“Accordo fatto. 10.700 assunzioni immediate senza Jobs Act” hanno esultato i sindacati la settimana scorsa, dopo aver terminato le trattative che – con il placet del governo – segneranno il passaggio del gruppo ILVA dall’amministrazione straordinaria dello Stato alla Arcelor-Mittal, multinazionale indo-lussemburghese (o meglio: lussemburgo-indiana, dato che la sede fiscale della società è nel granducato), leader globale dell’acciaio. Si tratta dell’ultimo tassello di una vicenda pluridecennale, cominciata con la privatizzazione dell’ILVA nel 1995 e che in mezzo è passata per la disastrosa proprietà dei Riva, prima che, in seguito all’imputazione del padrone per “disastro ambientale”, l’azienda passasse alla gestione commissariale. La famiglia originaria del bresciano è, come noto, responsabile della morte di migliaia di tarantini, causata dalla natura altamente tossica del ciclo produttivo dello stabilimento pugliese. Una realtà del genere – alla faccia di chi individua un’antitesi tra “lavoro” e “ambiente” – è a sua volta figlia della stessa politica di massimizzazione dei profitti tramite la compressione più sfrenata dei costi che ha condotto al declino industriale dell’ex-italsider, passata nel giro di vent’anni dalla nona alla alla sessantunesima posizione tra i principali produttori d’acciaio mondiali, mentre la forza lavoro occupata nei vari stabilimenti sparsi lungo la penisola si riduceva di un terzo.
Un quarto, invece, concentrati essenzialmente nello stabilimento di Taranto, sono i lavoratori che in base all’ultimo accordo non verranno assunti immediatamente da Mittal e ai quali verrà invece data la possibilità di ottenere una buonuscita di 100.000 euro, oppure di ricevere un’offerta dal nuovo padrone entro il 2023. “Il migliore dei risultati possibili” hanno dichiarato all’unisono Re David (FIOM), i leader dei sindacati gialli (CISL,UIL etc.) e, soprendendoci un po’ di più, Sergio Bellavita, responsabile nazionale del settore metalmeccanici USB. Il sindacato di base, infatti, oltre a dichiararsi “conflittuale” (diversamente dai confederali), ha un vero e proprio bastione nell’acciaieria pugliese (dove esprime il 16% dei delegati, più di quelli dei metalmeccanici CGIL), mentre nelle ultime fasi della trattativa aveva più volte agitato la parola d’ordine della “nazionalizzazione”.
USB, inoltre, aveva proclamato per l’11 settembre uno sciopero contro l’ipotesi di accordo firmata dal ministro Calenda, praticamente la stessa di quella appena uscita, fatta eccezione per 200 assunzioni immediate in più e la permanenza dell’articolo 18. La permanenza di quest’ultimo è tuttavia solo formale e non sostanziale, come spiega il comunicato CUB che potete leggere a fine articolo, dato che è inscritta solo nell’accordo, dove però si dice anche che i lavoratori verranno assunti con il Job Act, mentre – sempre nel documento – viene meno l’articolo 2112 del codice civile che obbliga in caso di cessione di ramo d’azienda a mantenere i lavoratori nelle stesse mansioni, livello di inquadramento e condizioni retributive. Inoltre è evidente che una buonuscita di 100.000 euro lordi equivale a tre anni di stipendio prima della disoccupazione e si configura essenzialmente come un espediente per mascherare gli esuberi, in sinergia con l’improbabile promessa di assumere tutti entro il 2023. L’acciaio, infatti, è in una situazione di sovrapproduzione gravissima; è dunque possibilissimo che nel giro di poco Mittal possa agitare difficoltà economiche per venire meno alla parola data e mettere in campo una nuova ristrutturazione dell’organico, che potrebbe colpire anche gli altri stabilimenti, come ad esempio quello di Genova.
