La normale vita quotidiana in India ha subito una brusca frenata nel momento in cui quasi 200 milioni di lavoratori di banche, trasporti pubblici, fabbriche e agenzie governative hanno deciso di scioperare per due giorni (a partire dall’8 gennaio).
Lo sciopero e’ stato indetto da 10 sindacati in tutto il paese contro quelle che definiscono norme anti-lavoro messe in atto dal Primo Ministro Narendra Modi. Anche i lavoratori del settore energetico, automobilistico, delle acciaierie e servizi finanziari hanno partecipato; inoltre si sono uniti anche i contadini, che gia’ da mesi protestavano contro la crisi agraria nel Paese.


“Il Governo ha messo in atto norme anti-economiche e anti-lavoro che ci hanno obbligato a scioperare” dice C.H. Venkatachalam, Segretario Generale della All India Banks Employees’ Association (AIBEA), uno dei sindacati che partecipa alla protesta “Ad esempio i prezzi continuano a salire e ora persino i generi di prima necessità non sono più disponibili a prezzi equi in nessun negozio e il Governo non fa assolutamente nulla al riguardo”.
Fondata nel 1946, la AIBEA e’ uno dei primi sindacati in India nel settore bancario e conta circa 500.000 iscritti.

Un altro motivo della protesta è che non si stanno creando posti di lavoro sufficienti. Rispetto alle ultime elezioni generali il Partito di Modi, Bharatiya Janata Party (Partito del Popolo Indiano – formazione conservatrice), aveva promesso di creare circa 10 milioni di posti di lavoro ogni anno. Ma le stime reali sono tutt’altro che positive, visto che nell’ultimo anno finanziario i posti di lavoro sono diminuiti anziché aumentare come promesso.
A parere dei sindacati, un altro punto nevralgico riguarda il fatto che molte aziende nel settore Pubblico non stanno andando bene, portando l’esecutivo a disinvestire in esse o a ristrutturarle, con l’obiettivo di privatizzarle. A riprova, nel novembre del 2018 la Camera ha approvato la vendita delle azioni pubbliche della Dredging Corporation of India ad un consorzio privato.

“Le aziende del settore pubblico hanno un forte impatto sull’economia e quindi è assolutamente necessario investire per rafforzarle invece che privatizzarle. La privatizzazione porta sempre a svariate problematiche” afferma Venkatachalam.
Questa è la seconda volta in meno di 15 giorni che gli impiegati del settore bancario fanno sciopero per protestare contro la fusione di diverse banche. Lo scorso settembre il governo aveva annunciato la fusione della Dena Bank con la Vijaya Bank e la Bank of Baroda (BOB), che apparentemente entrerà in vigore dal 1 aprile 2019, quindi a dicembre quasi 1 milione di impiegati del settore bancario è entrata in sciopero per un’intera giornata. Chiaramente i disagi per i clienti continueranno fino a quando la politica del Governo non cambierà.


Lo spavento per le classi dominanti indiane è stato tale da dover ricorrere all’arresto dei leader del Partito Comunista Indiano (marxista) del Bengala Occidentale, territori in cui quel movimento maoista ha governato fino all’ultima legislatura, mentre ancora governa in Kerala, in base a una politica riformista, elettoralista e di collaborazione di classe (anche se il partito in questione ruppe negli anni 60 con l’Indian Communist Party – senza aggettivi – a causa della sua subalternità all’URSS e al partito borghese tradizionale indiano: l’Indian National Congress). Ecco che, nonostante alcuni successi nelle politiche educative e a favore dei contadini, la linea del PCI(M) è quella di favorire l’industrializzazione puntando sull’attrazione di investimenti esteri; così le diseguaglianze, la povertà etc. rimangono gravi, mentre la stessa attenzione che viene data all’istruzione – in grado di portare l’alfabetizzazione al 95% e di rendere il Kerala un importante polo dell’informatica – lungi dal risolvere i problemi economici e sociali delle larghe masse, ha fatto si che la regione dell’India meridionale diventasse un bacino di ingegneri a costo zero per i paesi del Golfo.

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Tornando allo sciopero, ci sia permessa una breve riflessione finale: le recenti lotte operaie in Cina e in Sudafrica, crudelmente represse, e i recenti sviluppi in India indicano una tendenza che sconfessa qualsivoglia suggestione sovranista, il riferimento ai BRICS non è casuale. Perciò tifare per una o più nazioni nello scontro inter-imperialistico è quantomeno stucchevole a fronte di quanto sta accadendo, ancor più stucchevole in questo senso è la rivendicazione della sovranità nazionale italiana come se il nostro Paese non facesse parte del G7!

In altre parole, autodeterminazione dei capitalisti significa miseria degli sfruttati; ancora una volta milioni di persone reclamano condizioni di vita decenti e di uno “Stato forte” non sanno cosa farsene.

Roger Savadogo

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.