Era facile amarla perché era una bella emiliana simpatica e prosperosa come solo sanno essere le donne emiliane. Grande in cucina e grande a letto. Il massimo che in Emilia si chiede a una donna.

Questo è quanto scritto da Giorgio Carbone, giornalista di Libero riferendosi alla figura di Nilde Iotti, partigiana della Resistenza ,  prima donna presidente della Camera e dirigente del Partito Comunista Italiano.
Al netto di uno gretto riferimento all’Emilia Romagna come una regione in cui alle donne basti essere “grandi in cucina e grandi a letto” per avere un qualsivoglia tipo di considerazione, la misoginia espressa in questo articolo, registra un regime di continuità dello squallore che ripetutamente propone la testata su cui è pubblicato.
“Libero”, infatti, non è nuovo a scritture di questo livello, superando senza sforzi anche le peggiori testate della stampa mainstream.
Prescindendo dalle divergenze nell’analisi e nella pratica che chi scrive ha rispetto alla tradizione politica della Iotti, invisibilizzarne la figura pubblica rientra in una logica patriarcale violenta che ha come scopo quello di ricondurre la figura femminile al ruolo che il sistema capitalista le attribuisce storicamente: angelo del focolare, regina della casa e amante capace.

Sarebbe opportunista, infatti, dimenticare che Nilde Iotti fu una dirigente organica della burocrazia stalinista del PCI, partito che nella pratica si è posto in contrasto con la costruzione di un movimento femminista realmente rivoluzionario promuovendo, anche nella propria vastissima base, politiche conservatoriste e poco inclini all’inclusione della questione di genere all’interno del proprio piano politico, quindi non proprio una figura propulsiva per il movimento femminista.
Non basterà a fermare le violenze patriarcali che quotidianamente perpetrano gli organi di stampa, però, la risposta del Consiglio Nazionale dell’ Ordine dei Giornalisti che ha dichiarato  

La trasmissione della fiction su Nilde Iotti, a venti anni dalla scomparsa, offre al quotidiano Libero un’altra opportunità per violare le regole principali deontologiche. Sessismo e omofobia: il giornalismo è un’altra cosa. Il riferimento fatto a una grande statista, prima donna in Italia a ricoprire una delle tre massime cariche dello Stato, è volgare e infanga con cinismo e allusioni becere tutte le donne italiane, non solo la prestigiosa figura di Nilde Iotti. Abbiamo già provveduto a segnalare al Collegio di Disciplina territoriale competente questo nuovo infortunio del quotidiano milanese.

La crescente tossicità delle narrazioni degli eventi, in modo particolare quando si tratta di abusi e femminicidi, è un prodotto ben riuscito della barbarie sociale a cui siamo soggetti; un tentativo costante di invisibilizzare le donne, di colpevolizzarle degli abusi subiti, di banalizzare gli eventi che spesso precedono la loro uccisione e a delitto consumato definirli dei “raptus di follia”.
Non molto tempo, infatti, è trascorso da quando i giornali hanno etichettato l’assassino di Elisa Pomarelli come un “gigante buono” e motivato il suo femminicidio come risultato di un amore non corrisposto.

Questo attacco machista è solo uno dei fenomeni più sguaiati della cultura conservatrice, clericale, maschilista che imperversa nel nostro paese, e che non viene scalfita dalle politiche dei partiti istituzionali “progressisti”. Questo non vuol dire che non si possa tornare a combatterla e a farla arretrare: come in passato, negli episodi significativi della storia della lotta delle donne per la loro emancipazione, è lo stimolo di una lotta politica più larga e connessa con quella degli altri soggetti oppressi e della classe lavoratrice, a rendere possibile non solo la conquista formale di diritti, ma la presa di coscienza dell’oppressione di genere da parte di nuovi e più larghi strati della popolazione.

Per liberarsi definitivamente delle letture fortemente maschiliste egemoni nei mezzi di comunicazione di massa, occorre incentivare l’espansione di un movimento femminista internazionalista, militante e rivoluzionario che non solo si preoccupi di combattere la cultura machista che  pervade ogni ambito della società moderna,  ma che soprattutto si dia un indirizzo organicamente anticapitalista, che si ponga l’obiettivo di distruggere il sistema di produzione in cui viviamo estirpandolo alla radice, per rendere realmente possibile l’emancipazione delle donne dalle doppie catene che le opprimono.

Il capitalismo tiene in piedi il patriarcato, e il patriarcato tiene in piedi il capitalismo.

Bisogna farli cadere entrambi.

 

Ilaria Canale

Nata a Napoli nel 1993. Laureata in infermieristica all'Università "La Sapienza" di Roma, lavora nella sanità nella capitale.. È tra le fondatrici della corrente femminista rivoluzionaria "Il pane e le rose".