È notizia di questi giorni la scoperta di un enorme gruppo Telegram dedito alla condivisione di materiale pedopornografico e contenuti di revenge porn. La scoperta è stata resa pubblica dal profilo Twitter di una donna dopo aver spiacevolmente scoperto di essere finita  tra le migliaia di immagini e di video che quotidianamente circolano su questo genere di chat. Oltre 43mila iscritti in due mesi, 21 canali tematici collegati, gruppi di riserva pronti a sopperire alla chiusura del gruppo originario, e un volume di conversazioni che si aggira sui 30mila messaggi ogni giorno ma, soprattutto, un nome che chiarisce le intenzioni del gruppo fin da subito: “Stupro tua sorella”.

Ma non è l’unico, ne esistono infatti moltissimi altri (non solo italiani) che forniscono lo stesso genere di materiale. Ciclicamente se ne scoprono di nuovi, con un aumento costante e degenerativo del livello di violenza. Il tenore delle conversazioni è sempre lo stesso: molte sono le giovanissime, perfino bambine di 8-10 anni che diventano oggetto della brutalità del branco. Padri che vendono immagini delle figlie minorenni o che chiedono consigli su “come stuprarle senza che queste piangano”, uomini di tutte le età che condividono materiale inviato dalle ex partner con lo scopo di punirle per la rottura di una relazione, spesso senza lesinare sulla specifica di nome, indirizzi e numeri di telefono. Si da vita così ad un vero e proprio stupro di gruppo virtuale che, spesso, non si ferma al mondo dei social. Moltissime, infatti, sono le donne che hanno subito vere e proprie molestie e forme di stalking, qualcuna ha perfino perso il lavoro perché le molestie, le telefonate e gli insulti sono arrivate fino a li, qualcun’altra non ha retto il peso della situazione e ha deciso di suicidarsi.

A nulla, evidentemente, è servita l’introduzione di una specifica tipologia di reato all’interno del codice penale risalente al Luglio del 2019 che punisce chi “invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”.

Ma il materiale che interessa il branco, ormai, non riguarda solo immagini e video espliciti di nudo. E’ frequente, infatti, la richiesta di foto del viso o in pose comuni non riconducibili all’attività sessuale, sottratte e condivise senza il consenso delle dirette interessate dai loro profili social, a dimostrazione del crescente livello di sessualizzazione e oggettivazione delle donne che finiscono nel gruppo. Il solo fatto di essere donne basta a renderle oggetto della violenza collettiva.

La banalizzazione della violenza è il filo rosso che collega questi episodi. In una società capitalista patriarcale in cui le donne esistono solo in funzione del ruolo sociale che viene loro attribuito la facilità con cui, attraverso il web, possano essere commesse tali brutalità senza una conseguenza immediatamente tangibile, diventa il lasciapassare per la moltiplicazione di esempi di mascolinità tossica che quasi mai si limitano all’esistenza nel solo mondo virtuale.

Al movimento femminista internazionale, in relazione al presentarsi di questi episodi, oltre a rafforzare le misure di controllo, autodifesa e solidarietà collettive, non resta che serrare le sue fila e porsi l’obiettivo della costruzione di comitati di donne nei quartieri, nelle scuole e nei posti di lavoro per combattere direttamente la violenza patriarcale che le opprime quotidianamente consapevoli che , senza l’abbattimento del patriarcato, la distruzione del capitalismo resterà solo un miraggio.

 

Ilaria Canale

Nata a Napoli nel 1993. Laureata in infermieristica all'Università "La Sapienza" di Roma, lavora nella sanità nella capitale.. È tra le fondatrici della corrente femminista rivoluzionaria "Il pane e le rose".