Domenica alle 08.30 Erdogan ha annunciato la presa di Afrin a seguito dell’entrata dei carri armati turchi in città, segnando una svolta nella vita di una regione martoriata da sette anni di guerra civile.


Antefatti

Il 20 Gennaio la Turchia ha lanciato l’ operazione “Ramo d’ ulivo” con l’ intenzione di assaltare la città di Afrin, allora sotto il controllo delle forze curde guidate tra gli altri dall’ YPG, branca siriana del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). L’ offensiva aveva per obiettivo quello di cacciare da Afrin, città sul confine turco, le forze dell’ YPG, organizzazione definita “terrorista” da Ankara e dalla maggior parte delle potenze imperialiste, tra cui la Francia.

Programmata per concludersi rapidamente, l’operazione è durata più del previsto ed ha conosciuto un brutale epilogo a seguito dell’intervento delle forze armate siriane (ASL) a fianco del governo turco, dopo che la Russia aveva dato il proprio benestare ai bombardamenti turchi su Afrin e aveva dissuaso il regime siriano e l’ Iran dall’ intervenire direttamente contro le truppe di Erdogan per salvaguardare l’ alleanza con la Turchia.

L’ Osservatorio Siriano per i Diritti Umani stima in 1.500 le vittime curde dall’ inizio del conflitto e a queste vanno aggiunte 280 vittime civili e 250.000 civili costretti a lasciare la città attraverso un corridoio controllato dalle forze curde e dai loro alleati.

La conquista di Afrin da parte del regime turco rappresenta una vittoria tattica importante per Erdogan ma ha conseguenze strategiche ambivalenti da cui dipendono gli interessi contraddittori delle potenze della regione, della Russia e delle potenze imperialiste, prima fra tutte degli USA.

 

Una vittoria tattica alla prova degli interessi strategici contraddittori

Questa vittoria della Turchia rappresenta anzitutto un duro colpo per la strategia del PYD/PKK. Il PKK era sostenuto dagli USA nella lotta contro Daesh e allo stesso tempo anche il regime di Assad contava sulla resistenza dell’ YPG per indebolire le forze turche e recuperare piccola parte dei territori perduti nel corso della guerra civile. Tuttavia sia Washington che Assad hanno abbandonato le forze curde ad Afrin. I primi affermando di non essere alleati dei curdi di Afrin. Il secondo perché ostacolato dal suo sponsor russo.

Questa vittoria è inoltre utile agli interessi di Erdogan per due motivi: sul fronte interno, la presa di Afrin gli permette, alla viglia delle elezioni, di esaltare le pulsioni nazionaliste e di presentarsi come generale vittorioso; sul versante esterno invece, la Turchia ne esce rafforzata e si pone come un attore col quale Washingotn dovrà inevitabilmente consultarsi in occasione dei futuri negoziati: Erdogan sta cercando dunque di indebolire l’ alleanza tra USA e Curdi.

Sul fronte delle potenze imperialiste, malgrado il polverone degli interessi strategici contraddittori, v’ è piuttosto un atteggiamento cinico e ipocrita: la “realpolitik” imperialista ha abbandonato i curdi al loro triste destino.

L’ Unione Europea rivolge alla Turchia moniti tanto risoluti quanto vani. Non va dimenticato che l’ UE paga enormi somme alla Turchia per mantenere lontani dalle frontiere europee i rifugiati siriani e che molti paesi dell’ Unione vendono armi e equipaggiamenti militari al regime di Erdogan, soprattutto Francia e Germania che ha prodotto i tank usati per l’ offensiva di Afrin.

Gli USA, attendisti, si accontentano di consolidare la loro posizione strategica vicino alle riserve petrolifere del nord, a Manbij dopo aver apertamente abbandonato il loro antico alleato nella lotta contro lo Stato Islamico. E tuttavia la presenza militare statunitense nel nord dovrebbe almeno temperare le mire espansionistiche turche, almeno nel breve periodo. Anche se gli USA finissero per giovarsi dell’ avanzata turca ad Afrin, questa resterebbe comunque una sfida in grado di mettere in pericolo le alleanze nordamericane in Siria.

Mossa dall’ obiettivo di ritagliarsi la parte del leone, siglando repentinamente una pace alle proprie condizioni, la Russia ha dato il suo benestare al bombardamento di Afrin da parte delle forze di Erdogan, accelerando la caduta della città. Mosca ha sacrificato i curdi con la sua alleanza tattica con la Turchia alienandosi il sostegno di Assad e dell’ Iran che sono invece preoccupati dalla crescente forza assunta dalla Turchia nella regione.

Da ultimo, il regime di Assad subisce un forte contraccolpo: Assad aveva minacciato di inviare le sue truppe per fermare i turchi ad Afrin prima di essere persuaso ad inviare solo qualche combattente paramilitare fedele al regime ed armato dall’ Iran. A questo va aggiunto che la vittoria di Erdogan ad Afrin permette all’ ASL di guadagnare terreno mentre Assad sperava che i turchi avrebbero liberato Idbil, bastione dell’ ASL.

