Ha fatto sicuramente strabuzzare gli occhi a parecchi lettori il titolo a effetto della recente intervista di Repubblica a Maurizio Landini, appena dimessosi da segretario generale della FIOM per entrare nella segreteria nazionale CGIL e preparare così la sua corsa congressuale, l’anno prossimo, per il posto di segretario generale dell’intera CGIL.

Il titolo era Maurizio Landini: “In Italia non c’è più la sinistra, ora serve un partito dei lavoratori”.

Pronta la rinascita della Coalizione Sociale, la sigla che (a parole) doveva preparare la riunificazione delle anime a sinistra del PD per un grande partito riformista, guidato idealmente dalla FIOM? Assolutamente no.

Landini ha cambiato idea e vuole guidare personalmente un appello costituente per un grande partito dei lavoratori, per non dipendere sempre dai soliti quattro burocrati borghesi che volteggiano attorno al PD? Assolutamente no.

Aldilà del titolo truffaldino, Landini non parla mai di necessità di un “partito dei lavoratori”: parla semmai di “unità del mondo del lavoro”, di come la Coalizione Sociale perseguisse tale scopo (strano modo di tirare un bilancio di quella sigla, dato che mediamente ci si trovava non i lavoratori in quanto tali, ma accrocchi di elettori “di sinistra” divisi secondo varie sigle associative, di volontariato ecc.), di come la Sinistra non ci sia perché nessuna forza politica rappresenti il mondo del lavoro e che abbia “un progetto per cambiare modello sociale”. Landini non nega di aver tentato di stabilire come rappresentante di questo suo concetto di “sinistra” Matteo Renzi… ma prima che facesse le riforme: quando insomma aveva solo annunciato che avrebbe fatto il premier nell’interesse dei capitalisti; Landini, da bravo empirista, non aveva voluto credergli sulla fiducia. Così come non crede nel successo dei progetti attualmente in cantiere a sinistra del PD, cioè le correnti-cartelli elettorali centrati attorno Bersani-D’Alema e Pisapia: “progetti minoritari” che dovrebbero “mettere al centro il lavoro” e “elaborare 5/6 questioni sulle quali costruire un progetto”. Il messaggio è chiaro: cari signori della sinistra borghese, fate almeno finta (come eravate soliti fare in passato) di avere a cuore i lavoratori, stendete un programma di pochi punti “filo-proletari” che non attuerete ma attorno ai quali vi coalizzerete, e la CGIL di Landini vi voterà senz’altro!

Rimane da scoprire quale sia il “modello sociale” nuovo che piacerebbe a Landini: scartando senz’altro la dittatura del proletariato e tenendo conto dello sviluppo sempre più corporativo di CGIL e FIOM (con il buon Maurizio che si vanta del contratto firmato insieme a FIM e UILM), forse il suo sogno non è altro che una nuova stagione di concertazione sindacale, con un’integrazione molto più approfondita tra sindacati, Stato e aziende, a imitazione di quel modello tedesco di patto produttivo tra lavoratori e padroni (dove ovviamente l’agenda è dettata dai padroni) che tanto ha facilitato la crescita della Germania come grande potenza commerciale internazionale.

E il “modello FIOM”, che bilancio ne trae il segretario uscente? Tutto bene, anzi, di meglio non si poteva fare: dal 2010 a oggi la FIOM ha perso 27mila tessere, un successone per Landini: “se penso che nello stesso periodo sono stati persi nel settore metalmeccanico oltre 350 mila posti di lavoro e che la precarietà è aumentata mentre il tasso di sindacalizzazione è cresciuto non posso affatto lamentarmi”. Viene da dire che vantarsi di aver garantito limitatamente i propri “protetti” mentre si sono firmati innumerevoli accordi di licenziamenti di massa, gettando nella disoccupazione migliaia e migliaia di operai, di cui non pochi tesserati FIOM, non aiuta certo i lavoratori a sviluppare empatia verso questo grande “capo operaio” e verso il clan di dirigenti sindacali collegato alla sua ascesa, il cui ragionamento in fondo è semplice: vogliamo un partito amico dei padroni al governo che però ci prenda per mano e ci consideri interlocutori con cui perlomeno discutere i piani industriali (il famoso “partito di sinistra” che mette al centro il lavoro), da parte nostra garantiamo il nostro ruolo di repressori di lotte operaie troppo dure e diffuse.

Una politica assolutamente coerente alla carriera di una casta sindacale affermatasi sulle spalle dei lavoratori – ma questi ultimi hanno tutto l’interesse a uscire dalla logica del “mondo del lavoro” e della “centralità del lavoro”: la centralità attorno alla quale organizzarsi in contrapposizione ai prenditori di lavoro (così andrebbero chiamato, visto che i “datori di lavoro” sono semmai quelli che il lavoro lo fanno, non quelli che lo pagano) è quella dei lavoratori stessi, e non della liquidazione della loro identità, dei loro interessi , della loro forza come parte politica indipendente dalla società, dentro un “mondo del lavoro” dove però una ristretta cerchia possiede fabbriche, macchinari, strumenti, influenza sullo Stato e sullo sviluppo tecnologico, mentre la stragrande maggioranza possiede solo la propria forza-lavoro, debitamente sfruttata e irriggimentata grazie anche ai Landini di turno.

Il ceto politico collegato a padroni, cooperative e burocrati sindacali sicuramente è in affanno perché non sa più come garantirsi il voto dei lavoratori. Ma, nel panorama della desolazione della vecchia sinistra “operaia”, la questione di un partito dei lavoratori in Italia non può che porsi e risolversi nel movimento operaio stesso, tra i lavoratori che lottano e si mobilitano, non tra le burocrazie colluse col padrone.

L’impossibilità di risolvere i problemi dei lavoratori e delle masse sfruttate nel quadro del capitalismo, l’impossibilità di arrivare a uno sfruttamento “umano” e magari capace di non distruggere l’ambiente, di non provocare continue guerre, di non generare oppressione e alienazione degli individui: tutto questo conferma che non basterà mai un semplice “partito dei lavoratori” che porti magari un grande numero di lavoratori sotto la stessa bandiera per contrattare condizioni migliori con padroni che continuano a togliere e ad attaccare – non è la continuazione della lotta sindacale (quella sì, da fare, da unire e da allargare!) sul piano politico-elettorale.

La politica che serve ai lavoratori è soltanto quella basata sul protagonismo della loro azione, della loro auto-organizzazione, delle loro necessità. Ma le necessità dei lavoratori non si possono soddisfare né sotto lo sfruttamento dei capitalisti, né nel ristretto panorama del proprio paese: proprio per questo è necessario che i lavoratori, e tutti gli oppressi attorno a loro, si dotino di un programma e di un partito politico internazionali e rivoluzionari, che pongano chiaramente l’obiettivo di espropriare le grandi ricchezze private, di sostituire agli Stati borghesi degli Stati operai (cioè alla finta democrazia borghese una reale democrazia operaia, consiliare), di farla finita col capitalismo per avviarsi verso il comunismo, cioè la società senza classi sociali e senza sfruttamento. Un programma e un partito che consentano di farsi strada nelle lotte quotidiane della classe operaia e che le permettano di conquistare la vittoria definitiva, quella del governo dei lavoratori in Italia e in tutto il mondo.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.