Pubblichiamo la testimonianza di una giovane italiana, che lavora e vive a Melbourne, alle prese con il rientro in patria proprio nel periodo di iniziale diffusione del Coronavirus e della chiusura delle frontiere in Europa.


Passare per tre continenti durante la pandemia mondiale del Coronavirus è stata un’impresa alquanto complicata e frustrante.

Il viaggio parte da Melbourne in Australia, paese nel quale ho vissuto per un anno e mezzo, e sarebbe dovuto terminare a Roma.

Nonostante la situazione critica già annunciata sul territorio italiano per la diffusione del virus, il governo australiano ha deciso di non prolungare il visto a coloro che come me si trovavano in scadenza di questo e non avevano l’opzione di altri possibili rinnovi nel breve termine; questo aprirebbe una lunga digressione sulle politiche di immigrazione australiane che sorvolerò in questa sede.

Dalla settimana precedente la partenza io e la mia compagna, come me italiana e di ritorno con me in Italia, siamo andate in giro per molte farmacie di Melbourne alla ricerca di mascherine, già presenti in scarse quantità a causa dell’emergenza incendi dei mesi precedenti.

Abbiamo quindi scoperto che il prezzo di vendita di queste era stato incrementato del 200% … altro che solidarietà! Senza contare dell’impossibilità di trovare i disinfettanti per le mani.

Dopo vari giri le troviamo in un negozietto del centro che aveva appena ricevuto uno stock di importazione misteriosa e il commesso al quale avevamo raccontato del nostro impellente ancora probabile ritorno in Italia ha dato segno di umanità vendendocene un pacco a un prezzo scontato.

Quattro giorni prima della partenza la aerolinea Thai ci comunica della cancellazione del volo Bangkok-Roma e ci riassegna un volo automatico in arrivo a Francoforte.

Ci rechiamo così all’ufficio della compagnia aerea, perché ovviamente telefonicamente è irraggiungibile, per capire se questa di andare a Francoforte fosse la nostra unica opzione.

Ci dicono che possiamo rinunciare al volo e avere un rimborso completo oppure scegliere un’altra città europea da loro fornita per il rientro.

A questo punto la decisione ci risulta abbastanza difficile: tornare nell’Europa bacino del focolaio pandemico o scegliere qualche altra meta esotica come la Nuova Zelanda, dove però la vita è molto cara e c’è difficoltà a farsi rilasciare un visto o ancora andare in un paese come la Thailandia dove la percezione è quella di essere meno al sicuro in una plausibile emergenza sanitaria?

Decidiamo così di avvicinarci il più possibile all’Italia, sperando di poter andare a vedere i nostri cari in un tempo breve.

La meta più sicura tra le poche forniteci prettamente in Germania, Francia e Spagna, risulta essere Vienna in Austria. Ci risulta una meta abbordabile perché presenta ancora pochi contagi e il rapporto qualità della vita/prezzo sembra accessibile, tenendo in conto anche dell’attrattività turistica che almeno poteva essere un diversivo alla tragicità della situazione.

L’unico piccolo inconveniente era rappresentato da uno scalo a Bangkok della lunghezza di 6 ore.

Ci rechiamo quindi all’aeroporto di Melbourne il 15 marzo dove la situazione sembra essere tesa e anche un po’ surreale. Siamo tutti ricoperti da mascherine e guanti, ci guardiamo con sospetto ma anche con commiserazione.

Dentro l’aereo il rumore delle paranoie sembra uscire dalle nostre teste con respiri affannati e starnuti soffocati e dopo 9 ore di volo la mascherina inizia ad essere un fardello troppo pesante anche se inevitabile.

All’aeroporto di Bangkok siamo tutti ancora più spaventati, ci muoviamo lenti come zombie per non entrare in contatto e un caldo umido sfiancante rende ancora di più appiccicosi e fastidiosi la mascherina e guanti.

Ho notato un ragazzo che aveva una specie di visiera lunga circa 30cm oltre il viso che mi ha fatto venire in mente le raffigurazioni del “medico della peste” veneziano, non solo una maschera.

In quelle ore apprendo la notizia che a Vienna sono iniziate delle misure di sicurezza quali il divieto di assembramenti oltre le 100 persone in luoghi chiusi e 500 all’aperto e la chiusura di bar e ristorante alle ore 3 del pomeriggio.

Il secondo volo di 11 ore fino a Vienna è un incubo, con ormai la mascherina diventata tutt’uno con la faccia e la difficoltà a respirare liberamente.

Arrivate a Vienna il 16 marzo, apprendiamo le nuove disposizioni che prevedono dal giorno successivo il divieto di lasciare le abitazioni (nel nostro caso l’appartamento affittato su Airbnb), se non per motivi prettamente indispensabili quali fare la spesa e andare in farmacia.

Facciamo in tempo a fare un giro in centro ma lungo il fiume alle 3 del pomeriggio arrivano orde di poliziotti a mandare tutti a casa, nonostante la restrizione non fosse ancora in vigore.

Almeno per ora, qui a Vienna non mancano beni di prima necessità, a parte la carta igienica, e la gente sembra non essere presa dal panico nonostante l’aumento considerevole del contagio.

Siamo comunque in attesa di capire come tornare in Italia, non ci sono voli, non ci sono treni e pare ci siano dei pullman che però ti lasciano in Tirolo al confine e da lì nessuna informazione attendibile.

I nostri amici di Melbourne ci raccontano che anche lì hanno introdotto le disposizioni restrittive e che ogni infrazione verrà punita con $20.000 di multa.

Per ora qui a Vienna sembra tutto tranquillo, la nostra preoccupazione a parte il contagio da COVID-19 è che le temperature oscillano attualmente tra i -4° e 9° e, venendo dall’estate australiana ipoteticamente dirette alla primavera romana, non siamo equipaggiate per l’inverno austriaco, né abbiamo visto negozi nelle vicinanze che vendano un maglione.

Clelia Menna

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