Gli scontri nel Nagorno-Karabakh, una regione separatista a maggioranza armena dell’Azerbaigian, stanno evolvendo in un conflitto militare aperto in grado di coinvolgere altri Stati della regione, a partire dalla Turchia che è già schierata attivamente con gli azeri. Entrambi i paesi hanno dichiarato la legge marziale e dichiarano a reti unificate i propri successi bellici.


I primi colpi di un nuovo conflitto

Domenica scorsa sono scoppiati violenti scontri tra l’esercito azerbaigiano e le forze armate della regione separatista armena del Nagorno-Karabakh. Anche se il numero dei morti e dei feriti è tuttora difficile da stabilire, si possono stimare centinaia di morti da entrambe le parti.

Il quotidiano Le Monde riporta una dichiarazione del ministro della Difesa armeno che afferma che le forze filoarmene hanno “distrutto 49 droni, 4 elicotteri, 80 carri armati, un aereo militare e 82 veicoli militari azerbaigiani” da domenica, e sostiene di aver inflitto “significative perdite di vite umane”. Da parte sua, Baku sostiene di aver “ripreso” diverse posizioni nel territorio conteso e di aver inflitto pesanti perdite al nemico.

Diverse città e infrastrutture civili sono state colpite, causando molti morti tra i civili. Dalla capitale Erevan il governo armeno ha esortato la Corte europea dei diritti dell’uomo a condannare qualsiasi azione militare contro tali obiettivi. Al di là della retorica marziale adottata dai belligeranti, sembra che gli scontri si siano chiaramente intensificati nella notte tra lunedì e martedì, con l’afflusso di truppe di Erevan e, probabilmente, di mercenari veterani della guerra civile siriana protetti e impiegati dalla Turchia.

I governi di entrambi i paesi e il governo autonomo del Nagorno-Karabakh hanno decretato la legge marziale e la regione separatista ha fatto appello a una “una mobilitazione generale per gli over 18”. Da parte sua, il governo azero ha immediatamente limitato l’accesso a internet con il pretesto di evitare le “provocazioni” armene.

È notizia di oggi, come riporta Ansa, l’annuncio ufficiale del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, a seguito del vertice internazionale di ieri sera, della valutazione di un riconoscimento unilaterale dell’indipendenza del Nagorno-Karabakh.
“Questa opzione è all’ordine del giorno. C’è anche la possibilità di firmare un accordo di cooperazione strategica tra l’Armenia e il Karabakh, c’è la possibilità di firmare un trattato di cooperazione nella sfera della sicurezza e della difesa”, ha detto Pashinyan durante un incontro con i giornalisti russi a Erevan. Le opzioni sono in discussione e le decisioni saranno prese “a seconda di alcuni fattori”, ha precisato. L’Armenia, nonostante i reali legami preferenziali basati sulla comune radice nazionale, non aveva mai riconosciuto l’indipendenza dell’autoproclamata repubblica del Karabakh.

Infografica sulla situazione all’inizio dell’attuale conflitto. Fonte: ISPI

Le radici della nuova escalation militare

Il Nagorno-Karabakh è una regione che si trova ufficialmente in Azerbaigian, ma è popolata principalmente da armeni e ha un governo anch’esso armeno. Attorno a questa regione si gioca oggi con la forza una vecchia disputa tra le due ex repubbliche sovietiche che persiste fin dalla loro demarcazione nel 1936 sancita dal governo stalinista dell’epoca. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dal 1992 al 1994 ha avuto luogo una guerra tra i due Stati, in cui sono morte circa 30.000 persone, segnando il più sanguinoso conflitto nell’area post-sovietica. Nonostante un accordo di pace firmato nel 1994, la situazione rimane a un punto morto e sono avvenute regolarmente segnalazioni di attriti e scontri tra i due eserciti.

Lo scorso luglio, ad esempio, c’erano già stati scontri significativi tra i due paesi, comunque non paragonabili a quelli di questi ultimi giorni, che si stanno configurando come un confitto su larga scala che si potrebbe allargare coinvolgendo altri Stati – già la Turchia ha preso attivamente le parti dell’Azerbaigian contro gli “storici” nemici armeni, rispetto ai quali resiste la volontà del governo turco di non riconoscere il genocidio inflitto dall’allora impero ottomano agli armeni durante la Prima Guerra Mondiale. La Turchia ha accusato l’Armenia di essere “il più grande ostacolo alla pace nella regione”. Erdogan ha persino invitato gli armeni a ribellarsi contro i loro leader che “li stanno portando alla catastrofe”.

