Lo scorso 12 maggio si è tenuta al centro sociale Leone di Firenze il secondo appuntamento del ciclo di letture sui Quaderni del Carcere di Gramsci, centrato sul tema dell’Egemonia e dello Stato Integrale. Nella vulgata si parla spesso di “egemonia culturale” (dicitura che nei Quaderni di fatto non esiste) e si tende a ridurre il concetto a mera ‘manipolazione ideologica’. Le interpretazioni riformiste di Gramsci ammettono invece che le élite economiche governino sia utilizzando lo strumento del “consenso” che quello della “forza” (o della “coercizione”). Nei contesti democratici avanzati il secondo aspetto sarebbe però più importante del primo, con tutte le implicazioni del caso per la plausibilità di una strategia rivoluzionaria. La discussione di venerdì ha quindi riflettuto sulle premesse di questo ragionamento e su come attualizzare il concetto di egemonia, alla luce delle sfide post-crisi 2008 e post-pandemia. Segue un testo di sintesi della presentazione e di alcuni punti chiave del dibattito.
Nel pensiero di Gramsci l’egemonia non è semplicemente la somma di coercizione e consenso, ma la combinazione di questi elementi, attraverso cui la borghesia riesce a presentarsi come classe dirigente senza perdere la sua natura di classe economicamente e politicamente dominante. Il primo aspetto si esprime soprattutto nella società civile, ove gli interessi sociali si organizzano ‘volontariamente’. Il secondo pertiene invece alla società politica, l’ambito dello Stato, del “governo politico propriamente detto”. Coercizione e consenso, tuttavia, non solo interagiscono, ma si presuppongono e si compenetrano. La distinzione tra società civile e società politica è “metodica, non organica”, mentre nella realtà la prima e la seconda costituiscono un insieme inscindibile espresso dal concetto di “Stato integrale”.
Da un lato la repressione statale ha bisogno della legittimazione della società civile, dall’altro le stesse organizzazioni che le classi subordinate si danno storicamente per difendere e far avanzare i loro interessi, come i sindacati e i partiti, possono giocare una “funzione” repressiva, “di polizia” (lo si è visto bene all’ultimo congresso della CGIL, in cui solo i funzionari potevano presentare i documenti alle assemblee dei lavoratori, con il chiaro intento di marginalizzare la minoranza combattiva, meno rappresentata negli organismi burocratici).
Egemonia dal basso e coscienza politica
Gramsci non si occupa solo dell’egemonia ‘dall’alto’, a cui è in fondo interessato per risolvere il problema dell’egemonia ‘dal basso’. Se nella Questione Meridionale egli poneva il tema nei termini di un’alleanza tra operai e contadini sotto la direzione dei primi, nelle note che abbiamo letto per l’ultima discussione, l’egemonia è più in generale la capacità della classe lavoratrice di concepirsi come guida della trasformazione sociale, a partire da un punto di vista autonomo sulla società e i propri compiti storici.
Solo questo tipo di consapevolezza può condurre il ‘proletariato’ a “farsi Stato”, quindi a porsi la questione della leadership di un’alleanza più larga e del potere politico. Di contro, una tale coscienza non emerge spontaneamente dalla posizione e dalla situazione economica della classe lavoratrice, ma è l’esito di una lotta sul terreno “[ideologico]politico”. Questo, nella misura in cui: “l’affermazione di Marx che gli uomini prendono coscienza dei conflitti economici nel terreno delle ideologie ha un valore gnoseologico e non psicologico e morale”
In altri termini, le ideologie non sono mera ‘falsa coscienza’, ma l’esperienza stessa dei “conflitti economici” da parte dei gruppi sociali. Poiché questa esperienza è a sua volta mediata dalle forme in cui i gruppi sociali si mobilitano e si organizzano, e in ultima analisi dai rapporti che queste forme intrattengono con lo Stato integrale borghese, non basta perciò una propaganda rivoluzionaria astratta per far avanzare la coscienza di classe. Così però come non basta sostenere acriticamente i movimenti ‘spontanei’, o cercare di ‘spingere a sinistra’ (come diremmo oggi) le organizzazioni popolari, senza porre questioni politiche e strategiche più generali.
