Vivere da sola, praticare l’amore libero, mantenere una vita sessuale attiva e soddisfacente hanno smesso di essere peccati per diventare, praticamente, privilegi di classe.
Se ancora fosse necessario dimostrare che l’evoluzione —graduale e progressiva— non è il movimento della Storia, nella nostra epoca si sovrappongono, in maniera eterogenea e complessa, i fondamentalismi religiosi con l’esibizione e “l’offerta” di corpi, pratiche e prodotti sessuali nelle reti sociali. Il collage postmoderno ci fornisce una variegata offerta di stili di vita e di consumo, in cui Vox può uscire nelle prime pagine dei giornali con la proposta di abolire l’educazione sessuale nelle scuole e, a un click di distanza, si può ottenere una performance pornografica in live streaming dalla Cambogia.
Da un lato abbiamo una destra che pare essere uscita dalle abbazie medievali, anche se tuttavia si veste dei linguaggi e le strategie di marketing più affini alla pubblicità che alla politica conservatrice tradizionale. Dall’altro, una libertà infinita di consumo; una società in cui tutto ci può essere offerto e può essere ottenuto dal mercato, incluso l’intangibile piacere erotico, anche con mezzi immateriali come il pagamento elettronico. Oscurantismo, quindi, ed un’estrema mercantilizzazione della vita che si autoalimentano, in nome della Libertà “con la ‘L’ maiuscola”, pur frenando e rimuovendo molte nostre libertà quotidiane.
I genitori devono avere la libertà di scegliere cosa viene insegnato ai loro figli nelle scuole. E gli insulti, le incitazioni all’odio e le discriminazioni sono protette dalla libertà di opinione. Se hai abbastanza denaro, sei libero di consumare — e per molti aspetti, di essere — ciò che preferisci.
Questo è il punto di rottura fino a cui ci spingiamo con la libertà nelle democrazie neoliberali.
Economia, politica e diritti
Come sottolinea la femminista americana Nancy Fraser, mentre lo Stato di benessere ha combinato il consumismo con la protezione sociale — per contrastare la radicalizzazione delle masse tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70, vissuta come una minaccia dal sistema capitalista — il capitalismo finanziario, più recentemente, ha modificato l’equazione stabilendo un’alleanza tra mercantilizzazione ed emancipazione, a discapito della protezione sociale. Questo ha portato a un risultato molto particolare, che tutt’ora caratterizza il neoliberismo: la crescita esponenziale della diseguaglianza economica in concomitanza con l’espansione dei diritti democratici, importanti quote di riconoscimento culturale e simbolico di settori socialmente oppressi.
Di recente, un’indagine di Oxfam ha evidenziato come l’1% più ricco della popolazione ha il controllo di più del doppio della ricchezza di 6900 milioni di persone. Viviamo, da quasi più di una decade, in una crisi economica prolungata, senza soluzione in vista e, ciononostante (che paradosso!), al tempo stesso, si è raddoppiato il numero di multimilionari. Nello stesso lasso di tempo, il sistema che ha scaricato la crisi sulle spalle di milioni di salariati, ha dato il via libera per il riconoscimento del matrimonio egualitario per coppie lgbtqia+ in più di trenta paesi, la legalizzazione senza restrizioni dell’aborto in più di cinquanta, ha messo a capo di stato 10 presidentesse e ha riconosciuto l’Europa come il continente con la più alta quantità di paesi che permettono il cambio del sesso/genere assegnato alla nascita.
