Lo studio degli approcci storici, da parte del potere politico e degli intellettuali nei confronti del fenomeno sociale della stregoneria, mostra il carattere contraddittorio di varie critiche a questo insieme di pratiche, spesso accompagnate da repressioni anche sanguinose. In particolare, come possiamo leggere il fenomeno della caccia alle streghe? Proponiamo in tal senso un articolo che pubblichiamo in due parti, che parte dalla lettura di “Dalla magia alla stregoneria”.


Leggi qui la seconda parte


 

Oltre l’irrazionalità: la stregoneria come sistema di credenze e pratiche

Un insieme di credenze e una pratica sociale antichi di millenni come quelli riuniti sotto i nomi di magia, stregoneria, eccetera, nonostante una lunghissima lotta contro la loro empietà da parte di interi apparati intellettuali e statali, sono sopravvissuti a lungo alle persecuzioni, in società ben posteriori a quelle che li avevano originati. Il volume Dalla magia alla stregoneria. Cambiamenti sociali e culturali e la caccia alle streghe (La città del Sole, Napoli, 2018, a cura di Alessandra Ciattini, già professoressa di antropologia presso La Sapienza), partendo dal concetto di magia, offre un’interessante lettura multidisciplinare, a partire dalla quale – cogliendone soltanto alcuni aspetti – si propone una riflessione sul fenomeno della caccia alle streghe, cioè la repressione delle supposte autrici (ma anche degli autori!) della stregoneria in Europa, perlopiù tra il Trecento e il Seicento. Lo scritto dà una lettura di queste politiche attraverso i concetti di crisireazione ed egemonia instabile.

Questo volume, come illustra l’introduzione a cura di Ciattini, parte dalla contraddizione tra la concezione di sviluppo lineare della storia, collegato a paradigmi culturali e scientifici che si autopercepiscono come incommensurabilmente superiori a quelli che catalogano come inferiori o sorpassati – ad esempio, l’istituzione e la dottrina della Chiesa cattolica nei confronti delle pericolose “streghe” -, e le risposte contraddittorie, da parte degli apparati scientifici, culturali, giuridici, da parte della società civile in senso più ampio, nei confronti delle pratiche e delle credenze storicamente legate all’antico pensiero magico, in particolare alla stregoneria.

Queste ultime, spesso depositarie di un antico sapere di matrice pagana, appartenevano alle classi popolari; talvolta si distinguevano per visibili difetti fisici, problemi psicologici o si erano conquistate una cattiva fama; per questa ragione e per la loro appartenenza al sesso femminile, ritenuto più incline al peccato, era facile presentarle come le cause di eventi negativi, applicando quel principio che fa della stregoneria la “teoria delle disgrazie” [p. 23].

Al netto della figura sociale prevalente associata alla stregoneria tra medioevo ed età moderna in Europa ed America settentrionale, la caccia alle streghe non va letta in senso stretto, come proposte da alcune letture, come “genocidio” di genere o comunque fenomeno esclusivamente rivolto contro le donne di bassa estrazione sociale. È vero, anzi, che una percentuale non trascurabile dei processi per stregoneria riguardasse uomini: nello studio sul tema “Male Witches in Early Modern Europe”, ad esempio, gli autori Andrew Gow e Lara Apps stimano che, in un arco di tre secoli, gli uomini “stregoni” fossero tra un quinto e un quarto dei processati – con punte sopra il 50% in diversi paesi ed epoche, addirittura il 92% nell’Islanda secentesca! Al di là di alcuni fattori sociali legati al genere che non sono certo insignificanti (come il costo sociale che costituiva nelle comunità il sostegno alle vedove anziane, costo che se ne andava insieme alla strega condannata alla pena capitale), la questione della caccia alle streghe ha molto da dirci rispetto alle politiche storiche delle classi dominanti nei confronti di sistemi di credenze e di pratiche ereditati, persistenti, originati da precedenti modi di produzioni e regimi politici. In particolare, come elaborerò più avanti, è possibile leggere le politiche della Chiesa cattolica, che impose una sua norma e guida della caccia alle streghe, come una politica di “egemonia instabile”.