Egemonia e rapporti di forza politico-militari
In base a quanto detto finora, chi vuole organizzarsi per lottare contro il capitalismo non può prescindere da un’analisi della ‘realtà concreta’ volta a capire “quali sono i punti di minore resistenza, dove la forza della volontà può essere applicata più fruttuosamente [e individuare] le operazioni tattiche immediate [che] indicano come si può meglio impostare una campagna di agitazione politica, quale linguaggio sarà meglio compreso dalle moltitudini ecc”. Poiché però non si tratta solo di contemplare una situazione data, è necessario coordinare questa azione con le esigenze di sviluppo della coscienza e degli obiettivi rivoluzionari, nell’ottica di una costruzione “sistematica” dei “rapporti di forza politico-militari” (con cui nei Quaderni si intende la capacità della classe subordinata di darsi forme politico-organizzative autonome).
Quanto detto potrebbe apparire sorprendente, visto che nel gergo militante troppo spesso “fare egemonia” è associato ad abbassarsi al senso comune di massa, cercando di aggiornare linguaggi e pratiche, ma perdendo completamente il senso profondamente strategico del concetto. Facciamo direttamente parlare Gramsci, tramite alcune stupende allegorie militari:
“e la nazione oppressa, per iniziare la lotta d’indipendenza, dovesse attendere che lo Stato egemone le permetta di organizzare una propria forza militare nel senso stretto e tecnico della parola, avrebbe da attendere un pezzo. La nazione oppressa dunque opporrà inizialmente alla forza militare egemone una forza solo «politico-militare», cioè elementi di azione politica che abbiano riflessi militari nel senso: 1° che abbiano efficacia disgregatrice [interna] nell’efficienza bellica della nazione egemone; 2° che costringano la forza militare egemone a diluirsi in un grande territorio, annullandone così gran parte dell’efficienza bellica. Nelle note sul Risorgimento appunto è stata notata l’assenza di una direzione politico-militare specialmente nel Partito d’Azione (per congenita incapacità) ma anche nel partito piemontese sia prima che dopo il 48, non per congenita incapacità, ma per «neomaltusianismo politico-economico», perché cioè non si volle neanche accennare alla possibilità di una riforma agraria e perché non si voleva la convocazione di una assemblea nazionale costituente, ma si voleva che la monarchia piemontese, senza condizioni o limitazioni di origine popolare, si estendesse a tutta l’Italia, con la pura sanzione dei plebisciti regionali.
[…] L’elemento decisivo di ogni situazione è la forza permanentemente organizzata e predisposta di lunga mano che si può fare avanzare quando si giudica che una situazione è favorevole (ed è favorevole solo in quanto una tale forza esista e sia piena di ardore combattivo); perciò il compito essenziale è quello di attendere sistematicamente e pazientemente a formare, sviluppare, rendere sempre più omogenea, compatta, consapevole di se stessa questa forza. Ciò si vede nella storia militare e nella cura con cui in ogni tempo sono stati predisposti gli eserciti ad iniziare una guerra in qualsiasi momento. I grandi Stati sono stati grandi Stati appunto perché erano in ogni momento preparati a inserirsi efficacemente nelle congiunture internazionali favorevoli e queste erano tali perché c’era la possibilità concreta di inserirsi efficacemente in esse (Quaderno 4 § 38).
Gli elementi principali del dibattito
A partire da una relazione di sintesi delle principali posizioni di Gramsci, il dibattito si è concentrato sul significato concreto del concetto di egemonia ‘proletaria’ oggi, sviluppando riflessioni impostate già nel primo incontro. Non basta cambiare gli addendi della formulazione originaria del problema, impostato come alleanza di operai e contadini sotto la direzione del primi. Da un lato, i contadini – intesi come proprietari individuali e ai margini dell’economia di mercato – non esistono quasi più come soggetto sociale, almeno nei paesi del centro capitalista. Dall’altro, nemmeno la classe operaia esiste più come partito indipendente.
