Un socialista rivoluzionario, e corrispondente di Left Voice, che ha avuto la fortuna di conoscere Fred Hampton nel 1969, ci offre una recensione del film che racconta gli ultimi anni vita della Pantera, Judas and the Black Messiah.
Premessa
Sulla tomba di mio nonno
c’è scritto:
“Eroe, morto per la patria”.
Sulla tomba di mio padre c’è scritto:
“Eroe, morto per la libertà”.
Sulla tomba di mio zio
c’è scritto:
“Eroe, morto per il lavoro”.
No, imbecille, sulla mia tomba
scriverai: “Bandito!”
Sante Notarnicola, Marzo 1970
Qui doveva esserci una premessa. Chi conosce un minimo la storia delle Black Panthers conosce la lunga storia di repressione che hanno dovuto subire nel corso della loro storia, relativamente breve, rispetto ad alcuni raggruppamenti, ma forse più intensa di gran parte dei gruppi militanti dell’occidente. Una repressione che ha dettato la linea di molte delle iniziative che avrebbero rese celebre il partito, negli anni ‘60 e ‘70: le grandi campagne per la liberazione di compagni come Bobby Seale o Huey P. Newton, le proteste in seguito agli omicidi politici portati a compimento dalla polizia e dall’FBI, come nel caso del raid contro Fred Hampton (trattata nel film qui recensito), o dell’omicidio di Bobby Hutton o dello stesso Newton, e la dura repressione di tutte le organizzazioni affiliate al BPP o ispirate dal lavoro di questi rivoluzionari, come la George Jackson Brigade.
Mentre cercavo un modo per dare un quadro più completo in cui inserire la rilevanza di questo film, nello scenario culturale nordamericano, in cui l’argomento “pantere”, come l’argomento dell’anticapitalismo militante, comincia a diventare soggetto di analisi e riflessione onesta, dopo quasi cinquat’anni dallo scioglimento del partito nella sua iterazione originale, è venuto a mancare Sante Notarnicola, poeta, agitatore, bandito, che ha vissuto per trentun’anni (la liberazione definitiva è del Gennaio del 2000, entra in carcere l’8 luglio del ‘68) la repressione dello Stato borghese dopo le vicende della banda Cavallero. Mai pentito, mai banale, si è spento a Bologna, dove gestiva in Via del Pratello il Bar Mutenye, nella serata di Lunedì 22 marzo.
La memoria di Sante vive non solo nelle menti di chi ha attraversato la sua strada, i suoi luoghi e la sua opera, ma nelle lotte che mai ha rinnegato dopo gli anni di reclusione, e che sempre ha difeso a spada tratta, mentre uno stato ipocrita, tanto quanto quello che ha ucciso le “pantere” negli USA, continuava a proclamare la vittoria della libertà nell’ideologia liberaldemocratica, e affogava nel sangue, in una continuità malcelata con i regimi che lo hanno preceduto nel tempo, migliaia di coloro che si rifiutavano di accettare di vivere “nel migliore dei mondi possibili”. Sante non si spegne, come non si è spento Fred Hampton nel ‘69. Giacchè non puoi uccidere la Rivoluzione.
A lui, la dedica di quella che sarebbe dovuta essere una premessa, e il ricordo di chi scrive.
Perchè qui? Perchè oggi?
Se, come dice Bertolt Brecht, l’arte fosse davvero un martello in grado di dare forma alla realtà, allora gli esempi di arte fenomenale sarebbero una martellata in grado di spazzare via gli eccessi per dare forma alla realtà, ma in modo tale da metterne in mostra le interconnessioni dell’ “essere sociale” che la costituiscono. Judas and the Black Messiah, il nuovo film di Shaka King, che racconta l’omicidio del segretario della sezione dell’Illinois del Black Panther Party, Fred Hampton, è proprio un esempio di arte fenomenale.
Mentre guardavo e riguardavo questo film, una domanda mi ha assillato costantemente: un film, in grado di esporre davanti a tutt* la portata del razzismo istituzionale e della sua presa su tutti gli apparati governativi, e dare forza alle argomentazioni a favore del disarmo, del definanziamento e dello smantellamento della polizia, ripresi nel tempo dal movimento Black Lives Matter; un film così politico, come è potuto venire in essere? Come ha fatto, in un tale contesto politico, in cui si sono palesate (tra gli accadimenti meno discussi ma non meno importanti dell’anno che abbiamo appena vissuto) le prove materiali della collusione tra polizia, FBI, e burocrazia politica, nell’omicidio di Malcolm X, un film del genere ad essere prodotto?
