In queste settimane nella scena politica italiana tengono banco le discussioni su come affrontare l’onda anomala del crollo del PIL dovuta al lockdown del coronavirus, sugli aiuti e le elemosine ai piccoli imprenditori in crisi (che in Italia rappresentano una fetta di mercato e occupazione non indifferente) e, per ultime, a non meglio specificate “famiglie”. La situazione però è più complessa e contraddittoria di così, nonostante il taglio dell’IRAP e i miliardi che verranno versati a pioggia sulle grandi imprese, anche gonfiando il debito pubblico e a scapito di servizi che sarebbero stati cruciali nel periodo di picco dell’infezione, una su tutte proprio la sanità, diverse multinazionali che fino a ieri hanno letteralmente navigato nell’oro sulle spalle dei propri operai, stanno utilizzando il calo del giro d’affari per portare a termine tagli e licenziamenti per massimizzare i profitti e ridurre all’osso le perdite.

Ha iniziato la FedEx, azienda americana dal fatturato di oltre 65 miliardi annui nel 2018, tentando di tagliare quasi settanta posti di lavoro nel proprio impianto di Peschiera Borromeo in provincia di Milano e minacciando, successivamente agli scioperi che hanno interessato tutto il paese con il sindacato Si Cobas in prima linea, di ridurre volontariamente il volume di movimentazione delle merci sul suolo nazionale, cosa che avrebbe portato ad un’ulteriore e più drammatico bilancio di esuberi in diversi altri magazzini.

Zara, facente parte del gruppo Inditex, azienda spagnola dell’abbigliamento e dell’arredamento, fondata dal multimiliardario Amancio Ortega, fatturato annuo al 2016 di oltre 20 miliardi di dollari, già aveva provato a scaricare una sostanziosa fetta di lavoratori tra Roma e Milano all’inizio di quest’anno e ora sta muovendo i fili di cambi appalto fra la selva di aziende in appalto di cui si serve in ogni parte d’Italia insistendo molto sul calo dei volumi e sulla cassa integrazione nonostante i negozi abbiano riaperto.

L’ultima, ma probabilmente non l’ultima, la Jabil, anche questa un’azienda statunitense di elettronica del peso di 20 miliardi l’anno nel 2017, è salita all’onore della cronaca per il tentativo di licenziamento di 190 lavoratori nello stabilimento di Marcianise, in provincia di Napoli. Dopo aver rotto il tavolo di trattativa con i sindacati confederali nella notte tra lunedì e martedì di questa settimana causando la costernazione delle sigle sindacali confederali e di esponenti delle istituzioni che hanno accusato il managment aziendale di “arroganza” nella gestione della trattativa. 

Questi sono gli ultimi casi più emblematici e scandalosi data la “potenza di fuoco” economica su cui queste aziende possono contare ma ce ne sono molte altre, da Amazon ai giganti della distribuzione, che hanno licenziato, messo in condizioni di estrema precarietà i lavoratori e hanno risparmiato sui dispositivi e sulle norme di sicurezza, tutto per mantenere intatti (o, in alcuni casi, accrescere) il proprio profitto, schiantando letteralmente ogni cosa sul proprio cammino e scontrandosi con gli scioperi operai nel corso degli ultimi due mesi.

Insomma, sgravi fiscali (ai danni del futuro della collettività), piogge di casse integrazioni interamente a carico dello Stato e norme anti licenziamento non stanno impedendo ai padroni del mondo di colpire i lavoratori già ora svelando nella maniera più brutale possibile che sì, i padroni sono loro, possono permettersi l’arroganza, possono ignorare ogni legge e regola di buon senso. L’unico modo che hanno e avranno nel prossimo futuro i lavoratori e le lavoratrici di difendere i propri interessi e la propria vita sarà la mobilitazione. Che queste aziende in particolare siano presenti in decine di paesi rende solo più palese che la lotta di classe è una questione che non può rimanere confinata nei confini nazionali e che gli operai e le loro organizzazioni si dovranno porre il problema di collegare lavoratori di ogni paese contro giganti solo apparentemente invincibili.

Solo con l’internazionalismo si potrà rispondere degnamente a questi attacchi, i margini di trattativa complessiva tra imprenditori e lavoratori si sono ridotti da tempo al lumicino e la crisi sanitaria ha precipitato la situazione. Da ora o ci si prepara a combattere sullo stesso livello dello scontro che impongono le aziende o si rischia un massacro per i lavoratori senza precedenti nella storia recente di questo e di tutti i paesi.

 

CM