I sindacati di massa rimangono l’unica grande organizzazione dei lavoratori, ma le loro direzioni burocratiche contribuiscono alla sua passivizzazione e frammentazione, figlia della sconfitta storica conosciuta dal movimento comunista nell’ultimo secolo e della ristrutturazione neoliberista. Questi elementi di “congiuntura”, per utilizzare il linguaggio di Gramsci, vanno presi sul serio: è su questo terreno – non su quello di un astratto divenire – che si svolge la lotta politica per dimostrare che «esistono già le condizioni necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano essere risolti storicamente».
Per quanto l’egemonia borghese penetri “come un cancro a tutti i livelli della società civile” – per utilizzare l’espressione colorita di un compagno durante la nostra chiacchierata – essa non può far scomparire gli antagonismi sociali. Nei movimenti, spesso convulsi, che vedono come protagonisti gli strati popolari, bisogna quindi distinguere “l’occasionale” dal “permanente”, quindi evitare di analizzarli chiedendosi a “chi giovano” nel momento dato, ma domandandosi (sempre con Gramsci):
[quale sia il] 1°) contenuto sociale del movimento 2°) [le] rivendicazioni che i dirigenti pongono e che trovano consenso in determinati strati sociali; 3°) le esigenze obiettive che tali rivendicazioni riflettono; 4°) esame della conformità dei mezzi adoperati al fine proposto; e 5°) solo in ultima analisi è presentata in forma politica e non in forma moralistica, presentazione dell’ipotesi che tale movimento necessariamente sarà snaturato e servirà a ben altri fini da quelli che le moltitudini seguaci credono (Quaderno 4 § 38).
Un ragionamento del genere è particolarmente importante tanto rispetto ai fenomeni neo-riformisti e populisti, quanto ai movimenti ambientalisti e trans-femministi. Essi sono infatti l’espressione congiunturale della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione che nel periodo post-crisi 2008 e post-pandemico ha assunto alcune forme peculiari, oltre alle sue espressioni classiche sul terreno più strettamente economico.
Si pensi al crescente contrasto tra l’accumulazione infinita di capitale e il “ricambio organico uomo-natura” (Marx – Il Capitale, Libro I – cap. 5; che si esprime nella crisi ecologica) e quello tra produzione per il profitto e riproduzione sociale (alla base dell’oppressione di genere). Si espandono inoltre le fasce di lavoro povero, precario e marginalizzato, soprattutto tra le nuove generazioni, mentre aumenta il potere strutturale di settori strategici di una classe lavoratrice sempre più sfruttata e multi-etnica. Con la guerra in Ucraina, si è aperta inoltre una fase in cui l’accelerazione delle tensioni geopolitiche, la crisi economica e le lotte sociali si intrecciano in maniera sempre più complessa, facendo emergere tematiche come quelle della questione nazionale, ma anche lo spettro della rivoluzione sociale. Il problema dell’egemonia è quindi quello di ricomporre politicamente il proletariato, e di imporre il suo punto di vista, quello della trasformazione socialista della società, come soluzione all’impasse di civiltà a cui ci sta conducendo il capitalismo.
Una chiave di lettura del genere ci sembra getti luce su molti aspetti importanti, ma apre anche le porte a ulteriori problematiche. Ad esempio, è ancora possibile pensare a una strategia basata sulla “guerra di posizione” per affrontare la crisi multipla, “organica”, in cui viviamo? Cosa intendeva Gramsci con questi concetti? Vi aspettiamo venerdì 19 maggio alla 17.30, sempre al centro sociale Leone, in Via del Leone 60 – Firenze, per discutere con noi di “Rivoluzione Passiva e Rivoluzione Permanente”, per porci insieme nuove domande e provare a fornire qualche risposta rovistando ancora nella cassetta degli attrezzi gramsciana.
Lorenzo Lodi
Nato a Brescia nel 1991, ha studiato Relazioni Internazionali a Milano e Bologna. Studioso di filosofia, economia politica e processi sociali in Africa e Medio Oriente.