La reazione dell’Iran sarà a sua volta determinante per gli equilibri politici. Benché l’ Iran conti al suo interno una piccola minoranza curda, la presa di Afrin da parte delle forze turche e dei loro alleati dell’ ASL rappresenta un ostacolo per i piani iraniani in Siria. L’ Iran vuole consolidare la sua posizione nella regione ma le forze imperialiste e le potenze regionali avversarie (Arabia Saudita, Israele, Turchia) vogliono a tutti costi impedire che si concretizzi questo scenario, anche a costo della guerra. In questo contesto l’offensiva di Erdogan ad Afrin è stata condannata dall’ Iran. Non si può escludere pertanto una escalation di tensioni tra Teheran ed Ankara.

Molti scenari possibili

Erdogan potrebbe considerare la presa di Afrin come prima tappa di una offensiva su vasto raggio, ma l’ avanzata delle forze turche verso nord, nella regione sotto il controllo degli Americani, appare come uno scenario problematico.

Senza mettere in crisi il rapporto tra la Turchia e la NATO, un eventuale accordo tra Ankara e Washington appare possibile, almeno secondo le parole del quotidiano “L’ Orient le Jour”: “Se Ankara lo chiedesse, gli USA potrebbero spostare gli alleati curdi ad est dell’ Eufrate per realizzare una amministrazione congiunta di Manbij. In cambio gli americani potrebbero continuare a usare la base militare turca di Incirlik per la lotta contro “.

Diventa via via più chiaro che la politica delle alleanze delle forze curde con l’ imperialismo porterà al disastro. Gli USA hanno sostenuto i curdi quando la loro lotta era funzionale agli interessi americani in Siria. Ma dal momento che la resistenza curda non serve più agli interessi di Washington i curdi sono stati abbandonati alla propria sorte. Non è escluso oggi che Washington ed Ankara arrivino ad un compromesso che escluda i Curdi, non solo nel caso di Afrin ma anche in altre zone della Siria e perfino in Iraq.

In questo contesto non è più possibile escludere che sorgano frizioni tra le forze curde e che venga rimessa in discussione l’ alleanza con gli Usa e con le altre potenze imperialiste. Anche se appare per il momento poco probabile, un riavvicinamento pragmatico tra PYD e l’ Iran per respingere l’ avanzata di Ankara resta una alternativa possibile.

Quanto alla Turchia, malgrado la vittoria ad Afrin sia importante, non possiamo affermare che sia definitiva. Per questa operazione la Turchia ha mobilizzato le unità d’ élite e gli alleati siriani. Nonostante potesse contare su una superiorità militare schiacciante rispetto alle forze curde (tank, aerei da combattimento, artiglieria pesante) ha impiegato 50 giorni per entrare ad Afrin.  La resistenza curda potrebbe prendere inoltre forme diverse e più funzionali ad un conflitto tra una minoranza male armata ed una potenza nettamente superiore per armamenti disponibili: guerriglia, attentati contro le postazioni militari, attacchi simbolici per tenere alto il morale dei combattenti.

La vittoria turca ad Afrin spinge infine le potenze locali rivali della Turchia ed entrare in campo. Abbiamo già evocato le preoccupazioni dell’ Iran ma bisogna considerare anche il ruolo dell’ Arabia Saudita, altra potenza della regione. L’ Arabia Saudita potrebbe temere l’ avanzata della Turchia in Siria e nell’ intera regione, soprattutto dopo che, lo scorso giugno, la Turchia ha sostenuto il Qatar contro l’ offensiva dei sauditi e dei loro alleati del golfo. La Turchia potrebbe rapidamente trovarsi in una situazione difficile dove le sarebbe impedito di avanzare sul territorio se non a rischio di innescare conflitti maggiori e allo stesso tempo dovrebbe affrontare una resistenza curda più difficile da domare, col rischio di andare incontro a perdite significative.

I diversi scenari restano tutti aperti. La Turchia ha appena conquistato un’ importante vittoria. Resta da vedere se possiede o riuscirà ad acquistare una forza tale da raggiungere i propri obiettivi, molto più grandi di quanto non sia il semplice contenimento delle forze curde. Se la Turchia riuscirà nei propri obiettivi, assisteremo ad una riconfigurazione dei rapporti di forza dell’ intero Medio Oriente, un riassetto potenzialmente pericoloso. Se Erdogan non ci riuscirà, invece, le contraddizioni interne della Turchia potrebbero ben presto trasformarsi in una vera crisi politica e sociale.

 

Philippe Alcoy, Max Demian

Traduzione di Ylenia Gironella da Révolution Permanente

Redattore di Révolution Permanente e della Rete Internazionale La Izquierda Diario. Vive a Parigi e milita nella Courante Communiste Revolutionnaire (CCR) del NPA.