L’inaspettata vittoria di Schlein alle primarie di domenica scorsa consegna al PD la prima donna, oltre che la più giovane, al ruolo di segretaria del partito. Viene così a configurarsi un paese che vede le due forze maggiori guidate da donne (l’altra, naturalmente, è Giorgia Meloni alla guida di FdI); ma Schelin è veramente l’anti-Meloni per eccellenza, come la si è voluta descrivere sin dalla campagna elettorale di quest’estate?


Chi è Elly Schlein?

Schlein è una donna di 37 anni, dichiaratamente bisessuale, con nonni ebrei migranti negli Stati Uniti. Nasce in Svizzera da madre italiana; i genitori sono professori universitari con una famiglia che ha avuto già diversi ruoli nella politica, come lo zio (senatore per il PSI), e discendono da una generazione di avvocati. Non è un caso se anche Elly consegue la laurea in giurisprudenza a Bologna. Ha di fatto tutte le caratteristiche giuste, nel panorama politico attuale, per scavalcare la vecchia burocrazia del PCI che ha governato fino ad ora il PD con una linea più liberale di sinistra e con tentativi neo-riformisti; di fatto, ci è riuscita, anche grazie all’apertura alle votazioni dei non tesserati.
Schlein, perfetto esempio di quella che chiameremmo borghesia intellettuale, si definisce un’attivista sul tema dell’ambiente, dei diritti civili, ha sostenuto come volontaria la campagna per la candidatura di Barack Obama nel 2008 e nel 2012 – un’esperienza, quest’ultima, sicuramente non accessibile a tutti gli over trentenni italiani le cui famiglie hanno subito la crisi economica di quegli anni.

Nel 2012 a Bologna lancia un movimento studentesco che si occupa di sensibilizzare sulle politiche migratorie. Nel 2013 lancia l’iniziativa “OccupyPD”, in protesta con quelli che vengono definiti i “101 franchi tiratori” che affossarono la candidatura al Quirinale di Romano Prodi (primo segretario e fondatore del PD). In quell’occasione, la base giovanile del partito occupò (simbolicamente) alcune sedi per dare voce al proprio malumore. Nel 2014 viene eletta come europarlamentare, ma nel 2015 esce dal partito insieme all’area di Civati e fonda Possibile contro le politiche scellerate di Renzi che lei definisce di “centro destra”. Nel 2020 si candida alle elezioni regionali in Emilia Romagna, venendo eletta come vicepresidente (con il più alto tasso di voti personali della storia della regione). Nel 2022 si candida come indipendente alle ultime elezioni nazionali e viene eletta come deputata. Il 27 febbraio del 2023 vince le elezioni come prima segretaria donna del PD contro Bonaccini.

Questo breve profilo della Schlein ci mostra come ancora una volta una persona privilegiata, proveniente da una borghesia di sinistra, liberal-progressista tipica del nord Italia, tenti di riprendere le redini di un partito cavalcando la crisi politica delle fasce giovanili e più oppresse della società; l’unica differenza è che adesso si tratta di una donna. Schlein non ha alcun interesse a rompere con le politiche di impoverimento che il PD ha portato avanti dall’inizio della sua vita, né di svincolarsi dal tradimento storico che ha contraddistinto i vertici del partito sin dalla sua nascita.

Per quanto oggi si faccia portavoce dell’ambientalismo, contro Meloni che ha completamente rimosso l’impegno dalla sua agenda politica, il PD è stato tra i primi partiti a reprimere le lotte contro le politiche di costruzioni degli inceneritori che hanno distrutto il sud dell’Italia – oltre che contribuito all’arricchimento della malavita.

Con gli slogan che richiamano al senso di giustizia, con il programma che dice di ripartire dai lavoratori ma non di rompere con lo sfruttamento capitalista , Schlein sta incarnando l’alternativa della pace sociale, della scelta del meno peggio di fronte alla vittoria della destra, degli interessi dei banchieri e industriali che pensano a piccole ridistribuzioni di welfare così da poter far rigenerare l’economia e continuare ad arricchirsi sempre di più in tranquillità.

Le donne al governo sono una vittoria per tutte le donne?

Ad oggi, dato che le due forze politiche del Paese sono condotte da donne, ci sembra fondamentale interrogarsi su che futuro c’è per le battaglie di genere.
Meloni ce l’ha insegnato: essere donne non è affatto una garanzia in termini di battaglie di genere. Schlein a prima vista s
embra dare una “nuova speranza” per le battaglie LGBTQI+; allo slogan “sono una donna, sono una madre, sono cristiana” della Meloni ha risposto con “sono una donna, amo un’altra donna e non sono madre”.
Fa parte della comunità LGBT e parla di diritti civili. Questo basta però per essere l’alternativa al conservatorismo del governo di Fratelli d’Italia?

In realtà, Schlein e Meloni hanno più in comune di quanto sembri: entrambe in due modi differenti sono il simbolo del femminismo liberale e istituzionalista. Quel femminismo che crede che la parità di genere si raggiunga con le cariche di potere delle donne, con l’empowerment femminile, nel ricoprire ruoli di rilievo al pari degli uomini, anche se questo significa sfruttare e impoverire altre donne. Con la differenza che il Presidente del Consiglio non cede al “ politicamente corretto” e non si fa chiamare “presidentessa”, mentre la Schlein scrive con l’ *. I media l’hanno chiamata la nuova Rosa Luxemburg, ma in realtà non riprende nulla di questa tradizione, non crede che solo le mobilitazioni delle donne e, soprattutto, delle lavoratrici, possano cambiare le sorti dell’emancipazione, ma il suo programma mira a elargire piccole misure redistributive che sembreranno un’enormità di fronte le proposte reazionarie di FdI. Non ci vuole molto a capire che questo non cambierà in alcun modo la posizione di oppressione di donne e comunità LGBT.

