Riportiamo un articolo comparso oggi sul sito dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) che fa il quadro della situazione in Libia a fronte dell’instabilità politico-militare di lungo periodo del paese, oggetto di contesa tra varie potenze economiche e statali straniere, e dell’arrivo del Covid-19.


Ad un anno dall’offensiva del generale Khalifa Haftar contro la città di Tripoli, la guerra civile in Libia continua nonostante i continui moniti delle Nazioni Unite e della comunità internazionale per una tregua umanitaria per facilitare il contrasto al covid-19.

Il generale Haftar sembra aver intensificato gli attacchi alla periferia di Tripoli e nelle zone di confine con la Tunisia conquistando le città di Abu Kammash e di Ras Jedir ai danni delle truppe del governo Onusiano.

Tali attacchi hanno scatenato la risposta del Governo di Accordo Nazionale (GNA) del premier Fayez al-Serraj e, nella giornata del 26 marzo, ha lanciato l’operazione militare ‘Tempesta di Pace con l’obbiettivo di vendicare le vittime degli attacchi delle truppe Bengasi.

Nel frattempo nel paese si registra il primo caso di contagio da coronavirus e i due governi stanno cercando di mettere in campo, tra mille difficoltà, misure restrittive per la popolazione civile per fronteggiarne la diffusione.

Tuttavia, in un paese ormai distrutto dalla guerra nel quale non vi sono strutture istituzionali forti, le misure prese da entrambi i leader del paese sembrano essere più mosse propagandistiche che iniziative realmente tangibili. Le strutture sanitarie sono inefficienti e le poche che sono rimaste sono state negli ultimi giorni prese di mira dai bombardamenti di Haftar.

 

Tripoli, tra crisi economica e corona virus

Al-Serraj, che controlla la parte ovest del paese, ha messo in campo circa 350 milioni di dollari per potenziare il sistema sanitario e applicare misure restrittive per il contenimento del virus.

Dal 22 di marzo il governo di Tripoli ha attuato stringenti misure che vanno dalla chiusura di tutti gli istituti scolastici, moschee, scuole università e ha attrezzato nell’aeroporto di Mitiga un centro per la quarantena, anche se questo è stato bombardato il 23 marzo da Haftar.

Il GNA, dopo l’avanzata di Haftar nel 2019 e i risvolti della Conferenza di Berlino, è rimasto sempre più isolato all’interno della comunità internazionale ricevendo il solo appoggio da parte della Turchia.

Tale isolamento ha portato il governo di Tripoli a sfruttare l’emergenza Covid-19 per riavvicinarsi, seppur in maniera, per ora, del tutto disinteressata, alla Cina per il supporto al contrasto della diffusione del virus.

La Cina, seppur giocando il ruolo di spettatore nella guerra civile, ha più volte mostrato un certo interesse ad includere la Libia all’interno del progetto della Via della Seta soprattutto per le enormi potenzialità energetiche che il paese offre. In questo senso la presenza cinese nel paese in questo periodo – si parla di cinque medici cinesi in supporto del personale medico libico – potrebbe rappresentare una carta che al-Serraj potrebbe giocare a livello internazionale.

Per ora il governo di Tripoli, dopo la decisione di Haftar di bloccare le esportazioni di petrolio, sta attraversando una profonda crisi economica e di legittimità che sta portando, a causa del ritardo nel pagamento degli stipendi del settore pubblico, ad un crescente malcontento tra la popolazione.

Secondo la Banca centrale Libica, il paese dal 17 gennaio (data del blocco delle esportazioni) ha perso circa 3 miliardi di dollari e una produzione di petrolio sotto i centomila barili al giorno.

La crisi petrolifera sta di fatto scatenando una vera e propria guerra nelle acque libiche. Dalla metà di marzo, una nave cargo – Gulf Petreleum 4 – battente bandiera liberiana, e proveniente dagli Emirati Arabi, sta rifornendo illegalmente Bengasi di carburante scatenando le ire del GNA che nella serata del 22 marzo ha sequestrato la nave.

La dura crisi economica e l’assenza di un forte appoggio internazionale stanno mettendo a dura prova il governo di Tripoli che, con la diffusione del coronavirus e con un possibile collasso del già fragile sistema sanitario libico, metterebbe il governo di Tripoli di fronte ad un’ulteriore crisi.

