Lunedi 22 marzo è sciopero nazionale, il primo nel mondo, su tutta la filiera Amazon. Le rivendicazioni vertono sugli argomenti ben noti dei carichi e turni di lavoro, sulle conseguenti ripercussioni sulla salute dei lavoratori e delle lavoratrici ed è legato attraverso le sigle sindacali confederali al CCNL logistica e trasporto merci non ancora rinnovato.


Quello che sta vivendo la forza lavoro legata a questa azienda multinazionale dell’arcinoto Jeff Bezos da poco dimessosi da CEO (lasciando il posto a Andy Jessy) è un esempio ancora limitato nei numeri ma assolutamente esemplificativo di come il settore della logistica gestito dalle multinazionali sia diventato uno dei più importanti terreni di scontro tra lavoratori e proprietari.

È dall’inizio della pandemia che settori di lavoratori Amazon si muovono e organizzano in Italia ed in altre parti del mondo. L’esempio estero più forte viene proprio dal paese di nascita dell’azienda: gli USA, dove una serie di scioperi spontanei hanno portato i lavoratori a fare campagne di sindacalizzazione negli impianti, oggi soprattutto nello stato dell’Alabama. Anche l’Italia, a inizio pandemia, ha visto una parte dei lavoratori dei magazzini mobilitarsi sporadicamente per far valere i propri diritti.

Lo sciopero come detto verterà principalmente sulle questioni di turni e carichi di lavoro che, in una fortezza del supersfruttamento globale, sarebbero già sufficienti per sottolinearne il valore oggettivo ma incrocia anche altre questioni. Innanzitutto la tendenza di tutte le grandi aziende, molto sviluppata in Amazon, a scoraggiare o ostacolare la presenza di sindacati. È di pochi mesi fa la notizia direttamente dei report interni dell’azienda che facevano luce su questi fatti, inquietanti comunque solo fino ad un certo punto dato che è lo stesso andazzo di molte altre aziende grandi o piccole.

Secondo punto importante che incrocia questa possibilità di mobilitazione è sicuramente uno dei punti che colpisce spesso anche l’opinione pubblica, ovvero l’utilizzo esteso dei contratti interinali e l’enorme turnover che subiscono i lavoratori. Oltre diecimila lavoratori sono impiegati con contratti a termine di tre mesi o meno, cosa che colpisce soprattutto i lavoratori e le lavoratrici più vulnerabili, quelli che si spostano a vivere in altre province e devono quindi trovarsi una casa e le donne. Il turnover e la precarietà lavorativa (e di conseguenza esistenziale) di migliaia di lavoratori sono ovviamente anche agevolati dal problema dei ritmi e dei carichi di lavoro di cui si parlava prima. Se in un’azienda leader del settore a livello mondiale i lavoratori e le lavoratrici riuscissero a mettere in discussione i contratti infami che li obbligano a lavorare anche anni senza nessuna tutela e sicurezza per il proprio futuro questo porterebbe a metterli in discussione anche fuori dal semplice perimetro di Amazon e della logistica.

Ultima considerazione da fare è quella che nel settore della logistica, ben prima dell’esplosione di Amazon i lavoratori, in particolare stranieri, si sono sollevati per migliorare le proprie condizioni di lavoro, spesso riuscendoci. Questa sollevazione ha portato alla formazione di sindacati indipendenti dai confederali (che ora, almeno a parole, sostengono e organizzano lo sciopero nazionale) quali il Si Cobas e ADL Cobas. Insomma, se questi primi segnali di nascita di una lotta così centrale in un’azienda così potente si consolideranno in una vera sindacalizzazione degli impianti e si estenderanno a numeri sempre più importanti si dovrà fare il massimo sforzo possibile per incrociare queste due diverse ondate di lotta. Da una parte, quella dei lavoratori di Amazon, per far vedere che organizzarsi e vincere si può, dall’altra per ampliare la lotta a tutto il settore della logistica e rafforzare le conquiste conseguite negli anni in molte altre aziende come SDA, BRT, GLS , FedEx e via dicendo, rompendo anche l’isolamento in cui i lavoratori, le lavoratrici e gli organizzatori sindacali sono costretti ad operare venendo sempre più colpiti da infami atti di repressione.

È ancora presto per dire se questo movimento maturerà portando a un sostanziale avanzamento delle condizioni di lavoro in Amazon, ad una più estesa sindacalizzazione e ad una radicalizzazione nelle pratiche di lotta, ma è comunque doveroso indirizzare ai magazzinieri e rider del colosso americano in Italia e fuori tutta la solidarietà e l’appoggio possibile. Su Amazon e nella logistica, a partire da FedEx TNT si gioca una battaglia che durerà molto e i cui esiti, se saranno positivi, porteranno ad un avanzamento per tutta la classe lavoratrice.

Per tutti questi motivi e ancora altri è necessario che si sviluppi una lotta il più radicale e intransigente possibile, che riesca a superare le differenze sindacali e scavalchi le burocrazie grandi e piccole. Fra le altre cose il 26 marzo si terrà un ulteriore sciopero incentrato, dalle sigle del sindacalismo di base presenti soprattutto proprio nella logistica e rider e nei settori di scuola e trasporti, sarebbe necessaria un avvicinamento e una vera e propria convergenza di queste iniziative di lotta a maggior ragione per il fatto che interessa aziende dello stesso settore.

Esattamente come si dice in FedEx queste settimane e come si dovrebbe dire in tutte le altre aziende che oggi fanno profitti sulle condizioni minime di dignità e diritti degli operai: se toccano uno toccano tutti!