La situazione delle donne lavoratrici immigrate è particolarmente drammatica e delicata sotto la quarantena: il sindacato USB ha lanciato un appello per una regolarizzazione che eviti a queste donne di vivere una condizioni marginale e insicura.


Il sindacato USB attraverso una sua portavoce, Svitlana Hryhorchuk, ha lanciato un appello al governo e una petizione su change.org (arrivata a 763 firme alla pubblicazione di questo articolo) per difendere tutte le lavoratrici domestiche immigrate che in questa situazione di cornavirus versano in condizioni drammatiche.

In questi giorni di passaggio dalla fase uno alla fase due della quarantena, la situazione per chi è costretto al lavoro nero, per gli immigrati e in particolare per tutte le donne che lavorano come badanti, soprattutto se queste sono immigrate le condizioni, non migliorano.
Sin dall’inizio del lockdown sono arrivate tantissime denunce di violenze domestiche sulle donne immigrate che si sono trovate costrette in casa con anziani violenti, che spesso hanno riversato la frustrazione della situazione e la colpevolizzazione dell’impossibilità di vedere i propri cari proprio su queste donne che lavorano per loro. E sicuramente sono solo la punta dell’iceberg le donne che hanno avuto il coraggio di denunciare, rischiando di rimanere senza lavoro e senza una casa dove stare da un momento all’altro in una situazione così drammatica. In casi ancora più gravi queste donne si sono ritrovate in un vero e proprio limbo infernale: licenziate dal proprio lavoro di domestiche, si sono ritrovate senza una casa o un posto dove poter stare e spesso essendo immigrate ritenute “irregolari” dal governo, quindi senza permesso di soggiorno, si sono ritrovate nell’impossibilità di ritornare dai propri cari: sia che si trovassero nelle vicinanze, in quanto non si potevano spostare nemmeno all’interno delle città, sia che fossero lontani, in quanto impossibilitate a tornare nei propri paesi d’origine. Tutto ciò è causato dall’impossibilità di spostarsi senza documenti in regola che impediscono loro di supportare, in caso di fermo della polizia, la famosa autocertificazione con relativi documenti; dovendo rischiare sanzioni che saranno impossibilitate a pagare, o addirittura condanne penali che potrebbero portare il carcere.
Questa situazione ha avuto la conseguenza drammatica di molte donne che si sono trovate costrette a vivere in strada, in una situazione in cui paradossalmente a tutti si chiedeva di “restare a casa”; mettendo così a rischio la loro vita e la vita delle altre persone.
Come il caso, denunciato dall’USB,di una cinquantenne che vive in provincia di Perugia.

Dobbiamo schierarci contro la colpevolizzazione di queste donne, vittime di una triplice violenza: quella dello sfruttamento del sistema capitalista, quella delle violenze patriarcali che le relegano a determinati lavori di cura e che le espongono maggiormente anche alle violenze domestiche, e la violenza statale del rifiuto di riconoscere la loro legittimità di essere umani perché sono riuscite ad ottenere o meno un pezzo di carta.
Donne, uomini, bambini su cui lo stato in realtà specula costringendoli spesso a sottostare alle volontà di cooperative, o famiglie (anche
quelle alla “mulino bianco”) che li schiavizzano facendoli lavorare a nero nei campi, come badanti o donne delle pulizie ma senza diritti, tutele e con stipendi da fame. E costretti dalla paura, dalla mancanza di alternative questi uomini e donne accettano di tutto permettendo ai padroni e allo stato di vivere sulle loro spalle.
Quindi chi è il vero colpevole di questa situazione, se non lo stato che tace di fronte a queste drammatiche condizioni!?
Uno stato che non si preoccupa di dare un nome, dei diritti e delle tutele a queste migliaia e migliaia di persone che si prendono cura dei nostri anziani, coltivano le nostre terre e trasportano i nostri pacchi che aspettiamo con tanta attesa, nemmeno in una situazione in cui non tutelarli significa mettere a rischio la salute di tutti!

Per questo motivo appoggiamo e diffondiamo l’appello lanciato dalle compagne dell’USB affinché venga riconosciuto il lavoro di tutte queste donne permettendole di ottenere il permesso di soggiorno e la regolarizzazione del proprio lavoro.

 

Scilla Di Pietro

Nata a Napoli il 1997, già militante del movimento studentesco napoletano con il CSNE-CSR. Vive lavora a Roma. È tra le fondatrici della corrente femminisa rivoluzionaria "Il Pane e Le Rose. Milita nella Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) ed è redattrice della Voce delle Lotte.