 

Haftar: l’uomo forte come antivirale

Come la controparte tripolina, il generale Haftar ha preso misure restringenti per la popolazione e chiuso porti e aeroporti – non per il rifornimento di armi –, oltre a tutti gli uffici pubblici e privati.

Tuttavia, ciò che più spaventa Haftar, sembra sia l’alto numero di contagi del vicino Egitto soprattutto per i numerosi viaggi che gli emissari dei due paesi hanno svolto nell’ultimo periodo.

L’annuncio del portavoce di Haftar, Ahmed al-Mismari, di essersi messo in quarantena volontaria dopo un suo viaggio proprio in Egitto, ha scosso e non poco Bengasi costringendo il governo a formalizzare l’Alto commissariato per la lotta al coronavirus con a capo il Comando generale dell’esercito.

Le misure prese dal regime di Haftar, inoltre, stanno dando un’ottima piattaforma alla macchina della propagandaGli account Twitter del suo esercito continuano a mostrare immagini degli uomini della sicurezza controllare i prezzi dei farmaci nelle farmacie o nei check-point nelle strade deserte delle città di Sirte, Sabha e Bengasi.

Inoltre, il governo di Bengasi ha inviato due settimane fa aiuti e medicinali nell’ovest del paese. Tale mossa, seppur apparentemente del tutto normale, rappresenta la strategia di soft-power che il generale sta attuando per screditare le misure messe in campo dal governo di Tripoli il quale, dall’inizio dell’emergenza coronavirus, sta ricevendo dure critiche da parte della popolazione per la poca efficienza delle misure prese.

Haftar sembra convinto che il momento sia più che mai propizio per un ennesimo attacco a Tripoli per corroderne le basi del potere e che il GNA abbia ormai le ore contate.

Tuttavia, nonostante gli atti di forza del generale e le misure restrittive sulla popolazione per fronteggiare l’emergenza coronavirus, l’assenza di fondi per potenziare le misure sanitarie si fa sentire e Haftar in questo caso ne è più che mai consapevole.

Tale necessità ha portato il parlamento di Tobruk a chiedere, tramite il suo più alto rappresentante, Aqila Saleh, alla Banca Centrale Libica – sotto il controllo del governo di Tripoli – finanziamenti per l’approntamento di centri per la quarantena.

Un eventuale contagio di massa della Cirenaica o del Fezzan – le zone sotto il controllo del generale – potrebbero avere ricadute anche sul potere di Haftar soprattutto se la Banca Centrale Libica non concedesse a Bengasi – difficile – i fondi necessari per il rafforzamento sanitario.

Gli untori siriani e la possibile guerra dei numeri

Mentre i rischi di rapida diffusione del contagio nel paese sono molto alti e le misure prese sembrano essere del tutto insufficienti, la presenza di mercenari su entrambi i fronti può essere un fattore di rischio in più.

Le parole di al-Serraj dei giorni scorsi, su possibili casi di positività tra le truppe siriane fedeli ad Haftar, hanno ricevuto la replica nelle dichiarazioni di al-Mismari che ha accusato i mercenari – sempre siriani, ma facenti parte della coalizione turca – di al-Serraj di contagiare la popolazione.

È il numero di contagi, tuttavia, che preoccupa le due forze in campo. Già in altri paesi della regione, come pure in paesi occidentali, il numero dei contagi rappresenta un vero e proprio pericolo per il potere e già molti si chiedono di quanto tali misure restrittive verranno ammorbidite una volta passata l’emergenza.

L’Egitto, vicino libico e alleato di Haftar, proprio alcuni giorni fa ha espulso dal paese una giornalista del Guardian con l’accusa di aver diffuso numeri più alti rispetto a quelli reali nel paese.

In Libia, seppur i contagi, ad oggi, non sono preoccupanti, la guerra dei numeri potrebbe rappresentare l’ennesimo fattore destabilizzante del potere e aumentare, come se non fosse abbastanza, le pressioni sulla popolazione civile.

 

Mattia Giampaolo

Laureato in storia contemporanea dei paesi arabi alla Sapienza di Roma, nel 2018 ha conseguito il master in Lingue e Culture orientali alla IULM University.
Dottorando alla Sapienza presso il Dipartimento di Scienze Politiche, con una tesi su Gramsci, la rivoluzione passiva e la Primavera Araba.