Dopo 17 mesi non può finire così, dice lui a lei dopo essere stato mollato nell’ambiguità della sua amante in uno schizzo di lettera sgrammaticata. Ne parlava a tutti gli amici come una grande storia d’amore luminescente ma era la solita solfa raccontata al bar dall’amico con carenze d’affetto e per di più sbronzo. Più o meno di questo si parla nell’articolo. Durante la loro tresca bugiarda i due si donavano a vicenda fiori gialli e verdi molto carini e pieni di formiche all’interno dei petali.

Lo spettacolo di quarta categoria del patto di governo tra M5S e Lega volge al termine e si preparano le portate del pranzo elettorale da servire ai detentori del vero potere politico ed economico, i capitalisti.


Osservate i cani di un villaggio per esempio. I cani non formano affatto naturalmente una repubblica collettiva; abbandonati ai propri istinti vivono in gruppi erranti come i lupi, e solo sotto l’influenza dell’uomo diventano animali sedentari. Ma una volta tali, costituiscono in ogni villaggio una specie di repubblica non comunitaria, bensì fondata sulla libertà individuale, secondo la formula tanto amata dagli economisti borghesi: ciascuno per sé e al diavolo l’ultimo. E’ un lasciar-fare senza limiti, una concorrenza, una guerra civile senza pietà e senza tregua, in cui il più forte sbrana sempre il più debole proprio come nelle repubbliche borghesi. Ma basta che un cane di un villaggio vicino si avventuri sul loro cammino e si vede subito come tutti questi cittadini in discordia si riuniscono in massa contro lo sventurato straniero.

La metafora utilizzata da Michail Bakùnin per criticare un patriottismo naturale visto come guerra e distruzione rappresenta adeguatamente questi diciassette mesi del governo gialloverde, appellativo policromo che ai tempi invocava energie di cambiamento nella sventurata e troppo bella Italia, sempre citando il filosofo russo. Ma l’epopea di questo governo dall’epilogo preannunciato con la mozione di sfiducia della Lega al Senato ha il colore di un vecchio sarcofago muffo pieno di intrighi, parole contorte e violenza, il sarcofago dello Stato.

La farsa di cui noi tutti siamo stati spettatori nulla ha di inedito se non le dirette di panzerotti e sfoghi personali sulle piattaforme virtuali di ogni tipo. Dovevano farci vedere la scatola di tonno aperta, ci hanno mandato un video con il gatto grosso e peloso che se la divora mentre sul tavolo Champagne e caviale vengono trangugiati.

Niente di nuovo sul fronte muffo. Le numerose crisi di governo a cui abbiamo assistito sono state un buffet appetitoso di cui cronisti e politici si sono serviti un po’ per divertimento e perché si sa, i piatti caldi sono sempre più invitanti. La violenza che ha esercitato lo Stato sui cittadini in questi mesi è stata subdola: come confermano i dati sulla crescita preliminare del PIL nel secondo trimestre del 2019, la crescita è uno zero tondo tondo. Il primo riguarda la crescita della domanda interna e il secondo della domanda estera netta. Per i nostri ministri una decrescita felice, visti i numerosi parties e le gite in campagna. Ed è questa la più grande violenza a cui oggi partecipiamo: nella situazione corrente per giovani e lavoratori l’emancipazione economica va in paradiso.

Puoi avere un grande “cambiamento” politico negli Stati Uniti, ma cambierà davvero qualcosa? Cambierà la quantità di denaro nei conti correnti delle persone? Cambierà i contratti? Potrà impedire i contratti che già esistono? E i contratti sui contratti? E i contratti sui contratti sui contratti? Non proprio. Dico quindi che la libertà di parola in numerosi paesi occidentali non è tanto il risultato di circostanze liberali quanto il risultato di una fiscalizzazione così intensa che alla fine non conta quello che dici, l’elite dominante non deve aver paura di ciò che la gente pensa, perché un cambiamento nella visione politica non deciderà se potranno continuare a possedere la loro grande compagnia; non deciderà se potranno continuare a possedere il loro pezzo di terra o meno.

Questo quanto diceva Julian Assange in un dialogo con i capi di Google riportato nel suo libro When Google Met Wikileaks (2016). E su queste parole è dilettevole notare come il governo che voleva abolire la povertà, costantemente sorvegliato dalla rigidità Made in EU, alla fine si troverà a rompere il contratto grazie a cui vive per via di un contratto che alcuni ministri volevano bloccare. La crisi viaggia ad alte velocità. Dentro il treno del potere verranno serviti piatti appetitosi per candidati e commentatori: passerotti fritti, parole al forno su crema di sudore dei giornalisti, Presidente della Repubblica al cartoccio e impepata di caudatari. Entrando a pieno titolo nel gruppo delle società fiscalizzate di cui parla Assange, stiamo certi che vale la vecchia regola: nulla si crea ma tutto si trasforma. Il potere continua semplicemente a preservarsi in modi più o meno fantasiosi e a noi cittadini semplici spetta l’ultima fermata del treno. Elezioni, destinazione paradiso.

È per questo motivo che movimenti come quello dei Gilets Jaunes in Francia sono considerati sovversivi e dunque affrontati con il più brutale uso della forza: perché di fatto si prendono una carrozza alla volta (una ogni sabato: il treno è lunghissimo). Mentre nel Movimento di Beppe Grillo era un boss a dirigere il business della democrazia diretta, in Francia è una mescolanza unitaria di persone a discutere su come cambiare la Costituzione in modo che le regole del gioco siano scritte da chi al potere non ci partecipa. I Gilets Jaunes hanno ampliato la lezione di Marx ed Engels: l’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi. Oggi in Francia sono le persone della strada che dirigono il confronto, il dibattito sulla società. Questo chiaramente fa paura anche al più ignobile portaborse della repubblica francese. Tutto il resto è storia che tutti noi conosciamo.

Chi fa finta di non sapere è un Turista della Realtà e a proposito di turismo, sembra che i passeggiatori esotici apprezzino la carbonara con la panna e che numerosi ristoranti in Italia la servano ben volentieri. Ecco un caso in cui la domanda spinge l’offerta. Il contesto politico italiano presenta invece caratteristiche contrastanti. Ed è questo il motivo per cui siamo tutti partecipi alla violenza dello Stato. Siamo da mesi spettatori in 3D di un’agorà oligarchica. Così, trasportati dai ritornelli dei governanti cani (seguendo la metafora del nostro) anche noi ci sbraniamo tra partiti dei Populisti e dei Restare Umani. Il problema è che è tutto estremamente umano, la frustrazione mascherata in odio e gli uomini che diventano bestie quando cominciano ad ignorarsi.

Bakùnin apprezzava in Marx la direzione del pensiero. In particolare l’aver posto a base del suo sistema economico che tutte le evoluzioni politiche, religiose, giuridiche della storia non sono le cause ma gli effetti delle evoluzioni economiche. L’economia come scienza sociale è esposta al contagio dell’ideologia dunque, citando Marx, l’ideologia dominante è sempre stata l’ideologia della classe dominante, è necessario cambiare formula. Ribaltare il sarcofago muffo e riempire il treno del potere di μεζέδες e Τσίπουρο. Perché a mangiare e bere siamo tutti.

Non partecipare ma condurre il confronto. E farlo nelle strade, che sono sporche e puzzolenti.

Ma c’est la vie, come dicono i francesi.

Bon appétit!

Giorgio Michalopoulos

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