Zara è uno dei marchi di abbigliamento più famosi a livello mondiale, pezzo forte di una multinazionale tra le maggiori del settore. Il suo proprietario, Amancio Ortega, è uno dei dieci uomini più ricchi del mondo. Un impero costruito su uno sfruttamento vasto e brutale che oggi in Italia sta fronteggiando una risposta di lotta da parte dei magazzinieri alle sue dipendenze.
Zara, arcinoto marchio di abbigliamento, con Zara home anche di arredamento, nasce nel 1975 in Spagna fondata dal miliardario Amancio Ortega, conta ad oggi più di 1700 negozi sparsi in 78 paesi. A quanto pare la ricchezza di Ortega è anche uno scalino più in alto di quella di Bill Gates. Ma come ha costruito questa ricchezza il signor Ortega? La risposta è semplice e basta una parola addirittura per svelare l’arcano: sfruttamento. Infatti basta digitare su google “Zara” che usciranno innumerevoli articoli in cui si parla sempre delle condizioni pessime dei lavoratori, da quelli che si occupano, in paesi lontani e spesso poverissimi, di cucire uno per uno i vestiti ma anche dei lavoratori che in Italia si occupano del trasporto e dello scarico delle merci. Insomma, sembra che Zara utilizzi senza distinzioni, su tutti i lavoratori coinvolti nel suo processo produttivo sempre e costantemente lo sfruttamento più feroce.
In Brasile, dove si trovano diverse fabbriche legate a partner della multinazionale che producono capi a marchio Zara è stata denunciata la seguente condizione di lavoro: 12 ore al giorno per 100 euro al mese senza pausa e senza ferie. In Argentina la musica non cambia: operai obbligati a vivere sul posto di lavoro e a dover chiedere un permesso speciale per potersi allontanare. Diversi articoli di giornale e reportage si possono trovare facilmente on line.
Un’altra denuncia arriva da Istanbul, dove anche minorenni stanno 12 ore al giorno a disegnare le tasche dei pantaloni e dove lavoratrici cuciono 70 tasche al minuto, dove per fare 5 magliette alla catena di montaggio ci vuole 1 minuto soltanto. Tutto ciò per un salario di due euro al giorno, tanto basta a questi operai per comprare giusto quello che serve al proprio sostentamento materiale minimo. Quindi, facendo due conti, la maglietta firmata Zara che qui paghiamo 29,99€ è costata al produttore, pagato il tessuto e l’operaio, circa soli 2€. Ecco perché Ortega è uno degli uomini più ricchi del mondo, guadagna quindici volte di più di quanto spende per produrre la propria merce, questo sulla pelle dei lavoratori uomini, donne e bambini sfruttati.
Zara nega di essere coinvolta in questi casi, dice di rispettare il codice etico su cui si basa la società. E allora ci chiediamo, come mai su alcuni capi Zara sono stati trovati biglietti inseriti dagli operai tessili, riportanti la frase: “ho fatto io questo capo, ma non sono stato pagato per farlo”?. Fantasie? No, una denuncia reale e solida partita dai lavoratori di varie industrie manifatturiere sparse in Turchia. I lavoratori impiegati dall’agenzia Bravo, ad esempio, chiusa di recente e che operava per conto di Zara, rivendicano il loro diritto di essere pagati per il lavoro svolto fino alla liquidazione della società che li aveva assunti. In fin dei conti i vestiti che questi lavoratori hanno cucito sono stati venduti, Zara ha ottenuto un profitto dal lavoro di questi operai, ma si ostina a non volerli pagare. Insomma Zara sembra rispettare sempre, in ogni paese e in ogni fase del processo produttivo, una sola etica: più sfruttamento, più profitto.
Qui in Italia le lotte dei lavoratori della logistica di Zara sono sempre più frequenti, la loro lotta rivendica l’applicazione del CCNL della logistica e del trasporto merci, il rispetto e l’adeguamento dei diversi livelli di inquadramento, denunciano turni di lavoro insostenibili, soppressione delle ferie, turni di lavoro senza preavviso, notti obbligatorie malattie non retribuite, tredicesima e quattordicesima non corrisposte. Siamo vicini alle lotte di questi lavoratori, denunciamo anche da lontano lo sfruttamento che subiscono ogni giorno migliaia di lavoratori del tessile nei paesi più poveri dove per fame si accetta qualsiasi tipo di condizioni di lavoro.
Possiamo dedurre da tutte queste informazioni che Zara trae la sua ricchezza dalla disperazione, dalla sofferenza e dalla necessità di sopravvivere di milioni di uomini e donne. Detto questo ogni volta che acquistiamo un capo Zara sarà difficile non pensare a ciò che c’è dietro e di quanto dolore e sfruttamento sia intriso quel tessuto.
Matilda
Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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