La Russia, da parte sua, ha chiesto l’immediata cessazione delle ostilità. In effetti, la Russia è un alleato stretto dell’Armenia, ma allo stesso tempo sta cercando di evitare qualsiasi confronto in questa regione strategica per la sua difesa. È in questo senso che si possono interpretare le vendite di armi all’Azerbaigian degli ultimi anni: mantenendo buone relazioni diplomatiche, militari ed economiche con entrambi i paesi, Mosca aspira a diventare l’arbitro della situazione.

Gli scontri sono iniziati senza alcuna dichiarazione ufficiale, tanto meno dello stato di guerra, ma si possono avanzare ipotesi sulle cause più immediate del conflitto di oggi.

L’Azerbaigian è un paese esportatore di idrocarburi che negli ultimi anni ha speso ingenti somme di denaro in attrezzature militari. Allo stesso tempo, aspira ad esportare il suo gas in Europa dai giacimenti del Mar Caspio attraverso il South Caucasus Pipeline Expansion Project (SCPX). Si tratta dell’estensione in Europa di un gasdotto dall’Azerbaigian alla Turchia attraverso la Georgia. Con i garanti del processo ormai trentennale di pace (Russia, Francia e Stati Uniti) coinvolti in importanti questioni internazionali e interne, l’Azerbaigian avrebbe potuto decidere di cambiare gli equilibri di potere a suo vantaggio sul territorio separatista del Nagorno-Karabakh, che a sua volta rappresenta una minaccia permanente per i suoi gasdotti verso i mercati occidentali e regionali.

È proprio in questi progetti sul gas che si deve trovare la chiave della posizione della Turchia, così come quella delle altre potenze. L’ambizione della Turchia è di diventare un centro chiave per il transito del gas verso il mercato europeo; ha in programma di far transitare sul suo territorio gasdotti azeri e russi e, con la scoperta di giacimenti di gas nel Mar Nero, Ankara punta a diventare a sua volta un esportatore di gas verso l’Europa. Questo spiega anche la posta in gioco della situazione di tensione con la Grecia nel Mediterraneo orientale. La Russia vuole svolgere il ruolo di arbitro nella regione, ma allo stesso tempo vede i progetti dell’Azerbaigian come una concorrenza ai propri progetti di esportazione di gas verso l’Europa.

 

Uno scenario geopolitico dove la tensione aumenta

Per Mosca, il pieno controllo delle acque del Mar Caspio è un’importante questione strategica. Uno dei suoi obiettivi è quello di garantire che la sua marina sia libera di intervenire in Medio Oriente, senza dover affrontare la concorrenza delle marine occidentali, in particolare degli Stati Uniti. Lo status unico, fondato nel 2018 dalle potenze rivierasche, del Mar Caspio (che ufficialmente non ha più acque internazionali) garantisce alla Russia e all’Iran la quasi totale sovranità su questo mare interno. È questa sovranità militare che la Russia cerca indubbiamente di preservare attraverso i suoi appelli alla “pace”.

Le potenze imperialiste vogliono evitare qualsiasi conflitto in questa regione sensibile e proteggere inoltre gli interessi delle loro multinazionali coinvolte in questi progetti (la British Petroleum britannica è coinvolta nel progetto SCPX).

In ogni caso, è chiaro che in un mondo sempre più rivoltato da crisi economiche, sanitarie ed ecologiche, i conflitti geopolitici aumenteranno. Anche l’aggressività dei capitalisti aumenterà. E anche un singolo “incidente minore” potrebbe scatenare conflitti con conseguenze incalcolabili.

 

 

Philippe Alcoy 

Traduzione e aggiornamento di Giacomo Turci da Révolution Permanente

Redattore di Révolution Permanente e della Rete Internazionale La Izquierda Diario. Vive a Parigi e milita nella Courante Communiste Revolutionnaire (CCR) del NPA.