In Italia e nel resto del mondo si moltiplicano le restrizioni delle libertà sull’onda del panico da coronavirus. Sono misure eccezionali e temporanee o c’è dell’altro?
Il premier Giuseppe Conte nel corso del mese di marzo ha emanato il DPCM dal nome “iorestoacasa”. Nel decreto si specificano le restrizioni sugli spostamenti nel territorio italiano dando la possibilità di spostarsi solo per lavorare, fare la spesa nei supermercati, ricevere cure mediche, portare assistenza a persone con disabilità o a coloro in grave stato di necessità.
Le pene per chi viola la restrizione agli spostamenti senza una ragione dimostrabile vanno da centinaia di euro di ammenda a condanne penali di più alta gravità. Quello che risulta evidente, è che la necessità di applicare le misure di distanziamento sociale per contenere il diffondersi dell’epidemia, sia diventato non solo in Italia, il lasciapassare per l’attuazione di manovre politiche dal carattere autoritario oltre che per un aumento preoccupante dei livelli di militarizzazione delle città. Al quadro generale di restringimento delle libertà personali si aggiunge la forte limitazione, in particolare in alcuni settori, del diritto di sciopero e di protesta con multe divenute via via più pesanti per gli assembramenti (anche in presenza di dispositivi anti contagio e distanziamento sociale).
Il caso ungherese è un esempio particolarmente virulento di qeullo che può portare una logica securitaria spinta al proprio eccesso utilizzando come scusa il coronavirus: il parlamento ha votato per la consegna di pieni poteri al primo ministro Viktor Orban, leader della destra xenofoba e nazionalista, accentrando così tutto il potere legislativo ed esecutivo nelle sue mani. Adesso Orban ha di fatto il potere di emanare leggi, bloccare o sospendere leggi esistenti, usare ogni forma repressiva per controllare, ad esempio, la classe operaia e la libertà di stampa nel paese.
Anche in Slovenia, Janez Jansa, capo del partito di estrema destra al governo ha assunto poteri straordinari in maniera analoga giustificando quello che di fatto è un colpo di stato con la scusa della gestione dell’emergenza sanitaria. Ha eliminato l’istituzione sanitaria pubblica incaricata di prevenire il contagio sostituendola con un’unità di crisi sanitaria sotto suo diretto comando e ha prontamente sostituito i vertici di Forze Armate, Sicurezza, Difesa e servizi segreti, rimanendo sulla linea repressiva e dittatoriale intrapresa in Ungheria.
Non sono da meno gli stati dell’America Latina, in cui l’emergenza sanitaria si è trasformata in un’ottima scusa per intensificare il livello di controllo nelle strade. In quello che è stato senza dubbio uno dei principali scenari di lotta di classe nell’ultimo anno, si strumentalizza l’emergenza sanitaria con il fine di ristabilire l’ordine. La militarizzazione delle città con le forze dell’ordine autorizzate a fare fuoco qualora necessario, non è ovviamente un valido strumento contra la diffusione dell’epidemia ma un chiaro atto di terrorismo nei confronti della popolazione.
In tutto il mondo il clima di controllo e di terrore generato dal timore della borghesia di non poter più tornare alla normalità, sta nutrendo un diffuso sentimento individualista che si oppone alle tante reti di solidarietà che stanno nascendo per fronteggiare la crisi senza lasciare indietro gli ultimi di questa società. Il rischio, quindi, è che alla fine di tutto si finisca per normalizzare la militarizzazione delle strade ed interiorizzare questa necessità di controllo.
In tutto ciò contagio in Italia, similmente al resto del mondo, si è allargato in maniera esponenziale e continua a mietere centinaia di vittime al giorno. Come denuncia il personale ospedaliero, ma anche lo stesso governo, mancano posti letto in terapia intensiva per fronteggiare l’epidemia, ed i respiratori polmonari sono in numero estremamente ridotto rispetto alle necessità attuali. Questo è dovuto ai milioni di euro di tagli alla sanità pubblica. Piuttosto che nell’investimento di risorse in una sanità pubblica fortemente ridimensionata, la risposta degli stati capitalisti a questa crisi sanitaria si è incentrata principalmente sulla repressione e sull’utilizzo del comprensibile timore da parte della popolazione, per restringere le libertà personali e collettive.
Il motivo? È facilmente ipotizzabile che questo tipo di misure, con l’approssimarsi della crisi economica e il suo portato di impoverimento e instabilità sociale generalizzati, passino dall’essere delle “misure eccezionali” ad essere uno strumento fondamentale per la repressione dei focolai di lotta che potrebbero seguirne.
Per ora l’indicazione che possiamo trarne è che nel sistema capitalista il controllo della società è stato ritenuto più importante rispetto all’assicurare la salute di migliaia di persone e ora tutti dovremmo cominciare a farci la domanda: ci ridaranno le libertà che ci hanno tolto cavalcando la paura della pandemia? E se non sarà così come dovremmo organizzarci per riprendercele, quelle libertà?
Vanja
Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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