Già in passato, in effetti, i lavoratori dell’ILVA, nelle videointerviste circolate in televisione e sul web, hanno puntato il dito contro la classica dinamica di acquisizione di grosse aziende, che tranquillamente potrà valere anche per l’ILVA; parafrasando l’operaio nel video qui sopra: “perchè un’azienda multinazionale dovrebbe fare enormi investimenti su uno stabilimento vecchio e malridotto, in una situazione di sovrapproduzione, quando può benissimo aumentare i propri profitti accaparrandosi fette di mercato di un concorrente, limitandosi a saturare gli impianti che già possiede in giro per il mondo?”. Un’osservazione del genere centra poi, evidentemente, con la questione della riconversione ecologica del ciclo produttivo dell’impianto di Taranto, per il quale Mittal ha promesso di stanziare ingenti somme. Peccato, però, che nel contratto sia prevista un clausola che esenta la nuova proprietà da responsabilità penali in caso di inadempienza!
Definire l’accordo appena firmato come il “migliore possibile”, inoltre, non significa solo negare molte evidenze, ma anche lavorare coscientemente per rompere il fronte tra i lavoratori e tra i lavoratori e la cittadinanza di Taranto, a tutto vantaggio del padrone che in futuro potrà fare sempre più il bello e il cattivo tempo. Se con il referendum di questi giorni l’accordo fosse confermato, il divario tra i comitati ambientalisti, tra le migliaia di cittadini affetti da tumori e gli operai si approfondirebbe, dando adito alla propaganda secondo cui Lavoro e Salute siano l’uno la negazione dell’altro. Non da ultimo: 3.000 lavoratori in meno rappresentano 3.000 lottatori in meno per resistere agli attacchi che la nuova proprietà sta già inevitabilmente studiando in vista del subentro; senza contare che – come segnalano infinite testimonianze – gli operai attualmente in cassa integrazione a zero ore, tra i quali verranno probabilmente selezionati gli “esuberi mascherati”, sono molte volte gli operai più combattivi, colpevoli di aver fatto sentire la propria voce rispetto alle condizioni ambientali e alla sicurezza (ricordiamo che durante la gestione straordinaria sono stati ben 8 i morti sul lavoro all’ILVA, al netto di tutti coloro i quali hanno subito le conseguenze sulla salute legate alle lavorazioni tossiche che si svolgono nello stabilimento di Taranto).
“Va bene tutto – si potrebbe aggiungere – ma se a differenza di Cisl etc. USB o la FIOM non avessero firmato, poi, sarebbero state escluse dalla fabbrica. Quale avrebbe potuto essere l’alternativa, d’altro canto, in un contesto in cui l’amministrazione controllata sarebbe finita a giorni e Mittal avrebbe potuto ritirarsi dalla trattativa?”
Come però rileva Paolo Brini, membro di opposizione (Sindacato è un’altra Cosa) della direzione nazionale Cgil : “con una violazione così palese dell’art.2112 [di cui abbiamo parlato sopra n.d.a.] un accordo del genere firmato solo da alcuni sindacati sarebbe crollato in un batter d’occhio”, mentre un’alternativa per conciliare salute e ambiente esisteva ed esiste ancora: lottare per la nazionalizzazione sotto controllo operaio e la piena riconversione degli stabilimenti, senza tagliare su occupazione e ambiente!
Django Renato
Riportiamo di seguito il comunicato di FLMUniti-CUB Taranto sull’accordo ILVA.
VERTENZA ILVA: IL PEGGIORE RISULTATO POSSIBILE
A perdere sarà tutta la classe lavoratrice per le condizioni di sicurezza, di salute, di altri diritti a cui dovrà rinunciare pur di sperare in un posto di lavoro. A perdere saranno tutti i cittadini, non solo quelli di Taranto, perché questo accordo ratifica la limitazione al diritto alla salute e ad un ambiente salubre, sacrificati all’altare del profitto.
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Non si fermano le fonti inquinanti, sequestrate dalla magistratura già nel 2012
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Nessun piano per rimuovere l’enorme quantità di amianto, ancora presente nel sito ILVA di Taranto
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Resta l’immunità penale: nessun colpevole per malattia e morte che potranno continuare a colpire lavoratori e cittadini del territorio
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Confermati circa 3000 esuberi, già dichiarati e accettati dai sindacati con la Cassa Integrazione un anno fa.
