Sono passati esattamente cinquant’anni dalla strage di Piazza Fontana a Milano e altrettanti ne sono passati dall’assassinio del militante anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra, nella Questura di Milano.
Come per tutte le ricorrenze e gli anniversari di questi ultimi decenni in particolare, domineranno sentimenti fatalisti, neutralizzanti, tipici di una borghesia forte di sé stessa e soprattutto forte della capacità di inquadrare il senso comune.
Perciò le iniziative di questa settimana somigliano molto a degli atti teatrali, nei quali ciascuno recita la propria parte in modo ordinato, secondo copione. Ad esempio si può comprendere dal sito di Radio Popolare quali saranno i connotati della “Catena Musicale”, manifestazione di carattere istituzionale che si svolgerà sabato per il 50° anniversario della morte di Pinelli e della strage di Piazza Fontana:


Vogliamo una Poesia lunga un chilometro e trecento metri. Vogliamo che un canto si dispieghi lungo il centro cittadino, affinché quella ferita, quella memoria, quella storia, possano ora essere finalmente di tutti. Una memoria non più di parte e a seconda delle parti. Non più divisa e divisiva. Ma memoria viva nei suoi valori non negoziabili dei diritti dell’uomo. Crediamo la Memoria Gioia. La Libertà Vita. E il Diritto una catena fra uomini liberi. La Catena Musicale è l’unica catena che rende liberi.
Si eseguiranno Addio Lugano, La Ballata del Pinelli, Il Galeone e Here’s for you. Si suonerà a domino. Quando partirà il primo in Piazza Fontana seguirà il secondo, e poi il terzo. E così via via tutti entreranno in catena e continueranno a suonare fino a che l’ultimo in Piazza Cavour non abbia preso parte. A questo punto si potrà concludere il brano, ancora smettendo a domino, dal primo in piazza Fontana all’ultimo in Piazza Cavour. E così si passerà al nuovo brano.
Non sarà l’esecuzione del secolo. Ma non è un concerto. Non è una rassegna. È un gesto di teatro urbano musicale. Un’onda sonora che parta e arrivi e dichiari gioia di vivere e libertà. E dimostri che chi ha a cuore il diritto e la libertà non ha paura di nulla.

In questo trionfo di astrattismi e di retorica idealista, emerge chiara la volontà di accantonare completamente il fattore politico, o meglio di rimuovere ogni traccia di giudizio critico, di dubbio, poiché il riferimento alla memoria non più di parte ma di tutti è nientemeno che un raffinato sofisma per unire vittime e carnefici come fossero un tutt’uno. Non a caso i termini libertà e liberi vengono ribaditi in modo ossessivo, quasi a voler convincere che c’è spazio solo per la pacificazione forzata e per i buoni sentimenti di “uomini liberi” (un concetto, non a caso, usato moltissimo dalle destre politiche); viene concesso giusto il teatro urbano musicale dove per l’appunto ognuno avrà la propria parte come in ogni spettacolo che si rispetti.
È davvero triste immaginare anarchici (o presunti tali) che ballano e cantano accompagnati dalle guardie, le stesse che oggi come allora e come in epoche più lontane arrestano, torturano e uccidono militanti politici di quell’orientamento ma non solo.
Seppur di segno opposto, l’iniziativa che avrà luogo al centro sociale Leoncavallo, la sera di domenica, appare più come una mera occasione di agiografica testimonianza che di dibattito politico; in primis perché si svolge in un centro sociale che da ormai molto tempo non è più un posto in cui si formano i militanti,in cui si elaborano collettivamente dei piani d’azione e di confronto, in sintesi non si fa politica; in seconda battuta, anche in questa situazione si concede ampio spazio alla componente artistico-musicale con degli interventi a margine, come se non ci fosse quasi nulla da dire, come se la lotta politica odierna fosse completamente slegata da quella del decennio ‘68-’77.

Chiunque lotti per abbattere il feroce regime capitalista deve prendere atto della sconfitta sul fronte della memoria militante riguardo piazza Fontana, e in molti altri casi, giacché la mistificazione totale dei fatti, denominata anche “memoria condivisa”, va contro quella prospettiva e a favore di una pace sociale utile a giustificare sempre più sottili forme di repressione e sfruttamento.
Ma la sconfitta non può essere in alcun modo utilizzata come alibi per tirare i remi in barca o per eludere il dibattito: al contrario, essa deve servire da stimolo per intensificare i nostri sforzi, anche nel recupero e nella rivendicazione della nostra storia, tenendo ben presente che per i rivoluzionari non c’è mai stata un’epoca agevole per l’azione politica (a differenza delle tante banderuole opportuniste, che possono sempre rimediare posti e posticini al sole… del regime borghese).

Come minimo lo dobbiamo a chi, come Giuseppe Pinelli, ha pagato con la vita il suo anticapitalismo.
Nella misura con cui si rifiuta l’abbraccio mortale con i boia e i loro despoti, allo stesso modo si devono rifiutare logiche settarie e autoconservatrici (fosse pure nel nome del puro ideale anarchico) che autolimitano un ristretto recinto di “anime buone” che celebrano gelosamente i fatti passati, mantenendoli distanti dalle masse diseredate: il miglior modo per ricordare coloro i quali sono caduti sotto i colpi dello Stato è riprendersi le piazze per affermare la fiera opposizione allo Stato borghese portando le ragioni, oggi rimosse dall’immaginario, degli sfruttati.

Roger Savadogo

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.