A partire dalla manifestazone fiorentina di sabato scorso, riflettiamo sul significato dell’antifascismo come anticapitalismo (per essere conseguente) e sulle sue strumentalizzazioni da parte del centro-sinistra. Non possiamo lasciare in mano a PD, 5Stelle e burocrazie sindacali l’opposizione al governo Meloni.


Sabato 4 marzo, a Firenze, un grande corteo di alcune decine di migliaia di persone ha attraversato le strade del centro storico in nome dell’antifascismo. Come noto, la manifestazione era stata chiamata in risposta al pestaggio avvenuto il 18 febbraio scorso davanti al liceo Michelangiolo a opera di giovani militanti fascisti (per la precisione, membri di Azione Studentesca – giovanile di Fratelli d’Italia). Seguiva la provocazione del ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, il quale, invece di condannare l’aggressione, si scagliava contro la preside di un altro liceo fiorentino, che in una lettera agli studenti aveva denunciato la pericolosità della violenza neo-squadrista. La manifestazione è stata organizzata da CGIL, CISL e UIL, e ha visto la partecipazione, oltre che del segretario della CGIL Maurizio Landini, anche dei capi politici dei principali partiti di opposizione: la neoeletta segretaria del PD Elly Schlein, Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni (oltre che il sindaco di Firenze Dario Nardella e il presidente della regione Eugenio Giani). 

Parallelamente, un altro corteo, composto da circa duemila manifestanti e che poi sarebbe andato a confluire in quello “principale”, partiva da un’altra piazza fiorentina: era il corteo dei collettivi e partiti della sinistra anticapitalista uniti attorno a Firenze Antifascista e al Collettivo di Fabbrica dei lavoratori e delle lavoratrici dell’ex GKN. Il legame tra questi ultimi e l’antifascismo militante è forte: “Insorgiamo”, il nome dato al movimento sorto dopo i licenziamenti del 9 luglio 2021, è un motto ereditato dalla lotta partigiana fiorentina.

Perchè la sinistra anticapitalista ha fatto un corteo separato?

Lo spezzone dell’estrema sinistra si differenziava da quello di CGIL, CISL e UIL per tutta una serie di ragioni politiche. In primis, l’idea per cui non può esistere un movimento conseguente di opposizione al fascismo che non abbia contemporaneamente un carattere fermamente anticapitalista, cioè che non colga il problema alla radice, combattendo contro le condizioni sociali che resero il fascismo storicamente possibile. È necessario aver sempre chiari i numerosi elementi di continuità fra il dominio capitalista della società, l’oppressione di classe che caratterizza il nostro mondo, e il fenomeno storico del fascismo. Certo, pur rappresentando un salto qualitativo rispetto al “normale” dominio di classe cristallizzato dalla democrazia liberale rappresenta uno dei modi, esso è il più esplicitamente violento in cui si è declinato storicamente il potere della classe capitalista su quelle subalterne.


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Oggi le classi dominanti non hanno bisogno di azzerare le organizzazioni indipendenti dei lavoratori e della società civile: per portare avanti le politiche di massacro sociale sono bastati il ricatto del debito pubblico e dei vincoli di bilancio UE, con la collaborazione delle burocrazie sindacali e delle vecchie organizzazioni politiche riformiste della classe lavoratrice diventate social-liberiste (stiamo evidentemente parlando del PD). Questo non significa negare che governo Meloni non sia oggettivamente e apertamente reazionario, come abbiamo spiegato nell’editoriale del numero 4 di Egemonia. È inoltre evidente che con un esecutivo del genere – guidato da un partito post-fascista, quindi con legami di continuità organizzativa con il fascismo storico – settori di picchiatori squadristi guadagnino fiducia e diventino sempre più un problema per giovani, lavoratori, comunità LGBT+ e persone razializzate. Va però segnalato che non c’è nessuna minaccia eversiva di stampo fascista, in questo momento; pena assecondare PD, Movimento 5 Stelle e vertici sindacali nel loro tentativo di incanalare in un’opposizione meramente elettorale e senza prospettiva la giusta indignazione nei confronti della primier Meloni & co.

L’urgenza di un’opposizione conseguente al governo

La piazza chiamata sabato a Firenze doveva rifarsi, nelle intenzioni degli organizzatori, a un generico appello all’antifascismo come valore civico, senza che ciò fosse accompagnato da rivendicazioni concrete e un piano di lotta contro il governo. D’altro canto come potrebbero certi personaggi alla testa di quella manifestazione guidare un’opposizione coerente, dato che strumenti legislativi centrali attraverso cui l’esecutivo può esercitare la propria carica autoritaria hanno la loro firma: si pensi ai decreti sicurezza e immigrazione approvati durante il governo Conte, a loro volta continuazione di quelli Minniti-Orlando (il secondo è uno dei principali sostenitori di Elly Schlein). Si pensi ancora alla Buona Scuola targata PD e di fatto avvallata dai vertici sindacali, responsabile di un clima crescente di autoritarismo negli istituti superiori attorno alla figura del preside manager e al ricatto dell’alternanza scuola lavoro (solo modificata marginalmente dai 5Stelle).

Criticare le parole d’ordine fuorvianti della manifestazione indetta da CGIL&Co., assume inoltre un significato ancora più immediato quando a porre questa critica è il Collettivo di Fabbrica dell’ex GKN, formato da lavoratori e lavoratrici che da venti mesi stanno lottando per la reindustrializzazione di una fabbrica, contro il gioco sporco e le perdite di tempo dei padroni (prima la multinazionale Melrose e poi il loro burattino Borgomeo), anche contro il silenzio o il vago brusio delle istituzioni regionali e nazionali e delle burocrazie sindacali, tra cui vari partecipanti (Nardella, Giani e Landini in primo luogo) a questo corteo che si è voluto chiamare antifascista. Sono loro gli «indifferenti» di oggi; o peggio: indifferenti nei confronti delle sorti di chi è sfruttato, ma sempre pronti a non urtare gli interessi di chi sfrutta e fa profitti miliardari, se non proprio ad appoggiarli apertamente.

