La premiazione Cèsar del cinema francese ha visto quest’anno un forte scontro tra attori e soprattutto attrici indignate da una parte, rappresentanti di uno sdegno diffuso in Francia, e coloro che hanno tentato di normalizzare la partecipazione del regista Roman Polanski.


La notte del 27 febbraio 2020 la sala Pleyel a Parigi ha accolto la 45esima edizione dei Cèsar Award. I Cèsar sono, banalmente, il corrispettivo francese degli Oscar o del David di Donatello per il cinema italiano. Tendenzialmente premiazioni come questa hanno una rilevanza mediatica solo nella nazione di origine del premio (la Francia, in questo caso) eccezione fatta per l’edizione dei Cèsar 2020. Tra i vari film candidati spicca la pellicola L’ufficiale e la spia diretto dal regista franco-polacco Roman Polanski che apre la serata dei Cèsar con ben 12 candidature. La questione sulle molteplici candidature assegnate al film di Polanski, fu criticata immediatamente dalla comunità cinefile francese e dalle esponenti del movimento femminista #metoo. Il polverone sollevato dal dissenso popolare portò ad una dichiarazione del Ministro della cultura francese, Frank Riester, che affermò: “Sarebbe un cattivo esempio per un mondo che deve necessariamente combattere la violenza e il sessismo”. La via diplomatica scelta dal ministro, mise a tacere voci e grida contro il regista polacco e contro il film da lui diretto. Stampa e politica sapevano, però, che il culmine di questa protesta sarebbe arrivato proprio la notte del 27 febbraio, terminata la premiazione.

 

J’accuse Polanski

Roman Polanski fu accusato e condannato nel 1977 per aver stuprato una ragazza tredicenne in territorio statunitense. Il regista, tuttavia, evitò la causa legale e dopo aver chiesto asilo politico in differenti nazioni, trovò pace e accoglienza proprio in Francia. Per anni il “caso Polanski” fu archiviato e il regista fu libero di continuare a girare film e ricevere premi, vincendo addirittura l’Oscar per miglior regia per il film Il pianista nel 2003. Eppure, la vittoria di un premio con l’Oscar non fece così tanto scalpore. Cosa è cambiato in diciassette anni? Perché tanto rumore per un “piccolo” Cèsar?
Nell’ottobre del 2017, grazie al noto Weinstein Gate, attrici, produttrici e conduttrici cominciarono a denunciare pubblicamente le molestie e gli abusi subiti dal produttore americano Harvey Weinstein, aprendo un gigantesco vaso di Pandora. Il processo al fondatore della Miramax fu l’inizio del movimento femminista #metoo che consegnò alla giustizia i nomi di molti uomini di potere. Tra questi nomi, inevitabilmente, riapparve quello di Roman Polanski. Alla voce della tredicenne violentata nel 1977 si unirono le voci di altre sei ragazze che citarono in giudizio proprio Polanski, accusandolo di molestie e abusi sessuali. La Francia, tuttavia, non ha estradato il regista ed ha continuato ad offrirgli asilo politico, mentre negli USA altri uomini del settore cinema (Woody Allen, Kevin Spacey, ecc…) venivano sottoposti ad infiniti processi legali e ad una gogna mediatica. Il polverone mediatico, almeno nei confronti di Allen e Spacey, è svanito nel momento in cui entrambi sono stati dichiarati innocenti e, alcune volte, anche vittime di diffamazione. Polanski, al contrario, ha sempre evitato il confronto con la giurisdizione americana alimentando il dissenso verso di lui sia come artista sia come individuo.

 

La giovane in fiamme

Il movimento #metoo non ha mai trovato terreno fertile in Francia, al contrario è stato definito un movimento che denigra l’uomo e va contro la parità dei sessi. Fu proprio un manifesto apparso su Le Monde e firmato da attrici del calibro di Brigitte Bardot e Catherine Deneuve, a mettere a tacere la voce di un eventuale #metoo francese. Le attrici parigine si riferivano, in modo specifico, all’effetto mediatico spropositato causato dal #metoo, che aveva causato un accumulo di denunce “false” o fatte solo per “ottenere attenzione dai media”. Questo aspetto, sfortunatamente, si è rivelato ben presto veritiero, anche se ciò non può rimuovere la necessità che si poneva, e che è emersa in questa forma, dar voce a quello che, in definitiva, è semplicemente l’abuso di potere nella cinematografia divenuto troppo spesso abuso fisico.
Nel novembre 2019 fu l’attrice francese Adèle Haenel a denunciare pubblicamente il regista francese Christophe Ruggia, dichiarando di essere stata molestata da Ruggia dall’età di 12 anni. Dopo l’intervento dell’Haenel altre attrici francesi hanno sporto denuncia verso Ruggia, ottenendo così un processo per molestie sessuali con conseguente arresto del regista.
Il 27 febbraio in sala è presente anche Adèle Haenel nominata nella categoria “miglior attrice” per il film Ritratto della giovane in fiamme diretto da Celine Sciamma. All’annuncio della vittoria di Polanski nella categoria “miglior regia”, la Haenel ha lasciato la cerimonia al grido di: “Bravo pedofilo!”. L’attrice è stata immediatamente seguita dalla Sciamma, dall’intero cast di Ritratto della giovane in fiamme e da altri attori e attrici. L’attenzione dei giornalisti si è concentrata sul gesto dell’attrice ignorando che Adèle Haenel ha solo incarnato in quel momento una larga indignazione che stava esplodendo per le strade. L’associazione Osez le Feminisme guidava, in contemporanea con la premiazione, una manifestazione contro i Cèsar e, ovviamente, contro Polanski con cartelli su cui leggiamo “Violanski”, “J’abuse”, “J’accuse Polanski” e “Cèsar colpevoli”.
Noi spettatori che assistiamo a questo spettacolo che pare essere senza fine, ci troviamo nuovamente davanti ad un dilemma etico: quanto è giusto separare l’uomo dall’artista? Roman Polanski è dichiaratamente colpevole e, sempre tramite dichiarazioni ufficiali del regista, non ha intenzione di tornare negli USA per sostenere un processo il cui esito è già noto. Polanski, però, è anche uno dei più grandi registi a livello mondiale che ha segnato la storia del cinema. Cosa pensare in questi momenti? È giusto boicottare una pellicola perché il suo creatore è colpevole di crimini che non vuole scontare?
I Cèsar hanno preso una posizione, larghi settori dell società civile francese hanno preso una posizione totalmente opposta. I giovani per strada e le giovani attrici che hanno lasciato la Pleyel sono la rappresentazione di un gruppo di persone distrutte e stanche delle mille e mille giustificazioni, dei silenzi e della diplomazia. Nel 2020 si denuncia e si grida – anche se è non è per nulla garantito che si verrà ascoltati. Forse il caso Polanski sarebbe andato diversamente se il regista avesse accettato a priori di essere processato e scontare, così, un’eventuale condanna. Ancora oggi, purtroppo, Polanski resta impunito e protetto dalla giurisdizione francese. Fortunatamente una piccola “rivoluzione” etica, una messa in discussione dell’abuso e del privilegio prima intoccabili, nel cinema pare partire proprio dalle nuove generazioni che non vogliono seguire gli esempi impresentabili dei propri “maestri”.

Sabrina Monno

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.