Dopo tutto, la produzione di una pellicola di tale valore non costa poco; più specificatamente, Judas and the Black Messiah è costato circa $26,000,000, non proprio il resto della spesa al supermercato, ma sempre sotto il costo medio per una produzione hollywoodiana, che solitamente si attesta attorno a $65,000,000.
Non ho trovato abbastanza soddisfacente la versione dei fatti che cercava la sola spiegazione di ciò in Black Lives Matter, per quanto abbia radicalmente modificato le dinamiche politiche degli Stati Uniti, e abbia a tutti gli effetti rianimato il movimento nero per la liberazione e diritti civili. D’altronde, ci sono stati movimenti imponenti anche in passato; tuttavia, ad esempio, una guerra civile combattuta da soldati neri nell’Unione nordista ha “dato vita” a un film razzista del calibro di Nascita di una Nazione di D. W. Griffith. Anche pellicole come Mississippi Burning (A. Parker, 1988), pur mostrando una parte delle dinamiche razziste degli U.S.A., hanno cercato le radici di tali dinamiche nell’azione malevola di alcuni individui, andando ad offuscare la natura essenzialmente razzista di tutto l’apparato statale capitalista.
Stavolta c’è qualcosa di diverso, e credo che questo “qualcosa” sia da ricercare nell’evoluzione della composizione della classe operaia statunitense. I lavoratori “di colore” stanno diventando la maggioranza (per esempio, solo in California, più del 50% dei salariati è di origine latinoamericana). Inoltre, sempre più afro-americani hanno fatto il loro ingresso nelle schiere della piccola borghesia, e di conseguenza hanno trovato le risorse economiche per finanziare sempre più produzioni artistiche e culturali.
Un’evoluzione di questo tipo si riflette nel cambio di consapevolezza emerso dal crescente numero di attivisti associati al movimento di liberazione nera, tra cui stanno prendendo piede diverse rotture con il tradizionale “cimitero dei movimenti sociali” – il Partito Democratico – e con i suoi carrieristi cooptatori (anche) neri. Lo possiamo vedere, ad esempio, nel rifiuto della sezione “Inland Empire” di BLM e dei BLM 10, che rappresentano ampie porzioni del movimento, ad accettare l’avanzamento nei ranghi del PD da parte di opportunisti attivi, e autoproclamati “leader”, della “Rete Globale BLM”, i quali, solo nel 2020, si sono accaparrati più di $90.000.000 dalle donazioni monetarie destinate originariamente al mantenimento e allo sviluppo delle sezioni della Rete.
L’ingrossarsi dei ranghi di registi e produttori cinematografici neri, come nel caso dell’esplosione sulla scena di Boots Riley e Shaka King, è anch’esso un segno dei tempi. In un certo senso, la produzione di Judas and the Black Messiah rappresenta questo salto in avanti di consapevolezza della comunità artistica, che oggi si trova a dover mettersi in pari con le realtà di classe della vita quotidiana negli Stati Uniti.
Un film (quasi) perfetto
Spoiler alert. Non andrò qui a descrivere le scene del film, se non in modo estremamente generico, perché ritengo necessario che tutt* vadano a vedere questo film con meno preconcetti possibili.
Judas and the Black Messiah è un film perfetto sotto quasi ogni punto di vista. Come ogni esempio di grande arte, il suo messaggio fondamentle è molto più profondo del suo contenuto “di superficie”. Dalla sceneggiatura, da cui Shaka King e Will Benson hanno rimosso qualsivoglia forma di contenuto “riempitivo”, fino alle performance grandiose di Daniel Kaluuya (Fred Hampton), LaKeith Stanfield (William O’Neal), Dominique Fishback (Deborah Johnson) e Jesse Plemons (Roy Mitchell), per quanto riguarda i ruoli principali, e tutte le interpretazioni secondarie, come quelle di Dominique Thorne (Judy Harmon), Algee Smith (Jake Winters), Martin Sheen (J. Edgar Hoover), Terayle Hill (George Sams) e tutti gli altri attori che popolano la vicenda; ogni elemento è inserito ed eseguito con reali presenza e comprensione dell’opera e del suo contesto.
