La casa editrice genovese Altergraf ha appena pubblicato “Il biennio rosso ungherese 1918-1919”, un nuovo libro sulla rivoluzione ungherese del 1919, quando un governo operaio con a capo il dirigente comunista Béla Kun provò a mettere in pratica le lezioni della rivoluzione russa e la politica della neonata Internazionale Comunista. Un’ampia ricerca storica a cura di Corrado Basile, che offre un panorama ampio del contesto in cui prese piede la rivoluzione ungherese, di cui renderemo conto adeguatamente in una prossima recensione.

Il libro può essere acquistato a prezzo scontato, a € 32,00 + € 6 per spese di spedizione, scrivendo direttamente alla casa editrice: info@altergraf.it.

Di seguito, riportiamo la sinossi del libro presente in quarta di copertina.


Dalla fine di marzo ai primi di agosto del 1919 in Ungheria operò una dittatura proletaria che avrebbe potuto estendere all’Occidente la rivoluzione che aveva portato al potere i bolscevichi nell’ex impero zarista. I due fenomeni erano strettamente collegati. L’andamento della prima guerra mondiale e quello della rivoluzione russa fecero sì che la reazione delle masse alla sconfitta dell’impero asburgico e all’incapacità delle classi dominanti ungheresi di gestire le ripercussioni della débâcle fornisse concretezza alle possibilità di sopravvivenza della nazione e sottraesse a una prospettiva generica lo spirito internazionalista dei proletari. Ciò mentre i vecchi «poteri forti» si ritraevano impauriti di fronte alle pretese delle potenze vincitrici della guerra, soprattutto della Francia, che voleva smembrare il paese per imporre il suo controllo sull’area danubiana e rafforzare il cordone sanitario contro il bolscevismo. Questi «poteri forti» lasciarono sole le formazioni politiche che avevano dato vita nell’ottobre 1918 all’esperimento repubblicano noto come «rivoluzione dei crisantemi» e concepito appositamente per salvarli, mentre la protesta sociale cresceva e si rafforzava ogni giorno di più. I socialdemocratici, già puntello essenziale dell’esperienza legata al nome del conte Károlyi, svoltarono allora «a sinistra» e si rivolsero ai rivoluzionari guidati da Béla Kun, da poco raccolti in un’organizzazione indipendente. Incautamente il partito comunista accettò l’offerta dei socialdemocratici negli ultimi giorni del marzo 1919 e realizzò un’unificazione dei due partiti operai, nell’illusione che di punto in bianco i riformisti avessero abbandonato il loto ruolo contrario agli interessi dei lavoratori. Fu proclamata così la dittatura del proletariato e venne costituito un Consiglio rivoluzionario di governo.
Ma le differenze tra la politica della dittatura ungherese e quella di Mosca fecero sì che le speranze del proletariato, e di tutti i paesi, andassero deluse. La Comune di Budapest finì in una tragedia e non tanto a causa dell’intervento militare massiccio degli Stati dell’Intesa, quanto a causa del tradimento della socialdemocrazia. A parte alcuni singoli elementi, il partito socialdemocratico in realtà aveva accettato soltanto strumentalmente il programma comunista e appoggiato il Consiglio rivoluzionario di governo prendendovi parte, in attesa di potersi accordare con gli imperialisti vincitori della guerra mondiale e con i controrivoluzionari magiari.
Dalla vicenda della dittatura proletaria in Ungheria nel 1919 il movimento operaio avrebbe dovuto prendere spunto per rafforzare nei suoi ranghi la convinzione che la politica rivoluzionaria non si poteva basare su suggestioni che portavano a scambiare lucciole per lanterne, con le inevitabili oscillazioni a destra e a sinistra che le accompagnavano. Questa convinzione non si rafforzò, purtroppo anche per l’avvento, nel giro di pochi anni, della controrivoluzione staliniana. La storia dei comunisti ungheresi nel 1919 fu quella di una serie di compromissioni successive – esse furono molteplici e l’abbaglio sulla natura della socialdemocrazia fu solo il primo tra gli errori commessi, legati all’impressionismo di Béla Kun – che lasciarono un segno sempre più marcato nei rapporti di classe, indebolendo il proletariato, fino a che il paese fu investito dal «terrore bianco».

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