Pubblichiamo una corrispondenza da Parigi, che coglie con precisione aspetti immediati e “storici” del clima da lockdown che la popolazione soffre in Francia come in Italia.


Dopo più di un mese di quarantena, qui a Parigi, e gli ultimi annunci del Presidente Macron, stando ai quali si intravede una data di uscita dal confino, intorno all’11 maggio, decido di uscire a fare una passeggiata, spingendomi qualche metro più in là del solito.

Sulla data di maggio è subito piovuta una contraddizione ad opera del ministro degli interni, il quale si è voluto più prudente: « L’11 è solo un obiettivo, non una realtà ». Ecco un tipico esempio dell’altalena stressante che i cittadini francesi hanno subito dall’inizio del confino, passando per altri annunci fallaci sulla disponibilità del materiale di emergenza, le attività consentite fuori casa, o il periodo in cui si è saputo del virus che dalla Cina avrebbe raggiunto l’Europa e gli altri continenti. Sotto accusa: la capacità di reagire delle autorità francesi, la menzogna, e dunque la scelta di ritardare al massimo il rallentamento dell’economia, competitività oblige.

Non voglio accelerare troppo il passo perché sulla ringhiera di una stazione della metro noto un cartello artigianale, cartonato, di quelli che si usano per le manifestazioni, seguito pochi metri più in là da un altro più piccolo.

Il primo riporta una scritta che ho usato per il titolo di questa cronaca; il secondo, tradotto, suona più o meno così: ORA QUELLI CHE NON VALGONO NULLA SONO EROI?

Bisognerebbe forse ricordare qui l’insopportabile frasetta di Macron, pronunciata all’inizio del suo mandato: « In una stazione dei treni passano quelli che hanno successo e altri che non sono nessuno».

Questa crisi ha dimostrato, senza ambiguità, che quelli che lavorano al momento e rischiano la propria salute, lontano dagli schermi di un pc, sono proprio i “dannati” designati da Macron, gli invisibili su cui noi della classe media (anche proletarizzata) siamo seduti, mentre continuiamo a dire con nonchalance che gli operai non si vedono più in giro. Forse è a loro che il presidente faceva ancora riferimento, includendoli nella categoria degli eroi, assieme al personale degli ospedali: i netturbini, gli addetti alle fognature, i commessi, i rider, e gli agricoltori.

Già, eroi come i medici e gli infermieri che fino al mese scorso erano in piazza per denunciare la mancanza di mezzi e la logica manageriale che questo e altri governi hanno imposto al settore pubblico dissanguandolo. Il grido di allarme era già stato lanciato da tempo.

È questo sentimento di collera che preoccupa i servizi segreti francesi negli ultimi giorni. Allertano il governo su una possibile ripresa delle contestazioni sociali, ma a un livello più alto, dopo l’uscita dalla quarantena, più di quanto non fosse prima che il Coronavirus fornisse una splendida occasione al governo per far tacere la strada.

Ecco il contesto particolare in cui si è voluto mettere al confino la popolazione quando

una parte di essa era insorta (con l’80% dell’opinione pubblica contraria alla riforma delle pensioni). La controriforma è poi stata fortunatamente sospesa e messa in congelatore, dopo l’uso dell’antidemocratico articolo 49-3 che autorizza il primo ministro a far passare una legge senza discuterla in parlamento. Per quanto tempo? Può essere considerata una vittoria dei cittadini, se pensiamo a quanto si sta preparando in termini di aggressione neoliberale ai danni dei lavoratori, una volta che saremo usciti dal confino? Sto parlando di diritti sospesi e di orari di lavoro prolungati con le nuove ordinanze, per far pagare il conto della crisi a chi davvero non può ritenersi in vacanza.

Camille, una mia cara amica, vive malissimo la sua quarantena e dal primo giorno ha osato uscire per varie ore vagando sola per la città, cercandosi un posto al sole, sedendosi vicino ai binari di una stazione abbandonata, evitando tutti, ma cercando solo di non darla vinta al potere che le imponeva di abbandonare la piazza, con la rabbia allo stomaco e una malattia grave sulle spalle. Dice di non sapere se supererà il periodo di confino. L’ira le consuma le interiora almeno quanto le metastasi che riappaiono, stando alle ultime analisi.

