Lunedì 30 marzo, Chris Smalls è stato tra gli organizzatori di uno sciopero di 50 lavoratori nel magazzino di Amazon a Staten Island, New York. I lavoratori si sono mobilitati perché l’azienda non ha attuato politiche di igiene e sicurezza. Amazon ha risposto licenziando Chris.


La mattina del 30 marzo, a Staten Island, il più piccolo e testardamente operaio dei cinque “boroughs” della città di New York, i lavoratori di Whole Foods, una sussidiaria del colosso Amazon, decidono che, alla luce della mancanza di corrette misure igienico-sanitarie per far fronte alla pandemia che sta scuotendo il mondo, è giunto il momento di andare in sciopero, in concomitanza con decine di altri stabilimenti legati ad Amazon nella Grande Mela. Tra i lavoratori che incrociano le braccia, coglie l’attenzione dei media un uomo particolarmente effervescente che si pone alla testa di molti dei suoi colleghi. “La gente ha paura di lavorare. Si lavora, ma si mette a rischio le vite delle persone, principalmente perché molti non sono a conoscenza di un numero di casi positivi che non stano venendo riportati.”. Chris Smalls, 31 anni, assistente manager, è entrato in contatto con una lavoratrice al suo stabilimento, la quale aveva mostrato sintomi del Covid-19. Dopo averla mandata a casa, la Whole Foods le aveva detto di tornare al lavoro; questo fino a quando i risultati dei test non hanno dato riscontro positivo. Sia Chris che la dipendente di cui era responsabile sono stati quindi messi in quarantena. Allora, con altri organizzatori, sia della Retail, Wholesale and Department Store Union (il sindacato principale attivo nel settore dei servizi in città), ma anche di alleanze locali come Make The Road e New York Communities for Change, Chris ha animato uno sciopero di cinquanta dipendenti per chiedere non solo la messa in sicurezza totale degli impianti, ma anche la malattia retribuita per tutti i dipendenti, da lasciare immediatamente a casa, a prescindere dalla positività o meno al virus. Quello che, però, Chris non sa, è che tra due ore l’azienda lo licenzierà tramite un sms.

Mentre tutto questo accade, la logistica newyorchese vive uno sciopero intenso, partito da fasce minoritarie di lavoratori ma già in rapida espansione, e coinvolgente aziende anche al di fuori di Amazon (la già menzionata Whole Foods, ma anche Instacart, che vorrebbe dare come soluzione alla situazione una retribuzione garantita per soli 14 giorni, ai propri operai lasciati a casa dal lavoro). Nello stato che sta diventando rapidamente il più grande focolaio del coronavirus in America, dove i morti hanno superato le mile unità, e i contagi hanno toccato quota 75.000, sono ancora una volta i lavoratori più esposti, come quelli della logistica, ad alzare la voce. Si parla di nuovi scioperi negli stabilimenti Instacart della Florida, e di voci di malcontento anche nello stabilimento di Kent, nel Washington, dove almeno un lavoratore è risultato positivo al test per il virus. Il trattamento inadeguato del virus è solo la goccia che fa traboccare un vaso posto sotto il naso di tutti da anni, ormai: Amazon, in particolare, si è rivelata particolarmente spietata nel trattamento dei suoi impiegati, in casi eclatanti come quando un operaio morì e venne abbandonato nel magazzino mentre proseguivano attorno i lavori, ma anche in una miriade di dispute meno discusse nel dibattito pubbliche, venute alla luce in particolare in California, sulla questione della sindacalizzazione e dell’approccio dell’azienda del miliardario Jeff Bezos verso quegli stabilimenti dove potevano verificarsi situazioni propizie per il consolidamento di strutture sindacali (anche se, il caso emblematico del Minnesota di due anni fa, aveva lasciato ben sperare per una svolta di successo per i sindacati, nei loro sforzi in seno all’azienda). Per non parlare, invece, dei casi internazionali di protesta, come lo sciopero dei lavoratori spagnoli dello scorso anno e di due anni fa.

I lavoratori della logistica, però, sono per il momento gli unici ad alzare la testa, a NY. Particolare preoccupazione c’è per quelli delle costruzioni, ancora intenti al lavoro proprio mentre una nave ospedaliera della marina militare attracca nel porto cittadino per aiutare negli sforzi degli ospedali, e dopo che anche gran parte dell’immenso Central Park è stata riconvertita in un ospedale da campo. Ci sono poi i lavoratori del settore sanitario, sottopagati e sovrimpiegati, che devono anche subire il rischio aggiunto, pur lavorando in prima linea, di non avere accesso ai controlli medici necessari per assicurarsi che nessuno di loro sia rimasto infetto. Se, a tutto questo, aggiungiamo una controversa legge del 1967, la cosiddetta Taylor Law, che rende illegali gli scioperi dei dipendenti pubblici nello Stato, e che già era costata una salatissima multa di un milione di dollari a giornata di sciopero nel 2005 alla Transportation Workers Union, è facile rendersi conto di quanto, in realtà, la situazione possa essere un’utile scintilla nelle mani della classe operaia dello stato. Solo nella giornata di oggi, ci si aspetta che un 40% approssimato degli affittuari di NYC potrebbe non riuscire a pagare l’affitto, mentre la nazione viene attraversata dai richiami della campagna #rentstrike2020, potrebbe forse servire solo uno di quei “casi simbolici” che in America hanno sempre fatto una grande differenza nell’evolversi di dialettiche sociali e politiche. Un richiamo a grandi immaginari; la sofferenza reale di un lavoratore, colpevole di aver alzato la testa contro un colosso dell’economia internazionale. E Chris Smalls, negli occhi di molti, colleghi e non, sembra cominciare a rappresentare proprio questo.

