Era il 17 marzo di quest’anno quando, grazie ad un DPCM, si bloccavano i licenziamenti tranne quelli per motivazioni disciplinari per far fronte alla crisi economica causata dal lockdown in un disperato tentativo di non far collassare il mercato del lavoro. A questo limite imposto alle aziende veniva associata la cosiddetta cassa integrazione Covid 19 in maniera da tenere in piedi le aziende costrette a chiudere i battenti.



A distanza di cinque mesi, il 17 agosto, il blocco “totale” decade rendendo nuovamente possibili i licenziamenti attraverso delle eccezioni che influiranno anche sulla possibilità di prorogare o meno la cassa integrazione fino a novembre/dicembre di quest’anno. L’ufficializzazione avvenuta con il d.l. 104, articolo 14, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 14 agosto arriva dopo mesi di pressioni da parte della stampa borghese che definivano “incostituzionale” il blocco, lesivo della libertà d’impresa, che poi è anche la libertà più costantemente e rigorosamente difesa dalla Carta: il diritto degli imprenditori a gestire la ricchezza della propria azienda anche contro gli interessi dei lavoratori.

Le eccezioni riguardano la possibilità di licenziamento in caso di fallimento e liquidazione dell’azienda ma anche la possibilità di incentivo all’esodo (con o senza buonuscita per i lavoratori licenziati, ovvero anche solo mettendo i lavoratori in disoccupazione) e di cessazioni anche solo di alcuni rami dell’azienda. A queste possibilità si aggiungono una prevedibile serie di interpretazioni, come il licenziamento per aver usufruito di tutte e 18 le settimane di cassa integrazione causa Covid 19 o, per esempio, per l’impossibilità dell’azienda di ridurre gli orari di lavoro per problematiche organizzative o ristrutturazioni dell’organizzazione dell’impresa.

Insomma si prefigura un autunno non facile per molti lavoratori finora “difesi” dalle casse integrazioni elargite dallo Stato ai padroni e dal blocco dei licenziamenti, anche se su quest’ultimo punto vanno fatte delle riflessioni generali.

Innanzitutto bisogna precisare che il suddetto blocco non ha affatto fermato i licenziamenti come potrebbe sembrare dal piagnisteo di associazioni datoriali e giornali borghesi. Se così fosse come si spiegherebbero le decine di licenziamenti (in barba anche agli accordi sindacali) in FedEx a Milano e l’ancor più clamoroso caso delle centinaia di licenziati in Zara per cessazione di un’intero ramo di appalto che occupava circa trecento lavoratori in tutta Italia? Perché sì, questo è uno dei problemi, il blocco dei licenziamenti, anche senza le succitate eccezioni entrate da pochi giorni in vigore non è stato rispettato. La precarizzazione di massa degli ultimi anni ha agevolato la chiusura di contratti a termine e lo scarso o inesistente controllo delle norme (anche in periodi non di crisi) ha permesso a piccole, medie e grandi aziende di fare il bello e il cattivo tempo, soprattutto quelle aziende con un volume d’affari che avrebbe reso semplicemente ridicolo il risarcimento in caso di licenziamento illegittimo.

Ed è tutto qua il vero problema, decenni di distruzione dei controlli (primi fra tutti gli ispettorati del lavoro), di immobilizzazione e burocratizzazione dei sindacati e, non meno importante, disinformazione di massa soprattutto tra i lavoratori giovani riguardo i propri diritti hanno consegnato milioni di operai alla mercè del padrone di turno, che invece si può avvalere di avvocati, esperti, consulenti oltre che della naturale possibilità di esercitare pressioni anche molto pesanti sulla propria forza lavoro e delle forze di repressione statali se le cose si fanno difficili.

Ora che anche questo piccolo argine cade, fra l’altro prima di aver scongiurato una seconda virulenta ondata del virus, si prospettano mesi difficili almeno tanto quanto quelli passati se non di più. I lavoratori, a partire dai propri sindacati, dovranno fare tesoro dell’esperienza accumulata in questi mesi, in cui i padroni hanno mostrato, non solo in Italia ma in tutto il mondo, le proprie priorità ovvero profitti e produttività.

Se le aziende non si sono fermate di fronte a migliaia di morti, c’è da esser certi che non si fermeranno di fronte al progressivo impoverimento di una fetta importante di proletariato, per respingere questo pericolo non basterà tentare di parare i colpi, ci sarà bisogno di organizzarsi per un autunno di lotta.

 

CM