Ciattini, riprendendo il pensiero di G. E. R. Lloyd, studioso dello sviluppo storico delle forme della scienza greca antica, legge il fenomeno delle forme storiche di repressione delle cosiddette streghe in Europa nel contesto, che percorre vari secoli tra medioevo ed età moderna, di evoluzione dei sistemi di credenze che intrecciavano religione, stregoneria, scienza nelle loro varie articolazioni come la demonologia, l’arte medica, l’astrologia e l’astronomia:

i mutamenti nei sistemi di credenze – anche quelli relativi al sovrannaturale – non avvengono grazie alla semplice scoperta di un dato contraddittorio, un’anomalia, ma solo attraverso grandi trasformazioni che coinvolgono tutto il sistema sociale [p. 12].

Non si può, insomma, scindere da capo a piedi lo sviluppo ideologico di una società – dalla religione al pensiero magico, alla filosofia, alla scienza: in una parola, dell’evoluzione della sua cultura – dalla società stessa. A partire da questo assunto, risultano comprensibile la comparsa, lo sviluppo e il declino di sistemi di credenze e paradigmi concettuali in quanto forze sociali coinvolte nella più generale prassi sociale umana. Come afferma uno dei capiscuola dell’antropologia moderna britannica, Evans-Pritchard, la stregoneria è un <<fatto sociale e non semplicemente un insieme di errori e di processi illogici che hanno a che fare con la psicologia individuale>>. Tale approccio riduzionista verso la magia-stregoneria come fatto sociale complesso fu un puntello ideologico, di quella cultura borghese che evolveva dall’illuminismo al positivismo razzista influenzato dal cosiddetto darwinismo sociale, nell’applicare misure oppressive nei confronti delle popolazioni coloniali, che per lungo tempo furono concepite e trattate come inferiori popoli eternamente identici a sé stessi, la cui complessità e stratificazione storica delle pratiche sociali, magia inclusa, veniva risolta a colpi di messe fuori legge e carcerazioni. Processi psichici e pratiche sociali ad essi legate venivano sistematicamente ricondotti a un’arretratezza biologica o poco più. Nella critica in campo psico-antropologico alle scuole apertamente idealiste o relativiste che hanno fatto da supporto ideologico o che, quanto meno, non hanno storicamente rappresentato un’opposizione frontale a queste pratiche riduzioniste verso le altrui credenze, Ciattini richiama la presa di posizione incisiva di alcuni rilevanti linguisti sovietici; Lev. S. Vygotsky, per esempio, affermò che

i processi psichici superiori dell’uomo non hanno un’origine naturale, ma sociale, e per spiegarli bisogna uscire dall’ambito dell’organismo e cercare le loro radici nei rapporti tra gli uomini, nelle condizioni della storia sociale [cit. a p. 30].

Sulla sua scia, nello studio dell’esperienza psichica, Valentin, N. Vološinov, nel suo volume scritto con Michail Bachtin Marxismo e filosofia del linguaggio, scriveva

La psiche soggettiva è oggetto della comprensione ideologica e dell’interpretazione socio-ideologica. Una volta compreso e interpretato un fenomeno psichico diventa spiegabile soltanto in termini di fattori sociali che modellano la vita concreta dell’individuo nelle condizioni del suo ambiente sociale [corsivo nell’originale, ibidem].

Proprio le pratiche contraddittorie dei poteri politici, analizzati nel volume, che si sono storicamente occupati della catalogazione e della repressione delle pratiche magico-stregonesche, portano in particolare Federico Martino, nel suo saggio La spirale della storia. Giuristi e streghe tra Medioevo ed Età moderna, a mettere in luce l’inefficacia del modello positivista tardo-illuminista per cui la storia dell’umanità è semplificabile in una lineare marcia trionfale di una ragione pura, astratta dai contesti storico-sociali di sviluppo della cultura, della scienza e del pensiero razionale. In questo senso, affermando il carattere dialettico dei fenomeni sociali, l’immagine della spirale che propone Martino è senz’altro più adeguata di quella della linea retta.

La persecuzione della stregoneria: dalla svolta di Giovanni XXII ai roghi di Stato

Se accettiamo le tesi fin qui esposte, proseguendo nell’analisi della critica e della repressione promossa ai danni della stregoneria, possiamo parlare dell’azione della Chiesa cattolica in tal senso, su un piano politico, generale, come di un’opera di polizia (nel senso largo, gramsciano del termine) reazionaria? Credo che la risposta debba partire da un contesto più ampio del mero scontro streghe-clero.