Segnaliamo un’intervista rivoltagli dal giornale online statunitense gemellato alla Voce delle Lotte, Left Voice.

Amazon workers walk out

Voices from the Amazon Strike: Today in Staten Island, Amazon workers walked out demanding the shut down of the warehouse.

Pubblicato da Left Voice su Lunedì 30 marzo 2020

 

#ReHireChrisSmalls

Oggi, i riflettori sono puntati sulla sua storia. Nonostante la dichiarazione di Amazon, attraverso la quale l’azienda da ad intendere che il licenziamento del signor Smalls abbia a che fare con la sua esposizione al virus e alla violazione delle misure di quarantena, l’opinione pubblica è fortemente polarizzata a suo favore, in quanto caso specifico di bersaglio di ritorsioni da parte di un’azienda che, con ogni probabilità, ha molto più da nascondere che qualche decina di casi di Covid nei propri magazzini. Il sindaco di New York, Bill de Blasio, si è espresso in difesa dell’operaio: “ho ordinato che la Commissione cittadina sui Diritti Umani apra immediatamente un’investigazione nei confronti di Amazon”. Allo stesso modo, la procuratrice generale per lo stato, Letitia James, ha twittato il suo disappunto per la situazione, e il suo appoggio alla lotta degli impiegati Amazon che in tutto il paese si stanno organizzando per bloccare magazzini e spedizioni. Certo, questa forma di solidarietà agli operai, però, non spiegherebbe la corsa che, negli ultimi anni, il “progressista” sindaco De Blasio, insieme al governatore Dem Andrew Cuomo hanno fatto affrontare alla città, affinché diventasse la sede del nuovo, secondo, quartier generale del colosso e-commerce, un parallelo orientale della casa madre di Seattle. Le promesse di politiche laissez-faire, tra le quali il chiudere più di un occhio sulla gestione e il pagamento delle tasse, le condizioni lavorative degli operai degli stabilimenti, e le pratiche occulte di “union busting”, ovvero lo smantellamento capillare di tutti i tentativi eventuali di sindacalizzazione, hanno incontrato la forte opposizione delle unions locali, dei comitati di quartiere e delle organizzazioni politiche che da anni affrontano una lotta impari per salvaguardare quel poco che di accessibile per il 99% che, nella città che non dorme mai, è rimasto. Un’opposizione così vocale e combattiva che, a febbraio del 2019, il piano di Cuomo e De Blasio si è andato a infrangere fragorosamente contro il muro della lotta; Amazon decise, allora, di trasferirsi in Virginia, aprendo tutta una nuova serie di contraddizioni e problematiche.

Worker's voices from the Amazon walk out

“These people are working in fear. They only confirmed one case, there are at least 10 in here. There is no social distancing going on. People are packed on top of each other. Close this building now and pay us for every day that its closed. Close this building down, get it clean.”

Pubblicato da Left Voice su Lunedì 30 marzo 2020

Il lascito, però, di quella campagna, lo si vede ogni giorno nella marea di stabilimenti “principali” e “sussidiari” che sono sorti nel corso degli anni, lungo tutta la costa dello Stato del New York. Oggi come allora, anche quando mostrano la bella faccia, i politici del Partito Democratico sono nel migliore dei casi utili idioti, servi di un capitale che ne necessita; nel peggiore dei casi, sono il lupo vestito da pecora che, cavalcando il terrore del populismo reazionario trumpista (in questa specifica contingenza storica: prima si chiamava Bush, e prima ancora Reagan), si fa arma degli interessi del capitale nazionale ed internazionale, smantellando i sindacati, reprimendo gli operai, legittimando il massacro poliziesco delle minoranze; salvo, poi, elevare un caso emblematico a battaglia morale per fare bella figura, quando tutte le telecamere sono puntate. Oggi come ieri, i partiti della borghesia non sono alleati della classe lavoratrice in lotta: una lezione che una lunga storia di conflitto ci insegna. La battaglia legale, poi, per quanto necessaria per tutelare e salvaguardare gli interessi materiali e i bisogni immediati dei singoli individui che possono trovarsi nelle complicatissime vicissitudini concernenti una disputa sindacale, ad esempio, non solo non è accessibile nella stragrande maggioranza dei casi, spesso e volentieri ignorati dai media borghesi (l’ipotesi di una consultazione casistica da parte di un procuratore generale, poi!), ma non pone la lotta sul piano necessario affinché le cose cambino realmente: la strada da percorrere è quella della lotta politica; dell’unificazione delle lotte operaie, per la casa, contro il patriarcato; dell’organizzazione proletaria e lavoratrice, nei luoghi di lavoro, nei contesti sociali di aggregazione, attraverso lo strumento della democrazia operaia e dello sciopero, con l’obbiettivo ultimo della riappropriazione dei mezzi di produzione da parte di chi ne è legittimo proprietario.

Solo così si vedrà la fine dell’arroganza padronale nella gestione delle crisi, come delle situazioni di “normalità”, le quali spesso celano i semi dei frutti mostruosi che vengono in essere in contesti come, ad esempio, può essere una crisi economica o una pandemia.

 

Luca Gieri

Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.