Sicuramente Schlein non si pone al fronte della battaglia patriarcale, ma concepisce la questione di genere in termini di piccole concessioni per legittimare o punire singoli aspetti di questa oppressione; ma la lotta al patriarcato, per il diritto di esistere della comunità LGBT soprattutto di fronte la cultura xenofoba della destra non può essere condotta in parlamento.

Infatti, a pochi giorni dallo sciopero dell’8 Marzo convocato dal movimento Non Una di Meno non si è visto un impegno della nuova segretaria del PD per far aderire la CGIL e i più grandi sindacati confederali così da permettere alle lavoratrici di scioperare senza ripercussioni. Un silenzio che si farà sentire, soprattutto in una giornata di lotta in nome della parità salariale tra uomini e donne, della fine dei contratti part-time affinché le donne non siano sottoposte più al ricatto lavorativo più becero per poter lavorare e assolvere i compiti di cura, al nome di una redistribuzione del carico domestico e di un investimento nello stato nella sanità pubblica, per la prevenzione e l’assistenza psicologica per tutte e tutti.

Questo tipo di femminismo, invece, continua ad allinearsi con una politica che non rompe con il patriarcato e che quindi non rompe con le violenze e i privilegi di classe: siamo ben contente che la Schlein possa vivere liberamente il suo amore e scegliere di non essere identificata in quanto madre, ma non le è concesso per diritto bensì per privilegio, per aver avuto la possibilità di passare la sua vita in città diverse, in posti del mondo differenti, a dedicare il suo tempo alla politica ricavandone lauti guadagni.

Schlein è in perfetta continuità con la tradizione degli ultimi dieci anni che ha visto donne, che poi hanno agito e sostenuto politiche brutali per le donne stesse, raggiungere posizioni di potere e cariche istituzionali di governo. Si pensi alla famosa “onda rosa” degli Stati Uniti in cui più di cento donne, tra le quali diverse nere, sono stata elette: eppure oggi in quello stesso paese si stanno facendo passi indietro enormi sul campo dei diritti delle donne come quello dell’aborto o sulla libertà di transizione. In effetti non ci è difficile pensare al Schlein come una brutta copia, mutatis mutandis, della deputata statunitense eletta al Congresso, Alexandria Ocasio-Cortez, convinta sostenitrice di Joe Biden, che, pur essendo donna di origini portoghesi, vota azioni contro i migranti e contro gli scioperi, anche delle donne.

Siamo stanche di vedere strumentalizzata le questioni di genere, dei diritti e della comunità LGBT per scalate di potere individualiste. Siamo stanche che la nostra lotta, che rompe con tutte le istituzioni e i partiti che per anni hanno alimentato la guerra ai più poveri, venga utilizzata per raggiungere una posizione di potere.

Si discute tanto di come la figura di Schlein sia veramente rappresentativa, di come sia stata votata perché “fosse lei”, di come possa significare un cambiamento, ma la sua politica non ha nulla di nuovo rispetto il  vecchio PD che all’inizio prometteva le briciole facendole passare per stelle (come è stato con la legge Zan e le politici di Cirinnà)  e poi alla fine ha sempre pugnalato alle spalle i settori sfruttati e oppressi. E questo non perché sono “cattivi” ma perché fanno l’interesse di una parte del paese, quella che possiede fabbriche e imprese. Per questo si possa tentare, non si potrà mai rendere più “umano” il possesso dei mezzi di produzione della società da parte di una cerchia ristretta di individui.

Per questo non crediamo che Schlein sia la vera alternativa alla destra che avanza e al peggioramento delle condizioni socio-economiche di milioni di persone, di cui la maggior parte donne, a cui si stanno facendo pagare i costi della pandemia e della crisi in modo becero. L’unica alternativa reale proviene dall’organizzazione nei posti di lavoro, nelle piazze, nelle voci delle donne che sono sia sfruttate nei posti di lavoro che oppresse nelle proprie case da carichi di lavoro domestico ingestibili. L’unica alternativa reale è quella di chi con il capitalismo e il patriarcato vuole rompere e non crede nei compromessial ribasso” che hanno sempre portato nella storia la classe lavoratrice a perdere.

Per questo nemmeno per Elly Schlein ci sarà mai posto nelle nostre piazze, come non c’era per la Boldrini, né tanto meno ci sarà mai per Meloni. Perché non c’è capitalismo pink, verde o umano, non ci sono alternative alla “meno peggio”, l’unica strada che permetterà di uscire da questa crisi politica, ecologica e sociale è la strada della maggioranza contro l’individualismo, degli sfruttati e oppressi contro gli sfruttatori, dei grandi scioperi delle donne che marciano unite con la comunità LGBT e con i lavoratori, contro chi il potere dei pochi l’ha difeso come fa Schlein.

 

Scilla Di Pietro

 

Nata a Napoli il 1997, già militante del movimento studentesco napoletano con il CSNE-CSR. Vive lavora a Roma. È tra le fondatrici della corrente femminisa rivoluzionaria "Il Pane e Le Rose. Milita nella Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) ed è redattrice della Voce delle Lotte.