In termini storici, di lungo periodo, va tenuto conto che il pensiero magico e le pratiche stregonesche, in quanto ideologicamente connessi in un sistema di credenze complessivo, come emerge dalle considerazioni, ad esempio, di Evans-Pritchard e di Tylor in campo antropologico, sono autoconfermativi, cioè organizzati e consolidati in modo tale da essere attraversati il meno possibile dallo spirito critico e scettico verso sé stessi e verso qualsiasi stimolo e dato leggibili nel senso di una smentita del sistema stesso. Ciò significa che la maggiore efficacia, nei rispettivi campi pratici, di altri paradigmi, altre ideologie quotidiane, altre tecniche e pratiche, non comporta automaticamente una crisi del sistema in sé. Così, cambiamenti sociali storici, grandiosi possono rendere marginale quel sistema ma non eliminarlo del tutto. Ciò si verifica col caso della diffusione e poi del carattere egemonico e istituzionale, di potere, del cattolicesimo e dell’organizzazione economica e politica medievale che poggiavano su basi non certo identiche a quelle che avevano dato origine al pensiero magico: enormi forze sociali che non erano riuscite a soppiantare la stregoneria. Dalla dinamica storica delle fasi di lotta per l’ascesa egemonica dei paradigmi che nei vari campi hanno sfidato il pensiero magico, concentrandosi sul caso specifico trattato da Lloyd della nascita del pensiero scientifico nell’antica Grecia, Ciattini segnala tre conclusioni significative:

1) le credenze nel sovrannaturale non sono abbandonate [al punto che Keith Thomas, come riporta Ciattini a p.12, arriva ad affermare che “nessuna società ne sarà mai esente”, riprendendo la tesi di Bronislaw Malinowski, per cui le pratiche magiche forniscono di fatto un rimedio all’ansia]; 2)si afferma un diverso sistema intellettuale che però non invade tutto lo spazio sociale; 3) quest’ultimo nasce dalla critica verso le prime ed è sollecitato da un complesso di fattori che non sempre si fondano sulla dimostrazione della loro inefficacia né è in grado di prospettare soluzioni migliori. Ciò nonostante, tale sistema si mostra alla lunga più efficace sul piano conoscitivo per la rigorosità dei metodi, per le potenzialità critiche e per la capacità di autoriformarsi.

Nel caso dell’ascesa e della lunga fase di partecipazione al potere politico su scala europea della Chiesa cattolica, il solo dato della persecuzione della stregoneria ancora nel XVII secolo dimostra che, in termini generali, è vero che la religione organizzata non era riuscita a incamerare o eliminare le credenze e gli usi legati alla magia, non riuscendo a invaderne tutto lo spazio sociale. La questione è resa più complessa da come viene riconosciuta (ma oltre un certo limite, storicamente ben superato dalla Chiesa, è meglio dire etichettata) e trattata la stregoneria: c’è una netta evoluzione nella percezione, nella formulazione e nella risposta alla questione attraverso i secoli. In estrema sintesi, la preoccupazione dei sovrani germanici neoconvertiti del VII-VIII secolo (come ricorda Federico Martino nel suo saggio) “di contrastare le ancor forti persistenze pagane che si manifestano con il culto degli alberi, con i sacrifici ai demoni e con altre pratiche della tradizione precristiana” [p. 67] pone alcune questioni di fondo ed ha diverse analogie con il comportamento della Chiesa nei secoli successivi ma, come argomentato sopra, sono i grandi cambiamenti sociali, lo sviluppo ideologico-culturale della società europea che pongono la questione, almeno in parte, in termini diversi.

Di fatto, fino al ‘300 non si sviluppa una specifica, sistematica lotta alle streghe e alla stregoneria in quanto tale, poiché per lunghi secoli c’è una battaglia epocale tra varie correnti dottrinali all’interno della Chiesa stessa. Quella che poi è prevalsa con le caratteristiche che conosciamo come cattoliche, aveva come obiettivo di gran lunga prioritario e strategico quello della neutralizzazione ideologico-sociale, se non della soppressione fisica, delle altre correnti, definite eretiche. Non esente da influenze di tipo sociale, culturale anche esogene rispetto alla religione stessa, era comunque uno scontro interno di una grande potenza che doveva, prima, ancora affermarsi come tale su scala continentale, e poi mantenere la propria posizione di potere: che sussistessero alcuni usi e pratiche, peraltro non universali, dove sopravvivevano credenze precristiane, era una questione molto meno destabilizzante sul piano politico. È proprio nell’àmbito dei dissapori verso la condotta intransigente e repressiva di papa Giovanni XXII nel periodo 1316-18, che la diffusioni di voci di ricorso alle arti magiche al fine di affrettare la morte del papa porta alla ribalta il tema della stregoneria.

