È uscito recentemente in libreria, ultimo di una trilogia di “romanzi working class”, “Nel girone dei bestemmiatori” dello scrittore toscano Alberto Prunetti. Pubblichiamo un invito alla lettura sotto forma di dialogo tra due lettori e compagni che conoscono bene il retroterra operaio toscanissimo dei romanzi di Prunetti.
Fiorentino: Hai visto che è uscita l’ultima “fatica” del Prunetti?
Empolese: Bah, è già venuto qua a Empoli a presentarlo, che credi?
F: Che poi “fatica” si fa per dire, sono appena cento pagine…
E: Non mi toccare il Prunetti, lo sai che mi arrabbio! Non ti è piaciuto il libro?
F: No, faccio per ridere, mi è piaciuto eccome. Ma il Prunetti è di Follonica: è tagliato grosso e ha un grande cuore working class. Se non lo prendo in giro mi sembra di non volergli neanche bene.
E: Allora che ne pensi di questo ultimo volume della trilogia?
F: Penso che il Prunetti abbia ragione e che questo libro sia un altro “gol infilato ai quattrinai”. Anche noi che siamo qui, io e te e tanti altri, che siamo “quelli studiati”, rischiamo di scordarci da dove veniamo e da dove vengono i nostri strumenti di lavoro. I libri che leggiamo, le aule dove studiamo, le tastiere sulle quali battono veloci le nostre dita da scribacchini le hanno fatte mani operaie. Come ha detto Renato, il babbo del Prunetti, “le biblioteche le fanno i muratori e gli elettricisti. Le fondamenta le scaviamo noi…”. C’hanno raccontato l’inferno dantesco, le emozioni sofisticate e i patimenti dell’anima. E il corpo? La sofferenza dei polmoni e delle braccia? La sofferenza di chi l’inferno l’ha costruito, tuta blu e gambe in spalla? Loro sembra che vengano masticati e sputati dalla storia.
E: Questo libro mi ha fatto risuonare qualcosa in testa…mi ha ricordato i versi di quella poesia di Brecht, come si chiamava? “Domande di un lettore operaio”. Faceva più o meno così:
Chi costruì Tebe dalle Sette Porte?
Dentro i libri ci sono i nomi dei re.
I re hanno trascinato quei blocchi di pietra?
[…]
La grande Roma
è piena di archi di trionfo. Chi li costruì? Su chi
trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio
aveva solo palazzi per i suoi abitanti?
[…]
Ogni pagina una vittoria.
Chi cucinò la cena della vittoria? Ogni dieci anni un grande uomo.
Chi ne pagò le spese?
Le vittorie e le sconfitte della storia si reggono su braccia operaie. Braccia a cui di certo l’inferno dantesco non fa paura perché appartengono a gente coibentata. Ha ragione Renato, vai all’altoforno al turno di notte e dopo non c’è inferno che ti faccia paura. Poi però le divine commedie le scrivono quelli che stanno in paradiso, perché lì di tempo per contemplare il creato ce n’è, non c’hanno da fare la manutenzione. In paradiso ci sono i padroni. Bisogna scriverle noi le opere, piazzare nella rete dei santi e dei beati “delle belle pappine”. Noi che veniamo da quelle braccia operaie, con l’altoforno nelle viscere. Perché se si lascia il linguaggio a loro, loro ci raccontano così: come quelli sconfitti.
F: Già. Pare che gli altri – quelli a cui abbiamo costruito il paradiso – siano i soli ad avere il sapere tecnico, a tenerci per il colletto della tuta blu perché conoscono i numeri, sanno le leggi e i dosaggi delle medicine per curarci. E con questo sapere tecnico ci ricattano. Ma anche i nostri Renato hanno un linguaggio di cui loro – quelli del bricolage della domenica – non sanno nulla. Nel nostro campo vinciamo noi. Se gli togliamo l’impalcatura non si raccapezzano più. In ferramenta e sui cantieri il sapere ce l’hanno i nostri.
E: Riprenderci il linguaggio è cruciale. I padroni si sono mangiati tutto, anche le parole. Hai visto, adesso la classe operaia non ha nemmeno più il diritto di riconoscersi come tale: dicono che i lavoratori non esistono più. Come se le case al mare e le ville con piscina le avessero costruite i ragionieri.