Tutte le facce del neoliberismo
Con un peculiare sentimento di causalità, le destre cominciano una crociata antifemminista, omofoba, transfoba, razzista e xenofoba, che cerchi di sviare la rabbia contro i veri responsabili della povertà, della disoccupazione e dell’arricchimento astronomico delle elites finanziarie, per scaricarla addosso alle donne, alla “dissidenza sessuale” (qualsiasi cosa non rientri nello spettro binario ed eteronormativo borghese, ndt.), ai migranti. Se stiamo male, è perchè altr* (donne, trans, omosessuali, migranti e persone di background etnici diversi dal nostro) vivono a spese dello stato, ci rubano il lavoro e ottengono benefici col minimo sforzo: questi, e tutto un largo repertorio di pregiudizi, si scagliano contro gli sconfitti e i marginalizzati, come in tutte le crisi capitalistiche, mentre si esimono dalla responsabilità reale coloro che continuano a fare festa.
Ma il rafforzamento della destra non è l’unica conseguenza del “progressismo” neoliberista. Pur con le contraddizioni che racchiude la conquista di diritti relativi alle questioni di genere e sessualità, se c’è una cosa che definisce la controffensiva restauratrice del capitalismo, è la sua capacità di rendere redditizio ogni bisogno o desiderio umano. Uno sviluppo senza precedenti di quella che è stata chiamata “l’industria del sesso”; liberalizzazione delle frontiere che permette, assieme al flusso di capitali, la tratta delle persone per lo sfruttamento lavorativo e sessuale; e un’immensa trasformazione delle relazioni sesso-affettive, sottoposte alla logica del profitto, della redditività e dell’efficenza. Si compra un giocattolo erotico o una sposa; si vende un preservativo musicale, aromatizzato, o borchiato, come realizzazione di una fantasia meno comune.
E come affermavo in El deseo bajo sospecha, “mentre le nostre anime naufragano nel vertiginoso deserto dell’iperconnettività, i nostri corpi affrontano una stanchezza cronica. Il controllo dei corpi e degli affetti della forza lavoro è vitale per le classi dominanti; tuttavia, mai come adesso si è vissuto un paradosso tanto profondo tra maggiori libertà sessuali e culto dell’edonismo e de-erotizzazione e medicalizzazione della sessualità. Paradossalmente, mentre la sessualità si misura in prestazioni (quantità di orgasmi, di erezioni, di partner ed incontri erotici), la mancanza di desiderio minaccia di convertirsi in un’esplosione di consultazioni psicologiche. Le riviste abbondano di consigli su come mantenere vivo il richiamo della passione nel matrimonio, o su perché avere tre orgasmi a settimana favorisca una pelle più sana, ad esempio; ma la vita di milioni di esseri umani, sottomessa a turni di rotazione, a giornate estenuanti e a ritmi accelerati di produzione, mostra anche una conseguente precarizzazione della sessualità”.
Perché non possiamo dimenticarci che questi nuovi diritti e queste libertà democratiche si sovrappongono all’accelerazione estenuante dei processi produttivi, allo sconvolgimento del ritmo di rotazione dei turni lavorativi e allo sfruttamento aggravato dalla precarizzazione delle condizioni di lavoro e di vita. Il risultato è lo scarso tempo libero, la discordanza degli orari destinati all’ozio, alla socializzazione e al piacere (anche quello sessuale!), e un esaurimento generalizzato che si trascina fino alla camera da letto, riempiendola di frustranti disaccordi. Il capitalismo provoca una contraddizione irrisolvibile tra quello che, con grande chiarezza, Tamara Tenembaum chiama “ampliamento delle nostre ambizioni” —in materia di piaceri— e le precondizioni materiali della sua realizzazione, per l’immensa maggioranza delle persone. Vivere da sola, esercitare l’amore libero, mantenere una vita sessuale attiva e soddisfacente; sono tutte cose che hanno smesso di essere “peccato” nel capitalismo, per convertirsi effettivamente in una serie di privilegi di classe. Conseguentemente, affinché questa contraddizione non faccia saltare tutto in aria, ci si inculca l’idea che non esista modo di trasformare collettivamente la società nella quale viviamo (male), ma che soltanto sia possibile un’assunzione di responsabilità individuale, con più sforzo, maggiore investimento di tempo e qualche altra aspettativa ingenua, per vivere meglio.
