Lavoro salariato e capitale è una raccolta di interventi sull’economia scritti da Karl Marx nel 1849 e pubblicati fra il 5 e l’11 aprile sulla Neue Rheinische Zeitung; un progetto in tre capitoli di cui solo il primo fu completato, e che riprendeva il contenuto di alcune conferenze tenute da Marx nel 1847 presso l’Associazione degli operai tedeschi di Bruxelles.

Appartenente quindi a quell’insieme di opere che possiamo classificare come “ABC del marxismo” essa offre un primo ed importante approccio al pensiero di Marx in rottura con quelli che fino ad allora erano stati i principi dell’economia classica, rianalizzando concetti come plusvalore e forza lavoro. Nell’introduzione Engels spiega in maniera molto chiara la chiave di lettura di tutto il pensiero di Marx: l’operaio non è pagato in base a ciò che produce, al suo lavoro, ma per il tempo in cui mette a disposizione la sua forza lavoro, tenendo conto ovviamente anche del plusvalore.
Ne proponiamo una sintesi suddivisa fra due articoli: nel seguente si trattano i primi due capitoletti, mentre nel prossimo sono trattati il terzo, il quarto e il quinto.

 


 

Cap. I
Nel capitolo I, Marx pone subito fine alle critiche mossegli dai teorici dell’epoca, esponendo in maniera chiara quelli che sono i rapporti economici delle lotte di classe nei vari periodi storici a partire dalla fine del feudalesimo e l’inizio dell’era capitalista. Egli parte dunque dalla definizione un concetto basilare che per lo più viene dato per scontato, ovvero il salario e ricerca i criteri in base ai quali esso viene determinato. È bene infatti precisare che l’era capitalista si differenzia dal feudalesimo proprio per l’introduzione di alcuni elementi nuovi come il salario e il lavoro in fabbrica, che segnano quindi un passaggio del servo della gleba all’operaio salariato. Mentre il servo della gleba era infatti legato per nascita al padrone e alla sua terra da un rapporto giuridico, a cui non poteva sottrarsi lecitamente, l’operaio salariato vende la propria forza lavoro al capitalista per un determinato periodo di tempo e questa viene retribuita tramite un salario. La forza lavoro quindi è una merce insita nell’operaio stesso e scambiata con un salario. Ma il salario non è parte del valore del prodotto finale che il capitalista venderà sul mercato, infatti né il prodotto finale né il processo produttivo vedono partecipe in maniera attiva l’operaio salariato; egli è proprietario solo della sua forza lavoro che è costretto a vendere al capitalista per garantirsi la sua sopravvivenza. Non è un caso che Marx definisca infatti gli operai salariati come i “nuovi schiavi”!

Ma da cosa è definito allora il salario?
Esso è una somma di denaro determinata in base al tempo (giorni, mesi, settimane, etc.) di utilizzazione della forza lavoro, in parole semplici è il suo prezzo. Ed esso, come ribadito in precedenza, non dipende dal valore della merce una volta venduta sul mercato. Esso è un valore già prestabilito al momento in cui il capitalista compra la forza lavoro dell’operaio.

Cap. II
In questo capitolo, Marx cerca invece comprendere in base a quali fattori si determina il prezzo di una determinata merce. In particolare dobbiamo prendere in considerazione due attori: compratori e venditori. Vi sono poi tre tipi di concorrenze di cui bisogna tener conto: 1) concorrenza tra venditori 2) concorrenza tra compratori 3) concorrenza tra venditori e compratori.
Se ad esempio sul mercato sono disponibili 10 pacchi di pasta e vi sono compratori per 30 pacchi di pasta, allora, visto che la disponibilità della merce è inferiore alla domanda, la concorrenza tra venditori sarà minima o del tutto nulla, aumenterà invece quella tra compratori e ci sarà un aumento dei prezzi vista l’enorme domanda di quella merce e la poca disponibilità sul mercato.
Tuttavia nella società capitalista, dove il principale obiettivo è produrre più merce possibile nel minor tempo e al minor costo per riprodurre a sua volta un capitale sempre più grande, è più probabile che si verifichi il contrario, ovvero che vi sia una disponibilità di merci notevolmente superiore alla domanda, 200 pacchi di pasta e compratori per 10 pacchi, creando così una concorrenza disperata tra i venditori che venderanno a prezzi molto più bassi i loro prodotti. Perché al supermercato è ormai di routine che vengano venduti prodotti scontati? O perché, in un determinato periodo dell’anno, i negozi di abbigliamento propongono sconti su quasi tutta la loro merce? Perché il capitalismo è paradossale proprio in questo! Esso si basa su una produzione che va oltre la domanda, ma questo fenomeno crea poi le cosiddette crisi di sovrapproduzione che di conseguenza non abbassano solo i prezzi delle merci prodotte ma anche il prezzo della forza lavoro, il salario!

Il prezzo di una merce quindi non è un valore fisso, ma è un valore che oscilla continuamente, in base a domanda e disponibilità, al di sopra o al di sotto del suo valore di produzione, e che tiene ovviamente conto anche dei costi di produzione e del logorio degli strumenti di produzione. Se ad esempio un computer costa 300 € e si logora in 5 anni, il capitalista conteggerà 60 € ogni anno nel prezzo della merce. Anche il salario è soggetto a questa logica, esso dipende dalla relazione tra domanda e disponibilità e ovviamente anche dai costi di produzione della semplice forza lavoro che corrispondono ai costi di esistenza e riproduzione dell’operaio (salario minimo). Secondo questa legge il salario di un operaio specializzato, per il quale è quindi previsto anche un periodo di apprendistato, il valore della forza lavoro andrà sicuramente oltre al semplice valore dei mezzi di sussistenza necessari e sarà quindi superiore di quello di un operaio senza specializzazione.

Azimuth

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