co.co.co.[1] saranno al massimo “liberi di candidarsi come glovers, senza nessuna limitazione”. Si innescano così due dinamiche. Da una parte chi vorrà essere assunto da Glovo dovrà sottostare alle sue condizioni, ancora peggiori di quelle di Foodora. Dall’altra, Glovo potrà benissimo escludere i fattorini che hanno partecipato agli scioperi. Il risultato sarà una massa di rider ancora più vulnerabile e precaria, e a scontarne le conseguenze saranno i lavoratori di tutto il settore.

Di Maio voleva mettersi a lavoro per un contratto collettivo nazionale e di inserire nel decreto dignità tutele specifiche. Dopo queste promesse è scomparso, troppo occupato a svendere gli operai dell’ILVA (e infatti anche lì 2600 operai non sono stati riassunti). Abilissimo nel sfruttare l’immagine di amico dei lavoratori, non ha fatto altro che lasciarli nelle mani delle aziende[2], sempre pronte a schiacciarli. Quella del Ministro del lavoro era una mossa per rispondere alla Carta dei Diritti di Bologna, promossa da sindacati confederali e amministrazione PD. Al tempo ci chiedemmo se lo Stato possa veramente stare dalla parte dei rider. La risposta era e rimane no.

La fusione di Glovo e Foodora avrà come conseguenza l’indebolimento dei collettivi di rider e delle loro lotte. Il riconoscimento legale dello status di dipendenti e la copertura INAIL, da rivendicazione minime, finiranno col sembrare utopia. In questo scenario, è vitale che tutti i rider di ogni azienda discutano un piano di lotta unitaria. Il riconoscimento del contratto nazionale della logistica è una rivendicazione fondamentale, senza la quale i rider non possono sperare di difendersi da manovre come quella di Glovo.

Un primo passo è quello di coordinarsi sempre più strettamente con gli altri lavoratori in lotta di ogni settore, ma specialmente della logistica, perché è qui che sindacati di base come SiCobas e ADL Cobas hanno strappato contratti che aboliscono il lavoro interinale, il cottimo, persino il Jobs Act. Ma si tratta di conquiste ottenute organizzandosi in sindacato e con la lotta, non piegandosi agli accordi al ribasso ottenuti dai sindacati confederali e alla benevolenza dei padroni[3].

Gabriele Bertoncelli

Note

1: La formula co.co.co. (contratto di collaborazione coordinata e continuativa) è stato introdotta dal governo Prodi (centrosinistra) con il pacchetto Treu del 1997. Il governo Renzi, sempre di centrosinistra, ha ulteriormente peggiorato la situazione grazie al Jobs Act. L’intenzione era in entrambi i casi quella di “combattere la disoccupazione”, ma in realtà si è soltanto sfruttata la debolezza (anzi, disperazione) e la collaborazione dei sindacati confederali CGIL-CISL-UIL per precarizzare il mondo del lavoro. Una nota molto ironica se si pensa che è proprio grazie a questa “lotta” fatta sulla pelle dei lavoratori che oggi si possono licenziare 2 mila dipendenti senza nessuna conseguenza.

2: Non si pensi che abbia nulla da invidiare al suo predecessore, il piddino Calenda.

3: È anche il caso di recuperare questo termine. Viviamo in anni in cui il lavoratore è “collaboratore”, l’azienda diventa “app”, il lavoro “lavoretto” o “hobby”. L’intenzione di chi ci sfrutta è quella di illuderci, farci vedere una realtà più rosea per dissuaderci dal lottare per condizioni migliori e per l’abbattimento del sistema. Chiamare le cose con il proprio nome è il primo passo verso il cambiamento radicale di cui abbiamo bisogno.

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.