La colonna sonora, per la maggior parte diretta e tenebrosa, è fondata principalmente su due delle note più importanti della scala di Blues, la terza e la settima, che segnalano l’importanza dello svolgimento su un grado di intensità variabile. Anche la canzone conclusiva, “I’ll Fight for You” di H.E.R., permette di amplificare la sensazione che, la conclusione della pellicola, lungi da essere la fine di un percorso, sia invece l’inizio di un altro.
Il film fa un lavoro eccezionale nel rappresentare al meglio lo spirito dei tempi. Questo lo si deve, in gran parte, al contributo che hanno dato Deborah Johnson (che oggi si chiama Akua Njeri) e il figlio, Fred Hampton Jr., in quanto consulenti culturali del regista King, e in particolare al lavoro da consulente personale svolto da Njeri per l’attrice Dominique Fishman.
Ogni scena riesce a dimostrarsi coinvolgente, e a connettere i diversi strati tematici che sorreggono la trama di quella che, a tutti gli effetti, è una tragedia di immensa portata. Judas and the Black Messiah è espressione contemporanea dello stilema della tragedia greca classica. Si tratta di una storia di contrasti: William O’Neal, un ladro di automobili che diventa, per via di una rapina andata male, un informatore dell’FBI, e George Sams, un altro collaboratore dell’FBI, che fanno da specchio a Fred Hampton, Deborah Johnson, Mark Clarke (la seconda pantera a cadere assassinata durante l’assalto della polizia alla casa di Hampton), Jake Winters, e tutti gli altri membri delle Panthers e dei loro alleati, come i Young Patriots, i Young Lords, e la gang dei Crowns, che sanno da che parte della barricata sia giusto collocarsi, nel quadro della lotta di classe.
William O’Neal (interpretato da un nevrotico, mai autentico e costantemente incerto LaKeith Stanfield) è una persona senza redenzione morale alcuna. Più volte si trova a dover affrontare delle scelte (va detto, scelte difficili, con conseguenze apparentemente insormontabili, ma pur sempre scelte); più volte si trova a poter decidere se comportarsi in maniera onorevole e rifiutarsi di sottostare alle pressioni messe su di lui dall’FBI, e dalle circostanze che lo attanagliano.
Le sue azioni, e quelle dell’altro collaboratore dell’FBI, Sams, sono il contraltare delle scelte compiute da Hampton, Johnson, Clark e coloro che componevano la comunità di resistenti che si raccoglieva, in quegli anni, attorno al Black Panther Party. La grandezza di questo film si ritrova nel ritratto senza compromessi dei contrasti che emergono tra le scelte affrontate dai personaggi principali, incluse quelle del “reclutatore” dell’FBI di O’Neal, l’agente Roy Mitchell, nel momento in cui si trova faccia a faccia col razzismo vigliacco del direttore dell’agenzia, J. Edgar Hoover, e coloro che lo circondano.
Nonostante gli eventi dell’omicidio di Fred Hampton risalgano a più di 50 anni fa, il contesto della lotta per la liberazione nera è fresco come il prossimo giornale recante il titolo “sbirro uccide persona di colore innocente”. L’insurrezione che può scatenarsi da una scia di uccisioni poliziesche è lo sfondo intenso che fa da contorno al tema essenziale di Judas and the Black Messiah.
Il messaggio del film è chiaro e semplice: sii come Fred Hampton, e non come William O’ Neal. Ciò che importa realmente è la tua dedizione a costruire un mondo migliore.
Vorrei, quindi, spendere anche alcune parole su chi ha criticato la pellicola, identificando in essa una narrazione demoralizzante. Dopo averla rivista, per tre volte, e dopo aver notato la cura della sua struttura di fondo, mi sembra che queste conclusioni disfattiste siano ben diverse da quelle che ne ho tratto io. Si tratta di un’esposizione della cruda realtà affrontata dai rivoluzionari negli epicentri dell’imperialismo, e non tenta mai di celare, romanticizzare o imbellire i modi in cui lo stato tenta di eliminare coloro che pongono una minaccia concreta al dominio capitalista.