Finché l’antifascismo si riduce a una sterile accozzaglia di parole riferite ad astratti “valori democratici”, rischia di diventare una gigantesca arma di distrazione di massa. La stessa difesa della Costituzione, proclamata a gran voce dalla piazza di ieri, si rivela totalmente astratta dai fatti concreti: licenziamenti, distruzione del lavoro, negazione di diritti e sostegno alla guerra (sia detto di passata: Schlein ha prontamente chiarito, subito dopo una manifestazione dove il clima non era certo per l’invio di armi al governo Zelensky, che è assolutamente favorevole all’iniziativa NATO e delle potenze UE).

Pur frutto di un compromesso di classe, la costituzione italiana resta una costituzione borghese e se proprio deve essere chiamata in causa cìò deve avvenire per mostrare concretamente le contraddizioni in cui si aggroviglia la società borghese, tra i suoi valori astrattamente universali e la realtà sociale su cui è fondata.

Chiarito questo punto fondamentale, dal momento che il Collettivo di Fabbrica ha deciso di prendere parte alla manifestazione è stato a maggior ragione giusto e doveroso parteciparvi facendo fronte unito intorno al Collettivo, soprattutto per il periodo drammatico che i lavoratori e le lavoratrici dell’ex GKN stanno passando – dopo la presentazione della liquidazione da parte della proprietà, che già da cinque mesi ha smesso di pagare gli stipendi –, e anche per l’importanza che il movimento Insorgiamo riveste in questo momento storico, in quanto punta più cosciente di un movimento di classe che è ancora drammaticamente in ritardo (soprattutto in Italia) sugli eventi storico-universali che lo sviluppo capitalistico sta creando: la crisi climatica e la guerra internazionale su tutti.

Tutti in piazza il 25 Marzo con la GKN con una piattaforma di lotta al governo!

Con le puntualizzazioni fatte fin qui, non vogliamo sostenere che le migliaia di aderenti alla piazza di Landini & co. fossero passivamente alla coda di PD, 5Stelle e vertici sindacali. Pur differenziandosi politicamente sarebbe stato allora necessario cercare di contendere settori di quella piazza al centro-sinistra. A tal proposito, le realtà antifasciste e anticapitaliste fiorentine avevano giustamente intenzione di confluire nel luogo di partenza del corteo “principale”. Questo non è però stato possibile a causa dell’opposizione della questura di Firenze, fatto che ha impedito una dialettica tra il Collettivo di Fabbrica – insieme alle altre realtà della sinistra radicale – e le lavoratrici e i lavoratori della scuola, che rappresentavano il corpo principale della manifestazione. Un’interlocuzione con quei lavoratori sarebbe stata molto importante anche in vista della prossima data di mobilitazione di Insorgiamo, prevista per il 25 marzo.

Vi era però anche un limite politico nella capacità dello spezzone anticapitalista di parlare a fasci più larghe: oltre a rivendicare un antifascismo militante, mancava infatti una piattaforma rivendicativa in grado di rendere concreta l’opposizione al governo su un terreno di classe, e dunque realmente in grado di contendere l’influenza del centro-sinistra sulla piazza a direzione burocratico-istituzionale. La data del 25 marzo potrà essere un’ottima occasione per ragionare su come migliorare in questo senso. 

Contro l’antifascismo astratto e ipocrita del centro-sinistra bisogna rivendicare l’abolizione di misure autoritarie come il decreto sicurezza, il più recente decreto rave e il 41 bis, denunciando le responsabilità di PD ecc. nella spirale repressiva dell’ultimo decennio.

Il problema non sono solo i fascisti fuori dalle scuole, ma anche l’autoritarismo dei presidi manager e delle aziende al loro interno, nel quadro dell’alternanza scuola-lavoro (ora PCTO).

È inoltre necessario incalzare i vertici sindacali rivendicando un piano di lotta contro l’abolizione del reddito di cittadinanza, associato all’introduzione di una scala mobile sui salari, di un salario minimo intercategoriale e alla redistribuzione dell’orario di lavoro, per contrastare la divisione tra lavoratori “tutelati” e fasce precarizzate su cui gioca il governo per giustificare i suoi attacchi (e in parte anche le burocrazie sindacali per evitare di lottare).

Sempre nell’ottica di ricompattare la classe lavoratrice va inoltre affrontato il rapporto tra gestione (capitalistica) della crisi ecologica e ristrutturazioni industriali: la rivendicazione emersa dalla lotta GKN – nazionalizzazione della fabbrica sotto controllo di lavoratori e territorio nell’ottica della riconversione ecologica – deve diventare patrimonio di tutto il movimento sindacale ed ecologista rispetto al complesso del settore automotive.

Tutto ciò, va inquadrato in un ragionamento su come tendenze reazionarie, crisi sociale e guerra (ma anche crisi ecologica) trovino radice nello sfruttamento capitalistico, quindi rispetto necessità di costruire un’organizzazione all’altezza di lottare superarlo.

Leonardo Nicolini

Lorenzo Lodi

Nato a Brescia nel 1991, ha studiato Relazioni Internazionali a Milano e Bologna. Studioso di filosofia, economia politica e processi sociali in Africa e Medio Oriente.

Nato a Genova nel 1998, è cresciuto in una famiglia di artisti. Ha studiato filosofia prima a Pavia e poi e Firenze, dove vive attualmente. Militante della FIR, si dedica anche alla fotografia e al cinema.