Il 23 novembre, si terrà lo sciopero indetto dal personale appartenente alla dirigenza medica, veterinaria, sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa del Servizio Sanitario Nazionale, ai quali si aggiungono i medici anestesisti e rianimatori. L’astensione dal servizio durerà 24 ore ma, “sarà garantita la continuità delle prestazioni indispensabili”. Nelle intenzioni iniziali la mobilitazione doveva coinvolgere anche il 9 novembre, ma giusto ieri i vertici sindacali hanno deciso di ridimensionarla, decidendo per l’ennesima volta di soccombere ai diktat della Commissione di Garanzia, la quale – se è vero che negli ultimi tempi sta minando in maniera sempre più pesante il diritto di sciopero – non ha mai trovato di fronte a se un’opposizione decisa da parte delle burocrazie. La protesta è stata indetta da Anaao Assomed, Cimo, Fp Cgil medici e dirigenti Ssn, Fvm, Fassid, Cisl medici, Fesmed, Anpo-Ascoti-Fials medici, Coordinamento nazionale delle aree contrattuali medica veterinaria sanitaria Uil Fpl.
A far scattare lo sciopero che avrà luogo tra tre settimane è stata l’insufficienza dei finanziamenti per il fondo sanitario nazionale previsto per l’anno 2019, quindi il mancato incremento delle risorse destinate all’assunzione del personale della dirigenza medica, data già l’esiguità delle risorse assegnate al finanziamento dei contratti di lavoro relativamente ai trienni 2016/2018 e previsti anche per il trienno 2019/2021.
Più nello specifico, il tema sollevato dallo sciopero sono i fondi stanziati per i rinnovi contrattuali. La stima di un miliardo, riportata nel luglio 2018 dal Presidente della Commissione salute alla Conferenza Stato Regioni Saitta in audizione presso la Commissione Igiene e Sanità, è inclusiva di quanto recentemente stimato dall’Aran per la dirigenza medica e veterinaria: € 560 milioni, di cui 500 per l’aumento del 3,48% degli stipendi pubblici e 60 per garantire l’indennità di esclusività della massa salariale. Per i fondi contrattuali finalizzati al trattamento economico accessorio della dirigenza nel 2019 sono disponibili € 30 milioni, dei € 437 milioni totali stanziati dalla Legge di Bilancio 2018 sino al 2026, quindi una minima parte della fetta di budget.
Altro elemento rovente è rappresentato dai ritardi amministrativi nei processi di stabilizzazione del precariato del settore sanitario il cui modello di contratto di lavoro risulta fermo da 10 anni. Nel frattempo la condizione di molti medici e specializzandi si riduce a dover fare guardie mediche per 100 euro o meno, proprio perché i fondi destinati al turnover risultano insufficienti, dato che basti pensare che tra il 2012 e il 2015 il numero di medici e odontoiatri del SSN si è ridotto in modo costante, passando da 109.151 unità nel 2012 a 105.526 unità nel 2015. Stessa situazione per il personale infermieristico, per il quale si riscontra a livello nazionale una riduzione costante, ma meno marcata (-2,1%), e con un numero complessivo di infermieri passato da 271.939 nel 2012 a 266.330 nel 2015.
Tutti dati inerenti a una sanità pubblica che in linea teorica risulta essere una delle migliori del mondo, ma che nella realtà definire “deficitaria” è un eufemismo. Le statistiche sul budget complessivo non devono confondere: nonostante esso negli ultimi 8 anni sia aumentato sensibilmente, è cresciuto meno del pil, mentre se tra il 2010 e il 2016 si riduce dello 0,1, prima dello scoppio della crisi aumentava del 7,5% annuo! Leggendo attentamente le tabelle, vediamo poi come abbiano ragione i lavoratori a denunciare la natura irrisoria dell’aumento di 1 miliardo chiesto dalla ministra Grillo per il Fondo Sanitario Nazionale, un ulteriore elemento che conferma come questo governo – alla stregua dei precedenti – pensa più più che al “benessere del popolo”, a rassicurare le banche e gli industriali che gli interessi sul debito pubblico verranno pagati a scapito dei lavoratori (lasciate perdere tutto il teatrino propagandistico dello “scontro con l’europa”: il 2,4% è un deficit statale perfettamente in linea con quello dei vecchi esecutivi). A ben guardare, insomma, la proposta del ministero della salute è l’ennesimo taglio mascherato, dato che configura un incremento dello 0,8%, mentre il PIL nel 2018 è aumentato dell’1%. Sicuramente un’ammontare insufficiente per smentire le previsioni dell’OMS (organizzazione mondiale della sanità) secondo cui la spesa pubblica sul PIL in Italia scenderà nei prossimi anni sotto il 6%, ovvero la soglia minima per evitare un vero e proprio collasso, considerato anche il rapido invecchiamento della popolazione, le malattie causate dall’inquinamente (quindi dagli effetti dello sfruttamento capitalistico e della sete di profitto sull’ambiente e la vita delle persone) etc.
Come si può dimostrare, tuttavia, il disastro è già conclamato ed emerge non solo dalle pessime condizioni contrattuali dei lavoratori delle sanità: In 10 anni sono stati chiusi circa 170 ospedali pubblici il cui numero attuale è sceso da 645 a 578, in quelli rimasti aperti circa l’83% dei macchinari risulta obsoleto, inoltre l’Italia risulta tra i paesi con il minor numero di posti letto (331 per 100 mila abitanti per un totale di 199mila). Diminuiti anche i posti in day hospital, da più di 21mila a meno di 16mila. lo ha fatto solo dello 0,8 secondo le previsioni dell OMS che lancia l’allarme sulla sostenibilità del modello italiano di sanità, in quanto il rapporto tra la spesa sanitaria e la ricchezza del paese, cioè il PIL, scenderà a quota limite, oltre la quale non è più possibile garantire prestazioni sanitarie adeguate, e neppure l’assistenza alle cure.
Quando sono in gioco i diritti dei lavoratori, ed il diritto alla salute pubblica gratuita e garantita, si sentono le solite promesse di risoluzione, le stesse che vengono fatte da 10 anni ma che non vengono mai rispettate. I lavoratori tutti del comparto sanitario, a fronte di questa realtà oggettiva devono unirsi nelle lotte, fare fronte comune per frenare questa corsa verso l’abisso, e cercare di riconquistare terreno sul campo dei diritti e del welfare.
- Begbie
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.