Visto con gli occhi di oggi può sembrare un fatto insolito, ma all’interno della Chiesa stessa (e ancora per lungo tempo) era assolutamente compatibile con la dottrina ufficiale la concezione per cui l’azione del diavolo avvenisse anche tramite ogni sorta di arti magiche. Con lo svilupparsi dell’apparato ideologico cristiano, ci fu una sussunzione e uno sviluppo largo di tutto un immaginario di figure minori che si pongono fra il divino e l’uomo partecipando a ciò che solo da circa un paio di secoli chiamiamo comunemente “sovrannaturale” contrapponendolo a ciò che risponde alle leggi di natura: analogamente, le modalità con cui il Male, il diavolo, poteva agire erano fiorite anche tramite una serie di figure sussunte dalla cultura pre-cristiana. In questo senso, la lotta contro la magia era per certi versi una lotta contro una parte delle radici stesse del cristianesimo così come si era diffuso in Europa.

La riposta di Giovanni XXII culmina nel 1326-27 con la bolla Super illius specula: si apre la nuova, lunga stagione di studio, catalogazione e repressione di magia e stregoneria. L’intento papale è quello di dare la possibilità di perseguire la stregoneria con mezzi e severità analoghi a quelli previsti per gli eretici, pur non identificando questi diversi mali e, dunque, non consegnando automaticamente all’Inquisizione anche queste prerogative. Così, specie nel XIV secolo stesso, gli stessi giudici ecclesiastici e gli inquisitori non applicano in toto, tanto meno forzandole in senso ancor più radicale, le disposizioni di Giovanni XXII. Ma le cose cambieranno decisamente un secolo e mezzo dopo l’emissione della bolla, quando la potente Inquisizione, feudo dell’ordine domenicano, avrà carta libera contro un avversario fino ad allora marginale: streghe e stregoni.

La dottrina dell’ordine dei domenicani riplasmata da Tommaso d’Aquino nella seconda metà del Duecento aveva già lasciato dietro di sé il concetto agostiniano dello Stato laico come “città del diavolo”: “pur rimanendo su un piano di inferiorità, in quanto non indirizzato a fini soprannaturali, tende al bene della società e questa umana ragion d’essere ne fonda il valore” (p. 82). Era d’altronde un’epoca di straordinaria crescita economica e politica, come ricorda Martino e, mentre le Chiesa sarebbe andata incontro a nuovi periodi di crisi (come quello delle prime decadi del ‘300), l’aristocrazia rimaneva ancora saldamente la classe dominante continentale, mentre ulteriore spazio sociale era mano a mano conteso dalla nuova classe sociale della borghesia. Una conseguenza “logica” di tale situazione era quella di accettare e anzi vedere di buon occhio la presenza dello Stato laico come camera di compensazione e occasione di stretta di legami politici e morali verso classi sociali che altrimenti avrebbero potuto sviluppare un’autonomia politica e intellettuale ben maggiore. Una contropartita di ciò è il moltiplicarsi dello spazio e del prestigio intellettuale che i dotti al di fuori dello stretto controllo clericale possiedono: la stessa Super illius specula, non certo per volere della Curia, viene mantenuta al di fuori del canone dei documenti ecclesiastici che “facevano diritto”. 

La situazione è diversa nel Quattrocento, quando l’apparato dottrinale di san Tommaso è in crisi e lo scontro con i principati dell’Europa centrale permette a Innocenzo VIII, in soccorso agli inquisitori autori del Malleus Maleficarum (un vero e proprio manuale di caccia alle streghe), di emanare nel 1484 la bolla Summis desiderantes affectibus, con un’equiparazione organica e manifesta tra eresia e stregoneria. Una misura che è anche un affondo significativo ed efficace all’influenza intellettuale dei giuristi e dell’accademia a danno della Chiesa. Un secolo dopo, il primato della persecuzione violenta della stregoneria è passato alle corti laiche:

In Francia e in Germania, sono i tribunali di principi e sovrani – cattolici e protestanti – che sterminano le streghe. Durante la vita di Galilei, Descartes, Bacone il fumo dei roghi si mischia a quello degli incendi appiccati dagli eserciti in lotta nella Guerra dei Trent’Anni [p. 100].

Il furore della persecuzione è tale che non si pone limite al carattere di “credibilità” delle confessioni – non certo spontanee – che inevitabilmente alimentano una spirale di autoaccusazione abbinata ad accuse di correità che sterminano intere comunità (p. 100). 

 

Giacomo Turci


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Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.