F: Se accettiamo questo è la fine. Quello che ribadisce il Prunetti è semplice: non siamo tutti classe media, non ci dobbiamo leggere con le loro categorie, se lo facciamo ci condanniamo ad essere subordinati. Noi siamo altro e abbiamo altri orizzonti di riferimento. Hai letto quando scrive “i nostri vecchi se ne sbattevano di fare il verso ai ricchi, di fare i pappagalli della piccola borghesia”. Nei campetti da calcio con l’asfalto che ci rovina le ginocchia, nelle partite della domenica, a magiare lupini e sputare le bucce noi ce la battiamo alla grande. E allora perché non torniamo nei campetti d’asfalto? Giochiamo noi in casa. Perché sentirci fuori luogo nelle ville in Versilia di quelli studiati? Riportiamo la lotta sul nostro terreno, e vediamo chi sono gli sconfitti!
E: Eh, dici bene. Ma il potere c’ha lavorato bene bene, ci sentiamo “imprenditori di noi stessi” e non operai dell’intelletto, ci sta bene che ne vinca solo uno. I favoritismi paiono nell’ordine naturale delle cose.
F: E allora bisogna ascolta di più quello che ci dice Renato. Lui i favoritismi li riconosceva bene. Lui lo sa bene che anche nell’aldilà le differenze sociali contano e che la morte non è come la livella di Totò. Infatti per Pasqua non si resuscita mica tutti, ma solo il figliolo del capoccia.
E: “Vaticano puppa”, ho letto su un muro mentre andavo al mare vicino a Livorno…
F: E invece a sinistra sono tutti a dire che Papa Francesco è una luce in fondo al tunnel, un punto di riferimento, l’unico che si batte per i poveri. Ma alla fine, chi è il più grande proprietario immobiliare in Italia?
E: Sono loro. Da duemila anni ci prendono per i fondelli…
F: A casa mia ogni volta che compariva Wojtyla dai moccoli veniva giù il salotto. Sono quasi cresciuto con il sospetto che il suo nome fosse proprio “i’ polacco di merda”. Se lo dico oggi, mi danno anche del razzista i benpensanti a sinistra.
E: Ma la foto al balcone con il macellaio di Pinochet non me la sono mica fatta io?
F: Siamo diventati come i borghesi. Tutti moralisti anche noi.
E: Detto tutto?
F: Quasi – o “guasi” come dicono in Maremma. Un paio di volte ho accennato al Prunetti che il suo babbo Renato mi assomiglia molto al Metello di Pratolini e ogni volta mi cade dal pero come se fosse la prima volta che se lo sente dire. Secondo me non mi ascolta mica.
E: Magari ti ascolta anche, forse però potresti essere un pochino più preciso, no?
F: Beh, a me Renato ricorda Metello perché sono personaggi che sfuggono alla rappresentazione stereotipata dei lavoratori che trovi sempre nella letteratura operaia.
E: Lavoratori infaticabili, mariti presenti, lettori assidui dei classici del socialismo e sempre in prima fila alle riunioni del partito e del sindacato…
F: Esatto. Per tutti quelli intellettuali della classe media che scrivevano per il PCI, la coscienza di classe evolverebbe in modo unidirezionale e per tappe prestabilite, come la storia. Si entra in fabbrica, ci si politicizza in modo graduale ma costante, si giunge ad un impegno sempre maggiore nelle organizzazioni della classe e alla fine si è pronti per la rivoluzione.
E: E invece procediamo per contraddizioni e strappi. Anzi, quando non ci portiamo dietro il peso delle esperienze passate e delle sconfitte, quando non siamo ingabbiati in una tentacolare rete di relazioni e istituzioni, quando siamo lontani dalla famiglia, allora sì che diventiamo terreno fertile per veri e propri salti rivoluzionari. Come l’operaio-massa meridionale che si trovava a Torino alla fine degli anni sessanta oppure i tanti lavoratori stranieri nella logistica oggi.
F: Lo sai chi lo ha detto meglio di tutti questo?
E: Non mi dire il “Profeta Armato”?
F: Eh sì..
E: Tanto vai a parare sempre lì…
F: “Va notato qui che il proletariato russo non si è formato a poco a poco, nel corso dei secoli, trascinandosi dietro il fardello del passato, come è accaduto in Inghilterra, ma ha proceduto a salti, con bruschi mutamenti di condizioni, di legami, di rapporti e con violente rotture rispetto a quanto esisteva alla vigilia. Appunto per questo [..] gli operai russi divennero accessibili alle più audaci conclusioni del pensiero rivoluzionario” [Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, Introduzione].
E: Oh, s’è fatta una certa. Si va a bere qualcosa? Che va bene tutto, ma l’inferno si attraversa meglio con un paio di birre in mano..
F: Andiamo, adelante!!
Carlotta Caciagli, Gianni del Panta
Dottoressa di ricerca in sociologia e scienza politica, diplomata presso la Scuola Normale Superiore. Si occupa di trasformazioni urbane e delle relative politiche capitaliste.