L’appoggio a quello che come e più degli altri è il governo delle banche segna la fine del discorso “antisistema” del M5S. Ma perché quello di Grillo non è mai stato un partito veramente contro il sistema?


“Alle ultime elezioni ho votato Grillo, ma sapevo che avrebbe finito per non piacermi. Voglio vedere il mio Paese risplendere e non mi rassegno alla mediocrità della nostra classe politica…”

No, non è un operaio tradito dai vari partiti della sinistra riformista e parlamentare che negli anni hanno ridotto la classe lavoratrice in Italia a una condizione politica impietosa, ma Lapo Elkann il quale, per quanto possa esser considerato una sorta di ribelle di Casa Agnelli, è un personaggio emblematico della borghesia italiana.

La scelta di appoggiare il governo Draghi, di aver tradito i ‘principi’ originari del movimento di Grillo e di essersi “venduti” ai poteri forti ha generato uno scontro interno duro nel M5S, e una crisi che potrebbe portare non a qualche abbandono come in altre occasioni, ma alla rottura di intere ali del partito-movimento.

È davvero così? Era veramente sufficiente criticare la struttura partitica per diventare il cosiddetto “antisistema”? Che bilancio si può trarre oggi del populismo grillino?

Il populismo “anti-partito” non è diverso dalla demagogia dei partiti

Possiamo dire innanzitutto che il M5S fa uso di una demagogia nazionalista “populista” che è condivisa oggi da tutti i partiti, nessuno escluso, dal momento in cui parlano dei mali “del popolo” sempre causati da altri (nonostante tutti i partiti in parlamento oggi siano stati al governo nazionale, per non parlare di quelli locali, nell’ultimo decennio) e che potranno essere combattuti con un generico “cambiamento”, un’eterna riforma di un sistema che nessun partito questiona.

Oggi il cleavage (ovvero le differenze ideologiche tra forze politiche) che divide i partiti all’interno del parlamento non è il pensiero, all’interno di una logica pur sempre borghese, sul ruolo dello Stato all’interno dell’economia (come era stato, ad esempio, per tutto il dopoguerra tra Partito Comunista Italiano e Democrazia Cristiana), ma su come favorire la borghesia italiana e i grandi industriali in termini di riforme e finanziamenti.

La differenza oggi, infatti, non è tanto aumentare o diminuire il finanziamento alle industrie – sulle cifre e i modi si trova alla fine sempre un accordo – ma su come tenere a bada gli sfruttati e gli oppressi e su come disputarsi il sostegno politico attivo dei ceti medi e dei piccoli proprietari, da cui provengono moltissimi dirigenti dei partiti, M5S incluso. C’è chi predilige manganellate per reprimere gli insubordinati (oggi “salviniana”, ma una tendenza molto trasversale, a dire il vero), chi con mancette cerca di tener a bada l’esercito di disoccupati (con l’ultima “grande” misura del reddito di cittadinanza) e chi ammicca alla burocrazia sindacale mentre promuove sfondamenti del diritto del lavoro e precarizza il lavoro (vedi Jobs Act).

Così la parola d’ordine degli investimenti per rilanciare le imprese è diventata un mantra all’interno del PD, della Lega e degli altri, compresi i 5 Stelle.

No, il M5S non era antisistema prima e non è venduto oggi, ma è una parabola direi logica di un comune partito o “movimento” che non critica la struttura che regola la nostra economia e dunque la nostra società, ma si limita a urlare a destra e a manca critiche sbilenche alla sovrastruttura del sistema capitalistico, a questo o quel suo limite, senza mai metterlo in dubbio, neanche per un minuto. Senza nemmeno fare una critica sinceramente democratica dell’apparato statale, cavalcando invece le onde anti-democratiche come quella del taglio dei parlamentari, che aumentano ancora più il consenso verso forme politiche ancora più autoritarie.

Il movimento si è fatto forza, sin dalle sue prime battute, portando avanti l’argomento già sostenuto da molti, questo sì cinico e populista, cioè che i partiti tradizionali, da destra a sinistra, fossero tutti uguali. Invece di provare a rompere questa confluenza apparentemente “obbligatoria” dei partiti verso una certa politica “istituzionale”, il M5S non ha fatto che rafforzarla con la sua parabola politica, terminata con la priorità di rimanere al governo, di governare con chiunque, pur di governare. E così il partito nato urlando contro le banche e capitalizzando il complottismo contro gli “onnipotenti” banchieri, sostiene il governo dell’ex-presidente della BCE Mario Draghi.

Per una politica dalla parte degli sfruttati, veramente antisistema

L’ascesa del M5S è dovuta anche alla crisi profonda della sinistra che faceva riferimento, più o meno apertamente, alla classe lavoratrice, che ha lasciato vuoti enormi spazi politici. Non è un mistero che nel 2018 il M5S fosse il primo partito per consensi tra operai su scala nazionale.

La questione allora è promuovere una politica effettivamente rappresentativa degli sfruttati, di chi ogni volta paga la crisi, di chi non ha interessi comuni coi propri connazionali sfruttatori.

Promuovere la necessità di un partito effettivamente dalla parte della classe operaia, e non “un po’ borghese, un po’ operaio”, dove la propria natura “antisistema” è data dalla contestazione reale del sistema dove viviamo, del capitalismo, e non dalle urla populiste al nemico di oggi, che sarà l’amico di domani.

Una politica che, al contrario di quello che propone ancora la sinistra riformista bancarottiera, rivendichi una soluzione che rompe fino in fondo con il mantra che lo Stato e le loro leggi, insieme alla naturale esistenza del lavoro salariato, siano la sola soluzione per un progresso sociale: il presupposto per qualsiasi vero avanzamento politico per gli sfruttati è quello di negare che possano ottenere tutto quello che vogliono in questa società, a partire dalla fine del proprio ruolo sociale di schiavi salariati.

La rottura con la vecchia politica, infine – al contrario di quello che nei fatti ha promosso il M5S! – passa per la rottura con l’abitudine a dare carta bianca, a delegare la propria soggettività politica ai parlamentari, alla burocrazia di partito e sindacale che impediscono o indeboliscono la mobilitazione: senza organizzazione dei “comuni” lavoratori, delle donne e dei giovani, senza nostre rivendicazioni, senza lotta, la classe dominante non ci regala nulla e, al contrario, ci toglie ciò che abbiamo conquistato in precedenza. Senza lotta, il sistema non può cambiare, e infatti il M5S non l’ha cambiato.

Ma non si tratta di muoversi e lottare per far pressione su “quello che c’è”, sui partiti che accettano di governare facendo gli interessi dei capitalisti. Si tratta di organizzarsi per avere una propria politica come sfruttati contro sfruttatori, non di “onesti” contro “la casta”. Si tratta di costruire un grande partito veramente “antisistema”, rivoluzionario, con una politica che rivendichi fino in fondo gli interessi di lavoratori e lavoratrici, centrato e costruito su di essi.

Portare avanti questa lotta significa evitare che si generino mostri elettorali che, come l’epoca post-2008 ci ha ben mostrato, fanno forza su una retorica di fatto reazionaria per garantirsi il consenso elettorale delle classi subalterne, e per fermarne, come ha sempre rivendicato Grillo stesso, la propria spinta conflittuale e rivoluzionaria.

Mat Farouq

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