Abbiamo litigato perché volevo che aprisse gli occhi sul resto del mondo e non considerasse questa misura protettiva come un affronto alla libertà dei francesi e una strategia per farli tacere, abbrutendoli e neutralizzandoli sotto il peso di riflessi egoistici, di pura sopravvivenza, con l’ausilio di apparecchi elettronici, i famosi dispositivi dell’atomizzazione di massa. Abbiamo litigato anche perché apparteniamo a due generazioni diverse. Lei ha continuato a battersi dopo il ’68 e mi ha insegnato come non spostarmi quando vedevo una colonna di celerini venirmi incontro: « Che si spostino loro! Io non ho fatto niente e morirò in piazza, se devo finire così ».

Esatto. Camille non ha evitato nessuna delle manifestazioni più violente degli ultimi mesi, perché era pronta a perdere la vita, visto che non ha più famiglia, pensa, e la deriva della società francese le fa troppo schifo. Col suo tumore, non ha nient’altro da perdere, e le dovranno strappare la bandiera rossa dalle mani, se vogliono deporla sulla sua tomba. Lei che non ha più partito, che ricorda le origini di quella bandiera ai giovanissimi e ai poliziotti più sprovveduti. « Loro non moriranno in missione oggi come oggi, hanno gli anticorpi, sono perfino sopravvissuti al cimurro! » ridacchiava, mostrando i denti in meno.

Abbiamo litigato, ma le mando questa foto scattata davanti alla stazione della metro,

perché negli ultimi mesi anche lei andava ad istruirsi leggendo i messaggi lasciati sui muri dopo le manifestazioni. Vere pillole di saggezza, oltre che testimonianze storiche, prove di intelligenza collettiva che lo Stato si sbriga a cancellare perché tutto ritorni come prima. I muri delle città sono il nostro grande libro.

Si parla tanto del “dopo”, cosa succederà in seguito alla crisi sanitaria, perché il “prima” era già insopportabile per una minoranza di noi, ma il piano generale è mantenere la logica di prima, se è possibile: il profitto, le ricompense agli azionisti, la compressione dei salari (ora ancora più giustificata, secondo gli agenti della società mercantile), ad eccezione dei salari dei capitani d’industria, naturalmente.

Perché i piccoli padroni delle minuscole e medie aziende, al contrario, si trovano in uno stato di rara difficoltà, col governo che ha mentito ai media, affermando la piena disponibilità dei propri servizi, per accompagnare gli imprenditori e aiutarli a pagare i salari del primo catastrofico mese senza lavoro.

Menzogne : gli aiuti sciorinati davanti alle telecamere, così come sono stati presentati dall’attuale governo spagnolo (misure socialiste), tardano ad arrivare, nessuno risponde al telefono, e i piccoli imprenditori devono indebitarsi, ma le banche possono benissimo rifiutare prestiti.

La prova è, ora che ci penso, che nemmeno io sono stato pagato questo mese. Il mio salario doveva giungermi tagliato in tre parti, e ne ho visto solo una piccolissima percentuale. Se il mio padrone si è salvato da un probabile sciopero progettato da noi insegnanti del privato, la circostanza non lo avrà salvato da un possibile fallimento aziendale.

Almeno Camille riceverà la sua pensione, presumibilmente senza alcun ritardo.

Ma ciò non le farà sparire la collera che cova come migliaia di altri manifestanti questo inverno. Non è solo questione di riforme sbagliate; vogliono la testa del presidente che ha giocato prima con la loro dignità e poi con la loro vita. In questo senso, le autorità fanno bene a temere una sindrome sociale sul modello dei gilet gialli in buona parte d’Europa. Forse finalmente, se uscendo di casa non ci stordiremo con viaggi e ristoranti, allora saremo molti di più a dire no, d’ora in poi si lavorerà e produrrà in altro modo, e saremo davvero in tanti a pretendere non nuove elezioni, ma un nuovo disegno europeo (l’UE ha raccomandato più di una decina di volte agli ultimi governi di privatizzare a tempesta e tagliare fondi pubblici) e un altro disegno mondiale, con la ripresa dei focolai ridotti oggi a bracieri, in Cile, Ecuador, Libano, Algeria, Iraq, Hong-Kong ecc.

Forse un giorno avremo anche i ristoratori e i commercianti dalla nostra parte e invece di sporgere denunce, marceranno verso l’Eliseo.

Fabrizio Bajec

Fabrizio Bajec (1975), italo-francese, vive a Parigi e scrive nelle due lingue. È autore di diverse raccolte di poesia, tradotte in diverse lingue, e di testi teatrali.