Prendere d’assalto le lenzuola
Però, spronati dalla crisi che ci travolge da quasi un decennio, cominciamo anche a mettere in discussione il paradosso della vittimizzazione con il quale si sono legittimate le nostre rivendicazioni contro la violenza sistemica. O se il punitivismo sia il modo in cui scegliamo di ottenere giustizia, mentre lo Stato capitalista si libera della colpa e del carico della perpetuazione e della legittimazione della violenza machista, delle morti per aborto clandestino e della riproduzione stereotipata del genere attraverso le istituzioni. Inoltre, riflettiamo sull’incompatibilità tra la lotta per la liberazione sessuale e la regolamentazione statale delle nostre relazioni sesso-affettive. Desideriamo una società nella quale non sia necessario regolamentare i nostri legami perchè chiunque possa prendersi cura di noi se ci ammaliamo gravemente o non si finisca senza un tetto sopra la testa se muore la persona con cui si convive.
L’ondata femminista attuale sta affrontando queste domande, formulando riflessioni dissidenti e promuovendo nuovi dibattiti. Il femminismo, nuovamente, sta aprendo spazi intellettuali per la decostruzione di ciò che si dava per scontato. E ciò non è solamente una battaglia culturale e politica contro il rafforzamento delle nuove destre, come delle insidiose ed ambigue concessioni del “progressismo neoliberista”. E’ una battaglia anche contro il perfido discorso per il quale ci viene proposto di serrare i ranghi in difesa di questo “male minore” e non azzardarci ad andare giusto un po’ più in la’. Un no future travestito da speranza, colorato di rosso e anche di viola. Nuovi contenitori, “verniciati di sinistra”, per continuare a ingrassare il neoliberismo in crisi.
Ma abbiamo il privilegio di abitare un tempo di possibili trasformazioni collettive. E sempre, nella Storia, le mutazioni radicali che hanno messo in discussione lo status quo, hanno sconvolto il senso comune della vita quotidiana, aprendo nuovi orizzonti di piacere e divertimento, legami erotici e affettivi. È successo nel 1917, nel 1968… saremo noi, per caso, coloro che in questa nuova decade che comincia a Plaza de la Dignidad, in Cile, sotto gli ombrelli ad Hong Kong, e “danza” lo sciopero con la compagnia di balletto dell’Opera di Parigi, a dare nuovi orizzonti rivoluzionari alle camere da letto delle future generazioni?
Nelle nostre lotte collettive contro la povertà, la disoccupazione, il cambiamento climatico si annida anche il desiderio di una vita sessuale che —come descrive Peter Drucker— sia “polimorfemente sensuale, piuttosto che genitalmente ossessiva.”. Contro l’accanimento violento della destra, contro la mercantilizzazione e la regolamentazione con le quali il neoliberismo avviluppa i nostri desideri e le nostre libertà, contro la rassegnazione di coloro che fanno apologia dello status quo per impedirci di scrutare nuovi orizzonti, eccoci, sul piede di guerra contro il capitalismo, tra le altre cose, perché continuiamo a desiderare di continuare a desiderare.
Andrea D’Atri
Nata nel 1967 a Buenos Aires, dove tuttora vive. Laureata in Piscologia alla UBA, specializzata in Studi sulla Donna, ha lavorato come ricercatrice, docente e nel campo della comunicazione. È dirigente del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS). Militante di lungo corso del movimento delle donne, nel 2003 ha fondato la corrente Pan y Rosas in Argentina, che ha una presenza anche in Cile, Brasile, Messico, Bolivia, Uruguay, Perù, Costa Rica, Venezuela, Germania, Spagna, Francia, Italia.
Ha tenuto conferenze e seminari in America Latina ed Europa.
Autrice di "Pan y Rosas", pubblicato e tradotto in più paesi e lingue. Ha curato il volume "Luchadoras. Historias de mujeres que hicieron historia" (2006), pubblicato in Argentina, Brasile, Venezuela e Spagna (2006).