Questo è il piatto che ti viene servito, la vita reale sulla “forchetta” della realtà, una realtà che ti pone davanti scelte di vita o di morte; ho trovato Judas and the Black Messiah un film che, lungi dal deprimere, celebra la vita, ponendo enfasi sull’evento della nascita di Fred Hampton Jr., venticinque giorni dopo la morte di suo padre, con la consapevolezza che sia il figlio che la madre sono ancora attivi nel movimento, e che una parte del lavoro iniziato dal BPP ha dato i suoi frutti e sta facendo, ancora, la differenza. In altre parole, “puoi uccidere i rivoluzionari, ma non puoi uccidere la Rivoluzione”.
La canzone firmata da H.E.R. è anch’essa una dichiarazione di solidarietà verso coloro che sono disposti a raccogliere il testimone, con la consapevolezza che la strada che abbiamo davanti non è una strada facile da percorrere.
Una nota personale
Nel Novembre del 1969 ero un organizzatore politico fresco di recluta all’Università del Saskatchewan (nel campus di Regina, in Canada). Il sindacato universitario aveva invitato Fred Hampton per parlare al corpo studentesco delle lotte del Black Panther Party negli Stati Uniti, e della lotta per la liberazione Nera, nel contesto di un livello in rialzo della repressione poliziesca.
Ho avuto modo di incontrare il Segretario, in quanto facevo parte di un gruppo di attivisti incaricato di facilitare lo spostamento dagli USA al Canada. Hampton e due dei suoi soci stavano facendo un tour delle università canadesi per raccogliere fondi per il Bobby Seale Defense Fund.
Il suo comizio fu elettrizzante: si trattò di uno shock per la maggioranza, bianca, dell’uditorio (circa settecento persone), meno shoccante fu invece per svariati studenti delle First Nations e dei Metis, come Harry Daniels, che sarebbe poi diventato il primo presidente nazionale della Metis Association of Canada. Quasi nessuno aveva sentito, fino ad allora, gli sbirri essere paragonati ai maiali.
Il tema che più mi rimase impresso fu l’importanza posta da Hampton nell’unità degli oppressi della Terra. Il suo punto di vista era qullo di un marxista rivoluzionario, internazionalista fino al midollo, che disegnava abilmente il quadro delle oppressioni condivise e affrontate da tutte le persone “di colore”, e la necessità di costruire dinamiche di lavoro collettive per i rivoluzionari di tutti i paesi.
Alla fine del suo discorso, si spese per descrivere la repressione effettuata dal dipartimento di polizia di Chicago e il lavoro svolto dall’FBI nell’assassinare i leader del suo partito. Profetizzò che, con ogni probabilità, anch’egli sarebbe morto entro la fine dell’anno. Sarebbe caduto sotto il piombo dello Stato solo due settimane dopo.
Il 12 Dicembre del ‘69, gli attivisti della città di Regina organizzarono una veglia a lume di candela in tutto il campus, con un corteo che partiva dall’università per terminare davanti al distretto di polizia, per protestare contro l’omicidio di Fred Hampton e quello di un diciannovenne Metis, accaduto solo il giorno prima. A Regina, abbiamo una storia di lotta radicale abbastanza profonda. Si tratta della patria spirituale del movimento socialista canadese, e del Cooperative Commonwealth Federation, di cui il documento fondativo, conosciuto col nome di “Regina Manifesto”, dichiarava con voce tonante, che “non riposeremo fino allo sradicamento del capitalismo”.
Di tutte le lotte politiche intraprese in quei giorni, e nelle decadi che seguirono, l’aiuto che ho dato nell’organizzazione di quella fredda notte di resistenza è l’azione che ricordo con più forza, e quella che con più orgoglio posso affermare si sia aggiunta alla lunga tradizione radicale della città di Regina.
Le scelte compiute da Fred Hampton nel corso di Judas and the Black Messiah sono le scelte che il segretario aveva compiuto nella sua vita reale. La sua scelta di diventare un rivoluzionario è quella che tutt* coloro che vogliono cambiare davvero il mondo si trovano (o si troveranno in futuro) a dover affrontare. Questo film, come un martello che dà forma alla realtà, sarà di grande aiuto quando queste persone verranno a confrontarsi col momento di quella scelta.
Andatelo a vedere.
Rob Lyons
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