Lo scorso mercoledì è stato segnato dalla più grande offensiva repressiva di Israele nella Cisgiordania occupata. Riportiamo qui la traduzione di un articolo riportato da Izquierda Diario sui fatti avvenuti in Palestina. Gli scontri sono continuati anche nelle giornate di giovedì e venerdì e hanno registrato la morte di un bambino di 7 anni caduto in un dirupo per fuggire dalle forze di sicurezza sioniste. L’impunità di Israele per i suoi crimini non è più tollerabile. Contro la retorica della pace e della soluzione imperialista dei ‘popoli e due stati’, per uno stato palestinese laico, inclusivo e socialista. 


L’esercito israeliano, lo scorso mercoledì, ha ucciso quattro palestinesi e ne ha feriti altri durante un’operazione delle forze di sicurezza nella Cisgiordania occupata. 

Le uccisioni sono state confermate dal Ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), il quale, in un comunicato ufficiale, ha indicato i nomi dei morti: Mohammad Mahmoud Alouneh, Ahmad Nathmi Alawneh, Mohammad Abu Naaseh e Abed Fathi Hazem. 

La morte di Hazem è stata ulteriormente confermata da un portavoce dell’esercito israeliano, che lo ha identificato come il fratello di Raad Hazem accusato da Israele di essere responsabile di un attacco nella città israeliana di Tel Aviv ad aprile. 

L’agenzia di stampa ufficiale palestinese, WAFA, ha riferito che Hazem e Alouneh sono stati uccisi durante l’assedio da parte delle forze israeliane all’interno di una casa a Jenin, mentre Alawaneh è stato ucciso da un proiettile alla testa durante gli scontri con dei soldati israeliani nelle strade circostanti. Wafa ha anche riferito che altri 44 palestinesi sono stati feriti durante l’operazione israeliana, molti dei quali sono in condizioni critiche. 

Gli eventi di mercoledì si inseriscono nel contesto di pesanti incursioni dell’esercito sionista nel nord della Cisgiordania. L’esercito israeliano in quest’ultimo periodo ha effettuato diversi raid alla ricerca di sospetti militanti del Jihad islamico e di Hamas. Queste incursioni hanno portato a diversi arresti e, come accade ormai da diversi mesi, hanno portato alla morte di decine di palestinesi.  

Nonostante la narrativa israeliana cerchi di ridurre i fatti ad un mero scontro tra l’esercito sionista e i miliziani locali, la verità, invece, è che la protesta va oltre all’appartenenza di gruppi politici e che deve essere ricercata anche nell’azione delle forze di polizia dell’Autorità Palestinese.  

Infatti, come spiega un corrispondente de La Izquierda Diario in Cisgiordania, “le proteste dei palestinesi esprimono una rabbia più profonda e generalizzata contro l’Autorità palestinese che si sta diffondendo in tutto il territorio (…) L’Autorità palestinese è vista non solo come un collaboratore dello Stato sionista, ma anche come un’entità corrotta che si arricchisce e vive di privilegi grazie alle concessioni a Israele”. 

Israele è convinto che le forze di sicurezza dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) stanno perdendo il controllo della situazione, affermando che questo sia a causa alle azioni dei gruppi armati palestinesi locali.  Tale narrativa ha il solo scopo di generare sdegno all’interno delle opinioni pubbliche internazionali. 

In questo contesto, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) sta cercando di prendere le distanze dalle considerazioni sioniste e lo ha fatto attraverso il portavoce del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, che ha descritto l’operazione israeliana come una “grave escalation”, che non fa che aumentare la già crescente instabilità dell’area e mettere a repentaglio la sicurezza interna ai Territori Occupati.  

Da parte sua, il primo ministro dell’Anp, Mohamed Shtayeh, ha denunciato l’uso della forza contro i palestinesi da parte di Israele, affermando che queste azioni non sono nient’altro che parte della campagna elettorale in vista delle elezioni del 1° novembre. 

Inoltre, il quotidiano Haaretz ha riferito che Fatah – il partito di Abbas e che governa la Cisgiordania – ha indetto una “giornata di rabbia” e uno sciopero generale in Cisgiordania. 

Nonostante queste iniziative di facciata, Mahmoud Abbas, in questo ultimo periodo, ha avuto colloqui con il suo omologo israeliano, Isaac Herzog, e hanno concordato di lavorare insieme per “ripristinare la calma e la sicurezza” nella regione, dopo l’impennata della tensione delle ultime settimane. 

Gli scontri tra i giovani palestinesi e le forze di sicurezza dell’ANP si sono intensificati nell’ultima settimana, dopo l’arresto di Musab Ashtaya e Mohammed Tabila, due membri del Movimento di resistenza islamica (Hamas) da parte dell’ANP. 

Ashtaya è tra le persone più ricercate dallo Stato di Israele. Data la lunga storia di cooperazione dell’ANP con Israele, si teme che l’ondata repressiva non solo sia stata richiesta da Israele, ma che, in caso di arresto, lo stato sionista abbia richiesto la detenzione nelle carceri sioniste. 

Queste incursioni e la repressione della resistenza popolare palestinese hanno già causato quasi un centinaio di morti e più di 2.000 arresti. All’inizio di questo mese, l’esercito sionista ha riconosciuto l’uccisione della giornalista palestinese-americana, di Al Jazeera,  Shireen Abu Akleh, un fatto aggravato dagli attacchi alla folla durante il suo funerale. 

La rabbia continua a crescere per l’escalation di repressione, persecuzione e sfratto da parte di Israele della popolazione araba dalle proprie case e dalle proprie terre a Gerusalemme Est come nella  Cisgiordania occupata. 

A ciò si aggiunge il blocco terrestre, aereo e marittimo della Striscia di Gaza, che ha trasformato questo pezzo di terra in un luogo invivibile e che molti definiscono come la più grande prigione a cielo aperto del mondo. 

 

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