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10.700 lavoratori, suddivisi nei vari stabilimenti ILVA a livello nazionale (allegato 2 dell’accordo), riceveranno una proposta di assunzione ex novo da MITTAL o dalle altre società collegate (allegato 3 dell’accordo -verbale di conciliazione)
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I lavoratori che intenderanno accettarla, dovranno procedere alle “dimissioni consensuali” con ILVA, accettare un nuovo rapporto di lavoro, rinunciare al diritto di continuità lavorativa, garantito dalla legge nei casi di cessione di ramo d’azienda dall’art. 2112 del Cod. Civ., che garantirebbe stesso livello, mansioni, luogo di lavoro e retribuzione. Devono accettare tutte le condizioni di AM investCo (luogo di lavoro, anche in altre sedi del gruppo; livello e inquadramento del CCNL sulla base del contratto applicato da MITTAL o dalle altre società del gruppo)
E’ falso che i lavoratori manterranno l’art. 18.
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L’accordo prevede infatti “Ai dipendenti ILVA assunti prima del 7 marzo 2015, si applica la disciplina limitativa dei licenziamenti applicabile a tali lavoratori alla data della cessazione del rapporto di lavoro con la società ILVA”. I lavoratori, però, rinunciano di fatto all’applicazione dell’art.18 poiché accettano di instaurare un nuovo rapporto di lavoro, con applicazione del Jobs Act. Ciò vuol dire che, se MITTAL o associate non rispetteranno l’accordo ed in seguito licenzieranno un lavoratore proveniente dall’ILVA, il sindacato potrà soltanto denunciare un atteggiamento antisindacale. Il lavoratore, che intenda invocare l’applicazione dell’art. 18 contro il licenziamento, non potrà pretendere che il giudice sia vincolato ad esprimersi, poiché con l’instaurazione del nuovo rapporto di lavoro ha rinunciato alla continuità lavorativa.
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Il lavoratore rinuncia, sia nei confronti della nuova società che dell’ILVA, all’art. 2087 Cod. Civ. e cioè a qualsiasi causa che potrebbe instaurare per malattie o danni derivanti da mancanza di misure necessarie per tutelare l’integrità fisica che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare. Questa rinuncia è anticostituzionale! Cost. 37, 41 “Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni ed inerenti al luogo in cui tale ambiente si trovi, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale che impone al datore di anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione”
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Il lavoratore rinuncia all’art. 2116 Cod. Civ. che riguarda l’eventuale mancato versamento dei contributi previdenziali.
Tutte le rinunce valgono anche per chi accetta l’incentivo al licenziamento (da 15.000 euro a 100.000 euro lordi, in base ai tempi entro cui deciderà di uscire).
Tutte le rinunce valgono anche per chi rimarrà parcheggiato in Cassa Integrazione per 7 anni, con salario ridotto, sperando che entro agosto 2025 gli arrivi la proposta di assunzione.
L’attacco pesantissimo sferrato alle condizioni di vita e di lavoro non colpisce soltanto i lavoratori ILVA ed i cittadini di Taranto. Le parti che hanno sottoscritto questo accordo hanno condannato i lavoratori tutti a sottomettere alle esigenze produttive i diritti fondamentali e irrinunciabili. Hanno condannato un’intera città, che tanto ha già pagato e tanto sta pagando, per colpa di fonti inquinanti che non verranno chiuse, per bonifiche reali che non verranno realizzate.
L’ACCORDO VA RIGETTATO!
NON GARANTISCE NESSUN POSTO DI LAVORO TUTELATO
DIMINUISCE DRASTICAMENTE I LAVORATORI OGGI DIPENDENTI ILVA
NON TUTELA LA SALUTE DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI
Di Maio, Calenda, FIM FIOM UILM e USB esultano per un accordo peggiorativo delle condizioni dei lavoratori!
AL REFERENDUM VOTA NO!
FLMUniti-CUB Taranto
Ricercatore indipendente, con un passato da attivista sindacale. Collabora con la Voce delle Lotte e milita nella FIR a Firenze.